Macedonia: paura del 2001
Settimane di violenze in Macedonia, tra appartenenti alle due principali comunità che vi abitano, slavo-macedoni e albanesi. Cresce la paura nel Paese per un ritorno al conflitto del 2001. I fatti, il pregresso e il futuro in questo nostro approfondimento
Nelle scorse settimane si è assistito al propagarsi di scontri etnici in tutta la Macedonia. Perpetrati in particolare da giovani, gli scontri hanno rappresentato un preoccupante campanello d’allarme in merito alla riemersione di tensioni etniche nel Paese.
E’ iniziato tutto da un duplice omicidio a Gostivar, alla fine del febbraio scorso. Il movente era quanto mai banale (e purtroppo frequente): una lite per un posteggio dell’auto. La questione etnica era, a quanto risulta, del tutto incidentale. Una tra le molte vicende di cronaca che nascono per diatribe tra automobilisti, e che in alcuni casi finiscono in tragedia.
Due giovani albanesi-macedoni, irritati dal fatto che il loro vicino (macedone) occupasse in continuazione il loro parcheggio, hanno finito per avere con lui una violenta discussione, in un quartiere della periferia di Gostivar. Secondo i testimoni la lite è degenerata ed è terminata con i due giovani che schiaffeggiavano il vicino. Quest’ultimo, un poliziotto in quel momento fuori servizio, aveva una pistola nel cruscotto della macchina. L’ha presa, mentre la giovane figlia assisteva alla scena dall’interno della vettura, e li ha uccisi entrambi, mentre si stavano allontanando. Da quanto riportato dai media – ma non sottolineato sufficientemente da quelli in lingua macedone – il poliziotto aveva un passato caratterizzato da atti violenti e una precedente condanna per aggressione, con pena poi sospesa.
Le reazioni
Due giorni dopo l’omicidio è stata promossa a Gostivar una marcia di protesta, terminata con toni piuttosto accesi e numerosi vetri di finestre infranti. Proteste di minor rilievo si sono tenute anche nella capitale Skopje e a Tetovo.
Nei giorni successivi, in maniera del tutto tipica da parte dei politici macedoni che sembrano non sentirsi responsabili di nulla di quanto accade, il ministro degli Interni Gordana Jankulovska ha archiviato troppo in fretta una domanda di un giornalista che le chiedeva come mai un poliziotto il cui comportamento era già stato individuato come violento potesse essere ancora in servizio e perdipiù armato.
Nel frattempo alcuni giornalisti macedoni erano inclini a interpretare la vicenda come autodifesa. In quei giorni non era infrequente sentire ragionamenti del tipo “ha preso la pistola perché temeva per la vita di sua figlia”, nonostante questo fosse in contraddizione con quanto affermato dai testimoni oculari dell’accaduto. Da parte dei media macedoni è stato dato inoltre molto spazio alla moglie dell’omicida che condivideva con il pubblico il suo timore della “vendetta di sangue”.
La violenza sugli autobus
Nei giorni successivi la violenza è sfociata per le strade, inizialmente a Skopje, poi anche a Tetovo e Prilep. Nella capitale persone mascherate sono salite su alcuni autobus pubblici ed hanno iniziato a picchiare i passeggeri. E’ accaduto in una notte sola, sulle linee 56, 57 e 65: incidenti chiaramente orchestrati e probabilmente realizzati da un unico gruppo di persone.
Mentre la violenza montava, i mass media hanno iniziato a informare in modo più equilibrato. Ad esempio non comunicare l’appartenenza etnica delle vittime di queste aggressioni, in modo da non provocare ulteriori tensioni.
Ciononostante era chiaro a tutti che queste ultime aggressioni erano a danno di cittadini della comunità macedone. E potevano essere una risposta alle uccisioni dei due giovani albanesi di Gostivar. Di conseguenza vi sono stati altri episodi di violenza a danni, questa volta, della comunità albanese. Nel complesso si sono verificati 20 episodi di violenza nel corso di un’intera settimana di tensione. Alcune persone, nei giorni successivi, sono state arrestate.
