Macedonia: i fiori e il mare

E’ figlio del sole e del vento che baciano i monti Osogovski, in Macedonia. E del Mar Egeo. Un viaggio alla scoperta del sale pestato di Kratovo e di una famiglia che vuole proporre il primo "ostello slow" macedone

11/10/2012, Francesco Martino - Kratovo

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La famiglia Donevski e la "kcana sol" - Ivo Danchev

La sinfonia di odori e fragranze riempie la stanza dalle pareti appena imbiancate, fino quasi a stordire i sensi. A note sgargianti e piene, come quelle della menta piperita e del rosmarino, si alternano altre più bilanciate e umili, come il mais tostato e la “majcina dusica”, colta a mano sugli alti pascoli che ornano le cime dei monti Osogovski, ai confini con la Bulgaria.

I colpi buoni del mortaio di Stevce

Stevce, seduto su un basso sgabello di quercia, mulina senza sosta il grande pestello d’acciaio nel “dibek”, il pesante mortaio di marmo, dove sua moglie Valja versa a poco a poco tutte e quindici le erbe e i sapori che, ridotti a una polvere sottile e penetrante e mescolati al biancore del sale marino, creano la magia profumata della “kcana sol”, il sale pestato di Kratovo.

I colpi di Stevce sono così violenti che l’intera casa, vecchia più di quattrocento anni, trema dalle travi del soffitto fino alle fondamenta. Siamo al centro del “quartiere cattolico” di Kratovo, affascinante e semisconosciuta località della Macedonia orientale. Centinaia di tetti rossi orlano i fianchi di un antico cratere, segnato da profonde fessure scavate nel tempo dai fiumi Tabacka, Manceva e Babakarina: fratture che gli abitanti della città hanno ricucito pazientemente nel corso dei secoli, gettando sugli abissi ben tredici ponti.

La ‘kcana sol’ figlia del sole e del vento

Kratovo, seimila abitanti, oggi periferica e sonnolenta, vanta un passato opulento, legato alle miniere di metalli preziosi che ancora circondano la cittadina e alle numerose comunità (turchi, macedoni, ebrei, ragusani, veneziani, greci) che la rendevano uno degli snodi centrali delle rotte mercantili che, attraverso i monti e le valli dei Balcani, collegavano l’antica repubblica adriatica di Ragusa (Dubrovnik) al porto egeo di Salonicco.

Oggi buona parte di quel passato multicolore è perduta (i “cattolici”, che hanno lasciato in eredità il proprio nome al quartiere, sono andati via nel XVII secolo, seguiti poco a poco dalle altre comunità “non macedoni”), ma Kratovo ne conserva segni evidenti, come le alte torri in pietra, costruite da despoti medievali per mettere al sicuro le fortune estratte dalle profondità della terra. E quella ricchezza di sfumature è miracolosamente viva anche in tavola, dove tradizioni differenti hanno contribuito a creare accostamenti inconsueti e piccole magie: proprio come come la “kcana sol”.

“La ‘kcana sol’ è figlia del sole e del vento che baciano i monti Osogovski, che si sposano col sale del mar Egeo”. Stevce Donevski, direttore del centro di arte rupestre di Kratovo, oltre che referente Slow Food, è uno dei pochi che, insieme alla moglie Valja e al figlio Jakim, tiene viva questa tradizione secolare. Oggi a Kratovo sono rimaste circa dieci famiglie a produrre ancora il sale pestato. Di queste, solo due, compresa quella di Stevce e Valja, producono anche per la vendita sul mercato, soprattutto per alcuni ristoranti della zona. Gli altri, invece, lo fanno solo per uso domestico.

“Le erbe e gli odori sono di due tipi”, spiega Stevce, “alcune coltivate, altre, le più preziose, raccolte sulle pendici dei monti. Ognuno usa ricette diverse, tramandate da generazioni lontane e custodite gelosamente, e proporzioni diverse degli ingredienti”. Le prime erbe vengono raccolte a maggio, le ultime nella tarda estate. Un’operazione lunga e paziente: alcuni odori fioriscono soltanto per pochi giorni l’anno, per poi sparire. Molti degli ingredienti sono difficili da trovare, e costosi. Tra quelli più rari, la “povecerinka”, una piccola spiga erbacea poco vistosa, che espande il suo profumo soltanto all’imbrunire, e il “noktarac”, fiore giallo-zafferano utilizzato anticamente anche medicina per disinfettare le ferite.

“Sono soprattutto donne a raccogliere le erbe di montagna, e a venderle al mercato dei principali centri della regione, Kratovo, Probistip, Kriva Palanka”, racconta Valja, mentre passa al setaccio la polvere scura prodotta dal pestare ritmico di Stevce nel mortaio. “Tutte le piante vengono tagliate con coltelli speciali, con la lama di legno, per preservare gli aromi. Dopo essere state colte vengono appese e fatte asciugare per due settimane. Poi, quando tutto è pronto, si passa alla fase finale, fatta di fatica. E di esperienza nel dosare ogni singolo odore, ogni singola fragranza”.

