Macedonia: croce e diplomazia

Nel ’67 si erano divise. Chiesa ortodossa macedone da una parte, serba dall’altra. In questi ultimi anni il rapporto tra le due istituzioni è peggiorato. E la vicenda di un sacerdote "ribelle" rischia ora di mettere in crisi addirittura i rapporti tra i due Paesi

31/08/2005, Risto Karajkov -

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Il sacerdote Jovan

La Macedonia è una storia strana, 2 milioni di persone, un piccolo pezzo di terra, e dibattiti e polemiche su qualsiasi cosa. Spesso, anche se non sempre, per colpa sua.

I greci non riconoscono il suo nome, anche se sono passati molti anni dalla sua indipendenza e continua l’assurdità evidente nell’ostinarsi a chiamarla "Ex Repubblica yugoslava di Macedonia".

I bulgari non la riconoscono come nazione ed affermano che il macedone sarebbe esclusivamente una variante del bulgaro. La Bulgaria è stata tra i primi paesi a riconoscerla ufficialmente in seguito alla dissoluzione della ex-Jugoslavia, temendo che altri Paesi ne rivendicassero i territori ma proprio non riesce ad accettare l’identità delle persone che la abitano.

Le questioni aperte con l’Albania e con il Kosovo riguardano invece la forte minoranza albanese presente in Macedonia. Dopo scontri violenti nel 2001 la Macedonia si è data un’organizzazione costituzionale nuova per rispondere alle richieste di diritti ed autonomia da parte della comunità albanese.

Con i serbi poi vi sono dispute di confine e riguardanti la chiesa ortodossa. La chiesa ortodossa serba infatti non riconosce quella macedone, che ha dichiarato la propria "indipendenza" nel 1967, durante il periodo socialista, e cioè quando le chiese locali dovevano necessariamente mantenere un basso profilo. Per quanto riguarda invece le dispute di confine queste ultime sono state regolate recentemente dopo lunghi anni di contrasti quando Milosevic era al potere.

In un passato non troppo remoto la Macedonia è stata "la mela della discordia" tra i suoi più potenti vicini ed una carta di scambio per gli imperi europei del tempo che l’hanno data ai vincitori, tolta ai vinti e divisa. L’ombra di questo passato si riflette ancora fortemente nell’irrisolta crisi di identità dei giorni nostri.

Davanti a tutte queste sfide ai macedoni non resta che praticare ed imparare in fretta la tolleranza, la docilità e la flessibilità, cosa che, ad onor del vero, in passato non sono stati così bravi a fare.

In uno dei casi più recenti, che ha coinvolto un sacerdote macedone, i dissidi tra Chiesa ortodossa macedone e serba hanno portato ad un peggioramento delle relazioni tra i due paesi.

Tre anni fa un prete macedone si è ribellato alla Chiesa macedone ed ha invece aderito a quella serba. Le reazioni dell’opinione pubblica sono state rabbiose ed è scoppiato il caso politico. Per il sacerdote si sono addirittura aperte le porte del carcere.

Nel 2002 il vescovo Jovan, in seguito a negoziazioni tra le due Chiese volte a trovare una riconciliazione ma poi finite nel nulla ha invitato l’istituzione macedone a tornare ad abbracciare quella serba, rinunciando alla propria indipendenza. E’ immediatamente divenuto oggetto di aspre critiche ed è stato espulso dalla chiesa macedone. Forse in quel periodo era la persona pubblica più detestata nel Paese. Se ne è andato ed uno sparuto gruppo di fedeli lo ha seguito. Uno scisma da manuale. Nonostante l’espulsione il sacerdote ha però continuato il braccio di ferro con la chiesa macedone continuando ad utilizzare edifici religiosi ed a celebrare messe.

Sotto la pressione di fedeli e chiesa ortodossa sono entrate in campo anche le autorità statali: a padre Jovan è stato notificato un ordine di arresto per incitamento all’odio religioso, appropriazione indebita e abuso d’autorità. Ma mentre la Chiesa ortodossa macedone l’espelleva, quella serba lo accoglieva a braccia aperte, dichiarandolo proprio prete in Macedonia. Padre Jovan ha immediatamente costituito l’arcidiocesi di Ohrid ed ha istituito una chiesa ortodossa "alternativa" in Macedonia, immediatamente riconosciuta da quella serba. Alla fine di luglio però è arrivata la sentenza: 5 anni di prigione, e padre Jovan è finito dietro alle sbarre.