Comunità internazionale, media, oltreconfine
Mentre la tensione saliva, si è affacciata sullo scenario anche la comunità internazionale. L’Unione europea e gli Stati Uniti hanno emesso comunicati nei quali si esprimeva preoccupazione. L’ambasciatore Osce nel Paese, Ralf Breth, ha ammonito sul fatto che nessun episodio di violenza debba essere ignorato, in particolare in ambienti multietnici ipersensibili.
La tensione si è tra l’altro anche propagata nei Paesi vicini. Isolati atti violenti di protesta anti-macedone si sono verificati sia in Kosovo che in Albania. A Pristina, il 16 marzo scorso, è stata lanciata una molotov conto l’ambasciata macedone, dopo di che l’edificio è stato sorvegliato dalla polizia kosovara. Una settimana dopo la stessa ambasciata è stata presa a sassate durante una manifestazione di protesta. A Tirana è stata bruciata una bandiera macedone da parte di un gruppo di estremisti davanti a numerose telecamere.
E la politica?
I politici macedoni hanno agito come ci si poteva aspettare. I due partiti al governo, il VMRO-DPMNE (che si rivolge alla comunità etnica macedone) e il DUI (che si rivolge a quella albanese) hanno provato a calmare le acque. I partiti d’opposizione, l’SDSM (macedone) e il DPA (albanese) hanno attaccato il governo.
Alcuni mass media si sono mostrati moderati ed hanno invocato alla ragionevolezza, altri invece hanno cavalcato l’esplosione nazionalista. Ad un certo punto, la prima pagina di un quotidiano, titolava “Sta ritornando il 2001?” (anno della guerra civile in macedonia, ndr). Un titolo drammatico, ma una domanda nella testa di molti cittadini della Macedonia. La risposta dovrebbe essere “no”, almeno nel medio periodo. Il radicalismo di strada e da stadio non porta immediatamente ad un conflitto organizzato.
Non è guerra civile
La parola chiave, da tenere in considerazione, è “organizzato”, intendendo con questo gruppi armati che seguono una catena di comando e forniti di armi e vettovaglie. E’ così che è iniziato il conflitto nel 2001, senza che prima vi fossero stati incidenti di rilievo: gruppi armati apparvero tra le montagne ed iniziarono a sparare. Il partito pro-albanese DPA, ai tempi parte della coalizione governativa, ne fu stupito tanto quanto gli altri. L’erede politico di quei gruppi armati, il DUI, è ora solidamente integrato nella coalizione di governo.
Quindi non ci si può aspettare che la violenza di strada di queste settimane porti ad una nuova guerra. Ciononostante, se si prolungasse, potrebbe portare ad una rilevante crisi politica e, soprattutto, riempire i cittadini di paure. Skopje è, in fin dei conti, una città sicura. La gente si sente sicura nel passeggiare da sola, anche tardi la sera. Il vedere un poliziotto ad ogni angolo di strada, come accaduto di recente, non è normale.
Attivisti, intellettuali ed artisti si sono riuniti, sabato 17 marzo, per una marcia della pace nel parco centrale di Skopje. Si sono fatti vedere (e fotografare) anche numerosi politici. Negli ultimi giorni sembra che la tensione si sia affievolita, anche se un paio di autobus sono stati colpiti con sassaiole, uno vicino a Struga ed un altro, con all’interno degli scolari, nella regione di Kumanovo.
Cosa ha causato tutto questo?
La domanda principale però resta: cosa ha causato tutto questo? Andando oltre la scintilla che ha provocato le violenze, il dilemma è capire chi stia rinfocolando la fiamma etnica. Le risposte che si sono lette e sentite passano dalla crisi economica, attraverso la disoccupazione, per arrivare alle frizioni interne ai singoli partiti e nella coalizione al governo, sino alle solite (non possono mai mancare) cospirazioni straniere.
Alcuni analisti, a ragione, hanno poi puntato il dito sul nazionalismo macedone crescente degli ultimi anni. Il partito attualmente al potere, il VMRO, ha investito considerevoli somme di denaro pubblico e sforzi per dimostrare quanto antichi, vittoriosi e grandi siano i macedoni. Da quel punto in poi la storia è ben nota. E’ stata già vissuta altrove. Di norma un nazionalismo non fa che risvegliarne un altro…