Majlinda la judoka
La campionessa, la judoka. Tutti gli abitanti di Peja, in Kosovo, riconoscono per strada Majlinda Kelmendi, medaglia d’oro ai campionati mondiali junior di Parigi, nel 2009. La vita e la storia di una ragazza che sogna di rappresentare il Kosovo ai giochi olimpici del 2012
Finita la scuola, quando non c’è molto da fare in casa, Majlinda ama fare lunghe passeggiate. Di solito il pomeriggio le strade del suo quartiere, alla periferia di Peja, sono calme e silenziose. Anche se è ancora presto per gli allenamenti, le gambe la portano d’istinto alla palestra. Ci si arriva in pochi minuti: una costruzione adiacente ad una casa privata, a prima vista anonima e nascosta.
All’interno, il silenzio si fa più profondo. Un alto soffitto, su una parete specchi di grandi dimensioni, il pavimento ricoperto di materassi.
Majlinda guarda silenziosa lo spazio vuoto. I suoi occhi, però, vedono molto di più di quanto è racchiuso tra le pareti mute della palestra. Lunghe ore di corsa e prese passano veloci nella sua mente, insieme alle lezioni teoriche di judo, preludio di nuovi allenamenti e sudore.
E’ questo il luogo dove Majlinda Kelmendi, campionessa mondiale junior di judo, ha costruito faticosamente il suo successo sportivo. “E’ da dieci anni che vengo qui”, ci dice, guardandosi intorno con occhi che tradiscono emozione profonda.
Majlinda si è innamorata del judo subito, dopo qualche allenamento. Ma il momento decisivo per la sua scelta di vita è arrivato a Sarajevo, quando aveva otto anni. Nella sua prima competizione ufficiale Majlinda ha vinto la medaglia di bronzo.
“Per me è stato indimenticabile. Da quel giorno non ho mai smesso di voler salire sul podio”. La sua voglia di vincere l’ha portata in questi anni a diventare la sportiva più premiata di tutto il Kosovo. Sul podio è salita già centinaia di volte, e sempre più spesso sul gradino più alto.
Tradizione di famiglia
C’è ancora della neve di fronte alla casa di Majlinda. Il suo nipotino gioca a bersagliare di palle un albero del cortile. Majlinda lo guarda giocare dalla finestra della sua stanza. Le pareti della cameretta sono decorate da diplomi, attestati e coppe. Tra le altre, spiccano due medaglie: una è quella d’oro vinta ai campionati europei junior di Yerevan, in Armenia. L’altra, la più preziosa, è quella che attesta la sua vittoria agli ultimi campionati mondiali junior di Parigi.
Mentre Majlinda ce la mostra, dopo averla staccata con delicatezza dal muro, sua madre Fikrete entra con discrezione nella stanza. Oggi sulla cinquantina, Fikrete è stata la prima della famiglia a indossare un kimono, quando era una ragazza. Dopo pochi mesi di allenamento, però, i suoi genitori decisero che la sua passione era sconveniente, e le proibirono di continuare.
“Per Majlinda le cose sono diverse”, ci dice Fikrete, a pochi passi dalla sua figlia più giovane. Insieme a suo marito Ismet, un ex calciatore professionista, Fikrete ha sempre incoraggiato i propri figli a seguire le proprie passioni. Due figlie più grandi, ma anche una cugina, hanno praticato il judo per periodi più o meno lunghi.
“Per Majlinda, però, lo sport è diventato qualcosa di più che un hobby. E da parte nostra ha avuto sempre il massimo supporto”, aggiunge la donna con una punta d’orgoglio. A Fikrete e Ismet non importa che la loro bambina trascorra lunghe ore in palestra insieme a molti uomini. Quella di Majlinda, però, è ancora più un’eccezione che la regola: a Peja le regole e i dettami sociali restano ancora molto conservatori.
Il sostegno dei genitori a Majlinda, comunque, si basa su un elemento imprescindibile: quello dei risultati scolastici. “E’ importante che completi la sua istruzione, perché quello che impari a scuola resta con te per tutta la vita”, ci dice ancora Fikrete, dopo aver ammesso candidamente che piange ogni volta che sua figlia vince una gara.
Fino ad oggi, Majlinda le ha regalato soddisfazioni anche a livello di studio. La campionessa, evidentemente, si applica con fervore in tutto quello che fa. Al momento lo sport è la sua priorità, e questo significa dover perdere molte lezioni, e quindi ulteriore studio a casa per non rimanere indietro rispetto ai compagni. “Per fortuna le mie migliori amiche mi aiutano con gli appunti, altrimenti non so proprio come avrei fatto”, dice Majlinda, che alla fine di quest’anno scolastico dovrebbe diplomarsi in economia.