Quella che era una questione prettamente interna alla Macedonia ha iniziato ad assumere connotati e conseguenze internazionali.

Il primo ministro serbo, Vojislav Kostunica, ha tenuto a precisare di essere particolarmente vicino alle posizioni della chiesa ortodossa serba ed alla richiesta del rilascio di padre Jovan. Secondo lui "l’unica soluzione possibile è il suo rilascio immediato". Altrimenti, si intuisce, le relazioni tra i due paesi rischiano di deteriorarsi rapidamente.

Ancora più dura è stata la dichiarazione di Velimir Ilic, Ministro del governo serbo per gli investimenti, che ha dichiarato che "è tempo di mostrare i denti perché quello che è accaduto con il vescovo della Chiesa serba in Macedonia è intollerabile". Ha conseguentemente ed immediatamente ordinato il ritiro di una concessione in leasing di due aerei che la compagnia di volo nazionale serba aveva garantito a quella macedone.

Molto attivo anche il leader del Movimento delle forze serbe, a destra nel panorama politico nazionale, Bogoljub Karic, che rivendica a se il merito di aver raccolto più di mezzo milione di firme a favore della liberazione di padre Jovan. "Mi è apparso in sogno", ha dichiarato e questo è stato un motivo in più che lo ha spinto ad attivarsi in sua difesa.

In una recente analisi un’agenzia stampa tedesca ha argomentato che la Chiesa ortodossa ha assunto, negli ultimi anni, un ruolo sempre più preponderante nella politica serba.

In modo simile Vojin Dimitrijevic, a capo del Centro di Belgrado sui diritti umani, ha recentemente dichiarato che "la chiesa recentemente non ha agito come guida spirituale. Al contrario è più interessata al potere, ai suoi livelli più alti". Ha citato anche, in un’intervista, una conversazione con un alto rappresentante della Chiesa ortodossa che gli avrebbe detto come "la chiesa avrebbe forti responsabilità storiche se non sfruttasse l’attuale opportunità che non si presentava dai tempi di San Sava". I media serbi danno molto spazio a questioni legate alla chiesa ed è consuetudine che quando il patriarca della chiesa ortodossa si rivolge al pubblico siano presenti anche i maggiori politici serbi. Cosa simile era avvenuta in Macedonia durante il passato governo dell’VMRO.

Lo scorso anno il Ministro serbo dell’educazione dovette dimettersi, a causa della pressione dell’opinione pubblica, perché bandì dai libri di teso la teoria darwinista sull’evoluzione. Secondo fonti ben informate il ministro riteneva che fosse più valida la teoria secondo la quale "è stato Dio a creare l’uomo".

Su posizioni più moderate è invece il Presidente della Serbia Boris Tadic che ha chiesto non si interferisca con questioni interne della Macedonia ed ha sentito più volte al telefono Branko Crvenkovski, Presidente macedone ed entrambi si sono impegnati per allentare le tensioni.

Anche alcuni dell’opposizione hanno fortemente criticato il governo serbo per la posizione assunta.

"I serbi hanno talento nel farsi nemici anche gli amici più stretti" ha dichiarato l’ex ministro degli interni Dusan Mihajlovic, chiedendo poi al governo di mantenere buone relazioni con la Macedonia "che è sempre rimasta amica quando invece tutti giravano le spalle alla Serbia".

L’intero spettro politico macedone per ora applica il basso profilo e si limita ad invocare la non interferenza su questioni interne macedoni.

"Quando parliamo di Vraniskovski (il cognome civile del vescovo Jovan) parliamo di un cittadino macedone, che tra l’altro non appartiene alla minoranza serba di Macedonia, di una persone che ha costituito un’organizzazione il cui scopo non è quello di promuovere i sentimenti religiosi tra i serbi di Macedonia …" ha sottolineato il Presidente Crvenkovski "quindi non vi è alcun motivo per indurre qualcuno o qualche istituzione in Serbia ad intervenire, perché questo significherebbe interferire con gli affari interni della Macedonia".

