Lungo il Danubio in bicicletta

A due ruote dal Mare del Nord sino a Belgrado, seguendo, a partire da Vienna, il corso del Danubio. Un viaggio raccontato da Enrico Brizzi in "Buone notizie dal Vecchio Mondo". Una recensione

18/01/2021, Diego Zandel -

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In bicicletta a Budapest lungo il Danubio (© robertonencini/Shutterstock)

Enrico Brizzi, che esordì nel 1994 con il sorprendente “Jack Frusciante uscito dal gruppo” è diventato ormai uno straordinario scrittore di viaggi, quelli un po’ speciali, alla Chatwin o alla Patrick Leigh Fermor, viaggi lenti, penetranti, come quelli fatti a piedi oppure in bicicletta. È quest’ultimo il caso del nuovo libro di Brizzi “Buone notizie dal Vecchio Mondo”, dal sottotitolo molto esplicativo “Viaggio a due ruote lungo il Danubio”, edito da Solferino. È, dichiaratamente, un omaggio allo stesso viaggio che fece Fermor negli anni Trenta, a piedi, partito dall’Olanda con destinazione Istanbul, viaggio raccontato in tre splendidi libri, tutti editi da Adelphi “Tempo di regali”, “Fra i boschi e l’acqua” e “La strada interrotta”.

Brizzi parte in bicicletta con un amico, Norman, dal Mare del Nord, tratto accennato al quale – con alcune disavventure capitate all’autore nel rapporto personale con un altro compagno di viaggio – si arriva a Vienna, la prima delle quattro capitali che, percorrendo ciclabili e tratti di trafficate strade normali lungo il Danubio, toccherà scendendo verso la foce del fiume e terminando per ora, dopo essere entrato a Bratislava e Budapest, il viaggio a Belgrado (il tratto successivo, dalla capitale serba al Mar Nero, sarà oggetto di un prossimo viaggio e del relativo racconto, nell’anno successivo).

Confesso di aver provato un po’ d’invidia per l’impresa. I Balcani, motivo di tanti miei scritti e di alcuni libri, li ho attraversati in diversi anni, in battello lungo il Danubio (da Belgrado a Vienna) e in macchina (da Trieste a Salonicco e poi Atene) oltre che in diversi viaggi occasionali, ma riconosco che farli in bicicletta (o a piedi) come Brizzi ti offre la possibilità di una prospettiva diversa, anche se l’ideale – forse impossibile – sarebbe quello di farlo senza un programma di marcia, quale si era imposto Brizzi e il suo compagno (che poi a Budapest dovrà lasciare solo l’autore, per dover tornare al lavoro). Il programma di marcia ti obbliga, infatti, a rispettare la tabella e, quindi, a perderti il piacere di soffermarti in luoghi e con persone che meriterebbero una sosta più lunga, oltre a impedirti un vero e proprio reportage sui luoghi che attraversi, con interviste, contatti con esponenti politici, economici, sociali, con gente che non siano quelle poche persone che trovi nelle pause delle lunghissime pedalate.

Rimpiango con lui il fatto di essersi fermato una sola notte a Šarengrad, l’ultimo villaggio croato prima del posto di frontiera con la Serbia di Ilok nella bella casa sulla sponda del Danubio del Kod Kapetana Petra, un vecchio capitano di battelli sul fiume la cui compagnia è, da come ben ne descrive i tratti Brizzi, davvero un tesoro di esperienze, gioia di vivere e saggezza. Ciò nonostante Brizzi, per rispettare la tabella di marcia, il mattino successivo riparte. È vero, aveva anche un appuntamento con un amico serbo, Conan, il quale però, per problemi con la sua compagna non ha esitato più volte a rinviare data e luogo dell’appuntamento. Tuttavia, per venire al racconto di Brizzi, esso non è privo di impressioni e ritratti, oltre che di un supporto informativo storico e politico, ben studiato dall’autore, ed esposto con grande precisione e sintesi, rispetto alla natura dell’impresa, la quale, se si volesse un vero e proprio reportage, richiederebbe un viaggio con più ampi limiti di tempo e necessiterebbe di rendite economiche che consentissero le spese per alloggi, vitto e altre necessità. Cioè finanziamenti da parte di testate giornalistiche (come è stato per Rober D. Kaplan con il suo “Gli spettri dei Balcani”) o altre fondazioni culturali (com’è stato per la Kapka Kassabova con il suo splendido “Confine, viaggio al termine dell’Europa”).

Il risultato, comunque, è stato quello di un libro in grado di offrire una lettura ricca di suggestioni, emozioni, informazioni ben illustrate e sintetizzate, espressione di una integrazione, solida e priva di sbavature, di tutti gli elementi che compongono il racconto e di cui va dato merito all’autore, anche in considerazione del fatto che la narrazione non è frutto di una lunga permanenza in loco, tale da consentirgli un approfondimento della situazione specifica, bensì di un attento e serio studio preparatorio (oltre alla lettura di Fermor e di Magris) che ha accompagnato Brizzi attraverso tutto il suo viaggio. Studio che riguarda per altro una regione particolarmente difficile sul piano dei fatti storici, anche più recenti, in cui si è vista coinvolta, abitata da popolazioni tanto simili per lingua, cultura, tradizioni da spingere ogni singolo popolo, a esaltare la propria identità sulla differenziazione di dettagli più o meni irrisori per cercare di contrapporsi all’altro. Se la religione di appartenenza è il punto di distinzione più macroscopica, già non lo è più la lingua, e non a caso, proprio su questa, una volta crollata la Jugoslavia, i rispettivi nazionalismi sorti dalle sue ceneri, hanno puntato per definire la propria identità. Parlare con accenti o l’uso di alcune parole, seppur simili e perfettamente comprensibili all’altro, ma diverse dal canone linguistico codificato dalla nazione di appartenenza, invita a una reciproca diffidenza che, a seconda delle circostanze, può essere anche rischioso. In questo senso, l’estraneità dell’italiano Brizzi al contesto, è una sorta di salvacondotto che apre alla tradizionale ospitalità e cordialità della gente, tipica di tutti i Balcani, non esente, per la natura passionale della stessa, da coinvolgimenti amicali qualora dalla reciproca conoscenza emergesse il giusto feeling con la persona.

Va dato atto a Brizzi di avere sul piano storico, quello più lontano del tempo degli imperi asburgico e ottomano, così come per la memoria delle successive guerre mondiali, come, soprattutto, di quello più recente – i cambiamenti intercorsi nel mondo dell’est in seguito alla caduta del Muro di Berlino, l’ultima guerra interetnica nell’ex Jugoslavia, ma anche il ricordo ancora vivo dei tragici eventi della seconda guerra mondiale – di avere saputo accompagnare le varie tappe del suo viaggio a piacere e beneficio dei lettori. Tanto, soprattutto quanti di questi amano quei posti, da attendere con impazienza il seguito del libro che, in compagnia di Brizzi, ci porterà da Belgrado verso le porte di ferro, e quindi alla foce del Danubio e al Mar Nero.

 

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