Per prima cosa si tosta il sale grosso, tradizionalmente importato da Salonicco, “a tre giorni di cavallo da Kratovo”. Per farlo si usa il “katar”, cilindro cavo in ferro in cui si introduce il sale, che si fa girare all’interno di una stufa di ghisa grazie al lungo manico ritorto. L’operazione dura pochi minuti, ed è indispensabile per rendere il sale friabile sotto i colpi del pestello. Allo stesso modo, e per lo stesso motivo, viene poi tostato il mais, localmente chiamato “kukuruz”.

A poco a poco nel mortaio scompaiono peperoni (piccanti o meno), rosmarino, basilico, menta piperita e menta selvatica, timo. Segue un caleidoscopio di piante di montagna: “smilj”, “kopar”, “silina”, “povecerinka”, “noktarac”. Ma molti produttori tengono gelosamente segreti almeno alcuni degli ingredienti utilizzati e che rendono unico e irripetibile il loro sale. Il prodotto finale, una volta passato al setaccio, è una polvere sottile, dal colore brunito, che ricorda le rocce vulcaniche che dominano il paesaggio di Kratovo. Quello appena pestato da Stevce ha un retrogusto piccante e un forte accento di menta piperita.

Il turbine di odori che esalta ogni piatto

Il sale pestato si accompagna ai piatti tipici, dalla carne ai pasticci tradizionali detti “mantije”, oppure alla “pastarmajka”, una specie di pizza-calzone che a Kratovo si guarnisce con carne di maiale affumicata. “La ‘kcana sol’, però, viene esaltata soprattutto dai sapori semplici”, dice sorridente Valja. Per dimostrarlo, insieme al marito apparecchia in fretta la la tavola rustica al piano terra. Uova sode, formaggio di pecora “sir”, “sopska salata” (un classico balcanico: pomodori, cetrioli e cipolla, coperti da una coltre di formaggio grattugiato”), peperoni appena fritti, fagioli cotti al forno. La “kcana sol” sprigiona il suo turbine di odori rendendo unico ogni sapore, senza però cancellare il gusto semplice dei piatti serviti.

L’apoteosi, però, arriva con la “peta”: un piccolo pane rotondo, cotto a legna, tipico di Kratovo e della regione circostante. Con gesti misurati, sicuri, Stevce spezza il pane. Poi versa sulla superficie morbida e bianca, messa a nudo dalla lama, alcune gocce di olio d’oliva. E’ quindi il turno della “kcana sol”, versata in abbondanza nella soffice spaccatura. “Non esiste cosa più umile, e più buona”, dice convinto Stevce, mentre ci porge la “peta”, sorridendo sornione.

Un ostello per rallentare il passo

Stevce e Valja hanno le idee chiare. La “kcana sol” e il mondo antico che questa rappresenta, possono essere salvaguardati soltanto stando al passo coi tempi, rendendole parte di un’offerta turistico-culturale e culinaria integrata. Una sfida stimolante, ma difficile, viste le difficoltà economiche della Macedonia, rese più pesanti da una delicata situazione politica interna e dalle porte sbarrate al paese dalla vicina Grecia al possibile ingresso nell’Unione europea, a causa di un’annosa disputa sul nome costituzionale del paese (Atene, infatti, ritiene che “Macedonia” sia un termine di esclusiva pertinenza storica greca).

Ecco perché Stevce e Valja stanno ristrutturando la vecchia casa del “quartiere cattolico”, affacciata su due delle antiche torri di Kratovo, la “Krsteva Kula” e la “Srezna Kula”. “Perché sia sostenibile, il turismo non può essere mordi e fuggi. Per godere i ponti e le strade lastricate di Kratovo, la natura degli Osogovski, la quiete dei monasteri medievali, come quello di Lesnovo, lo spettacolo degli osservatori astronomici neolitici di Kokino e Cocev Kamen, c’è bisogno di tempo e del passo lento che ci è stato insegnato da generazioni lontane”, racconta ispirato Stevce.

Nel suo sogno e in quello di Valja, la casa diventerà il primo “ostello slow” di Kratovo, punto di partenza per scoprire i segreti di questa terra antica e inesplorata. “I nostri ospiti, se vorranno, potranno imparare anche a cucinare i piatti tipici di Kratovo. E perché no, anche a fare da sé la ‘kcana sol’”, aggiunge Valja. “Perché in fondo, chi non ha provato il sale pestato, non può dire di aver veramente assaggiato l’anima profonda della nostra terra”.

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