Il successo
E’ tempo della passeggiata pomeridiana. Il rispetto di cui gode Majlinda nel quartiere è evidente. La ragazza saluta chi passa con un timido sorriso e un cenno del capo. In cambio riceve aperti saluti e molti sorrisi. Un meccanico, in fondo alla strada, la ferma per qualche minuto, per chiedere come vanno le cose in palestra e, naturalmente, quando arriverà la prossima medaglia.
Majlinda è ormai famosa in tutta la città. Appellativi quali “la campionessa”, “la famosa ragazza del judo”, oppure “la nostra Majlinda Kelmendi” ne sono la prova. Molti bambini in strada la salutano apertamente con la mano. Anche un poliziotto, sulla piazza centrale di Peja, la ferma per informarsi sugli allenamenti. Dalle sue passeggiate, Majlinda torna sempre a casa con un grande sorriso stampato sulla faccia.
“Il mio successo non è stato istantaneo, ma è cresciuto nel tempo. E non c’è nulla che potrebbe farmi più felice di quello che faccio adesso”, ci dice Majlinda, dopo aver confessato che di solito non chiama a casa neppure per comunicare ai suoi di aver vinto una medaglia. “Devo rimanere concentrata prima, durante e dopo le gare. Aspetto sempre che siano loro a chiamare me”.
Nonostante la sua fama, Majlinda non ama particolarmente mostrarsi in bar, discoteche o club, dove i suoi compagni e compagne trascorrono di solito il tempo libero. Preferisce mangiare qualcosa insieme ad un circolo ristretto di amiche, o visitare i cugini.
Squilla il cellulare. E’ il suo allenatore. La conversazione dura pochi secondi. Majlinda risponde alle domande con un “sì” o con un “no”. Tanto basta per mettersi d’accordo sul prossimo allenamento in palestra.
Allenamento e sudore
E’ ormai sera, e le luci della palestra sono state appena accese. Lo spazio vuoto è dominato dalle foto di Majlinda, attaccate alle pareti negli angoli più visibili. Foto delle sue gare più importanti e delle successive cerimonie di premiazione si alternano ai grandi specchi.
Per i molti bambini che vengono in palestra non potrebbe esserci motivazione più forte di quelle fotografie. I primi gruppi di piccoli allievi, dopo essere entrati, iniziano a simulare lotte agli angoli della palestra. Tra risate e chiacchiericcio, altri bambini riempiono la sala. Mentre l’eco di piccoli passi riempie lo spazio, una figura imponente si fa strada nella palestra e si posiziona di fronte agli allievi già allineati. La voce emerge potente: “In linea!”.
Il rispetto che l’allenatore gode all’interno del club, così come nella comunità del judo, è fortissimo. Jeton “Tony” Kuka se l’è guadagnato negli anni ’80, quando è diventato in fretta uno dei grandi talenti in questo sport nell’ex-Jugoslavia, consolidandolo poi negli ultimi dieci anni nei panni di allenatore. Il processo di disgregazione della Jugoslavia ha messo precocemente fine alla sua carriera agonistica, quando aveva solo 19 anni. Ma sembra che l’opportunità persa da Kuka sia oggi raccolta dalle nuove generazioni che allena. Kuka è convinto che altri suoi allievi riusciranno a conquistare allori a livello mondiale nei prossimi anni.
In linea di fronte a lui ci sono una trentina di bambini. Majlinda guida il riscaldamento. Concentrazione e determinazione fuori dal comune sono evidenti sul suo volto e nel suo linguaggio corporeo. “Majlinda è una lottatrice nata. Negli allenamenti è infaticabile, e la sua voglia di vincere è da invidiare”, dice Toni della sua allieva.
In palestra Majlinda si allena con Nora Gjakova, un’altra allieva di Kuka che negli ultimi campionati mondiali di Parigi ha mancato per un soffio l’accesso alla zona medaglie, terminando la competizione al settimo posto.
A prima vista sembra che lo “Ippon Judo Club” sia dominato dall’elemento femminile. Ci sono una ventina di ragazze agli allenamenti. Il fatto, ci dice Kuka, è che i bambini, non appena diventano ragazzi vengono attratti da altri interessi, mentre le ragazze mostrano più determinazione e serietà.