Secondo il Primo ministro Vlado Buckovski il governo della Macedonia non può fare molto in merito all’imprigionamento del vescovo perché quest’ultimo è stato deciso dall’autorità giudiziaria e "il signor Kostunica, essendo anche professore di diritto, dovrebbe saperlo bene".

Il Presidente macedone ha tra i suoi poteri quello di amnistiare dei detenuti. Molti in Serbia hanno invitato Crvenkovski ad intervenire a favore del vescovo Jovan. Sino ad ora però Crvenkovski non si è espresso in merito, secondo alcuni per non influenzare l’esito di un processo che è ancora in corso. L’appello fatto dagli avvocati difensori del sacerdote incarcerato arriverà ai giudici della Corte suprema nel prossimo settembre, allo stesso tempo il vice di Jovan, il vescovo Dremvicki ha già anticipato che il suo superiore non ha alcuna intenzione di chiedere perdono "perché questo significherebbe il riconoscimento della colpa".

Ljubomir Frckovski, uno dei principali analisti politici del paese ritiene che il peggioramento delle relazioni tra Serbia e Macedonia potrebbe essere connessa all’imminenza dei negoziati sullo status finale del Kosovo. "Per la Serbia sarebbe più facile affrontarli con una Macedonia instabile e fragile piuttosto che il contrario". Ha poi aggiunto in una sua analisi che "i serbi rischiano di uscirne perdenti … hanno ancora l’illusione di essere uno stato che può influenzare in modo imperialista le sorti della regione". Frckovski ha inoltre sottolineato che il comportamento di Belgrado sicuramente favorisce le relazioni con Atene piuttosto che con Skopje.

E’ comunque chiaro, anche senza considerare queste più ampie considerazioni riguardanti l’intera regione, che anche la Macedonia ha giocato un ruolo nel peggioramento delle relazioni. Il primo a reagire rispetto all’incarcerazione del vescovo Jovan è stato il Comitato di Helisinki macedone che ha dichiarato che la corte ha brutalmente violato i diritti civili del sacerdote.

"Ci opponiamo al trattamento riservato a Vranikovski ed al suo gruppo solo perché questi ultimi hanno espresso una fede con modalità differenti. Ci opponiamo all’atteggiamento protettivo del governo rispetto ad una religione specifica per questioni legate alla tradizioni, all’eredità culturale o ad un collegamento con una specifica etnia", ha affermato Mirjana Najcevska, presidente del Comitato.

Anche Amnesty International ha richiesto l’immediato rilascio del vescovo Jovan minacciando di chiamare in causa il Consiglio d’Europa. Anche l’OSCE ha reso pubblico un rapporto già consegnato in passato al governo macedone. Il rapporto contiene anche le puntualizzazioni fatte dal Comitato di Helsinki mettendo in dubbio l’integrità e la qualità del sistema giudiziario. Il governo si aspetta per quest’autunno reazioni da parte della Commissione europea, legate alla preparazione di un rapporto in merito al futuro status di paese candidato della Macedonia e le voci diplomatiche affermano che due delle domande poste riguarderanno la questione del vescovo ribelle e del rispetto degli standard di diritti umani nel Paese.

In un’intervista per il quotidiano "Dnevnik" Ollivier Gilles, professore presso la Libera Università di Bruxelles ed autore di "I Balcani: religioni e nazionalismo", parla con tono critico in merito al comportamento della Macedonia.

"Le conseguenze di questo episodio sono disastrose per l’immagine della Macedonia, che agli occhi del mondo, mette in prigione dei preti; apparentemente per motivi inesistenti … la Macedonia rischia di perdere tutto il credito che ha guadagnato in questi anni molto difficili per i Balcani".

Gilles senza mezzi termini afferma che "gli argomenti del governo macedone assomigliano alle vecchie pratiche in voga durante il periodo comunista, quando l’accusa d’incitamento all’odio religioso era utilizzato come scusa per mettere fuori gioco qualche oppositore politico.

"In questo caso è chiaro che … la questione riguarda lo status della Chiesa ortodossa macedone, il riconoscimento dell’indipendenza dichiarato unilateralmente nel 1967 e naturalmente il riconoscimento del nome stesso della Macedonia, che è il cuore del problema".

Come spesso accade la matassa nei Balcani è particolarmente intricata, e tutti sentono il bisogno di dire la propria.

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