I recenti successi hanno fatto di questo club un vero apripista in Kosovo, e un punto di riferimento per il movimento a livello internazionale. Per riuscirci, naturalmente, bisogna partecipare a tornei e campionati in tutta Europa. Per dieci anni la maggior parte dei costi sono stati coperti privatamente dal club stesso, guidato da Tony e da suo fratello Agron, che è anche il presidente della Federazione di Judo del Kosovo.
Nessun aiuto è arrivato dalle istituzioni, nemmeno quando sul club sono iniziati a piovere medaglie e riconoscimenti. Le cose sono andate meglio sul fronte internazionale: i due fratelli Kuka sono riusciti a portare nella loro palestra, per ben tre volte, il presidente della federazione internazionale, Marius L.Vizer. Incoraggiato dalla professionalità e dai risultati del club, dall’estate 2009 Vizer ha reso possibile la partecipazione alle competizioni internazionali di Majlinda e delle sue compagne sotto la bandiera della federazione internazionale stessa. Un aiuto importante: la federazione kosovara non è stata ancora riconosciuta a livello mondiale. Tanto che a Yerevan Majlinda è divenuta campionessa europea gareggiando per l’Albania (avendo doppia cittadinanza).
Non è tutto. Dopo che Majlinda ha battuto nella finale mondiale la campionessa in carica della categoria 52 kg, la giapponese Chiho Kagaya, Vizer ha fatto suonare, come promesso, l’inno del Kosovo. E’ la prima volta in assoluto che queste note sono risuonate su un palcoscenico sportivo internazionale.
Missione Londra 2012
Majlinda sa bene cosa serve per continuare ad essere al top: allenamento e sudore. Da due anni la sua giornata inizia con un primo allenamento alle sei del mattino, seguito da una seconda sessione prima con le compagne e poi con gli uomini, per migliorare e affinare le tecniche di lotta. Di domenica, poi, Majlinda fa lunghe passeggiate sulle alture che circondano Peja.
La concorrenza, però, è agguerrita. Il prossimo obiettivo, naturalmente, sono le olimpiadi del 2012 a Londra. Per avere serie possibilità di vittoria, il suo allenatore ha un piano preciso. “E’ molto importante che Majlinda entri nei primi otto posti della classifica internazionale, per essere testa di serie”, spiega Kuka, aggiungendo che la strada che porta a Londra è appena iniziata.
Una questione che rimane aperta, però, è quella della bandiera sotto cui partecipare ai giochi. Anche dopo la vittoria a Yerevan, Kuka ha rifiutato di firmare un contratto che avrebbe legato Majlinda all’Albania a vita. Lo stesso Kuka ha ricevuto offerte di impiego da parte della federazione slovena, a patto che Majlinda difendesse i colori di Lubiana. Offerte ancora più pressanti sono arrivate da vari stati arabi, accompagnate da promesse d’ingaggio paragonabili a quelle dei super-pagati campioni di calcio.
Kuka, però, per il momento è irremovibile: gloria e medaglie devono andare al Kosovo. L’allenatore spera che un giorno le istituzioni riserveranno l’attenzione dovuta allo sport e agli sportivi, che oggi si limita a fondi dati arbitrariamente e in modo saltuario. “Abbiamo rifiutato offerte importanti. Cambieremo la nostra decisione solo se continueremo ad essere completamente ignorati dallo stato, altrimenti a Londra, se possibile, gareggeremo sotto la bandiera del Kosovo”.
Un altro giorno di allenamenti è finito. Majlinda fa un respiro profondo. “Il mio sogno è rappresentare gli Albanesi ai giochi olimpici”, dice ispirata, consapevole del duro lavoro che l’aspetta. Il pensiero torna alla vittoria di Parigi. “Ero così eccitata dopo aver battuto la campionessa giapponese, che continuavo a saltare dalla gioia senza riuscire a fermarmi”. Majlinda allora è addirittura scoppiata in lacrime, cosa che le era successa solo dopo una sconfitta. “L’altro momento indimenticabile è stato ascoltare l’inno del Kosovo durante la premiazione. Ero raggiante”.
Di sicuro la campionessa renderebbe felici molti kosovari se, con le sue imprese sportive, riuscisse a far suonare l’inno del Kosovo anche ai giochi di Londra. “Se arrivo al podio, prometto che stavolta telefonerò a mia madre per darle la notizia”. Ma allora sarebbe già in ritardo. Perché non solo la sua famiglia, ma tutto il Kosovo starebbe già esultando.