L’UNESCO e il Tara, intervista a Giorgio Andrian
Nell’ambito del convegno annuale organizzato dall’Osservatorio sui Balcani, abbiamo dialogato col Dott. Giorgio Andrian rappresentante dell’UNESCO di Venezia, presente al convegno in qualità di relatore nella sessione dedicata al caso del fiume Tara
Osservatorio sui Balcani: Qual è stato il ruolo dell’UNESCO nel caso del fiume Tara? Ossia l’UNESCO è riuscito a bloccare la costruzione della diga che coprirebbe un tratto del canyon del fiume Tara?
Giorgio Andrian: Innanzitutto all’UNESCO non è previsto che si interferisca con quelli che vengono definiti gli affari degli Stati, per un principio di non ingerenza. Il ruolo giocato dall’UNESCO è stato quello di informare, là dove l’informazione non era passata, sulle procedure che riguardano la revisione dei piani di gestione dei siti del patrimonio. E siccome il Parco nazionale del Durmitor è all’interno della riserva della biosfera, ed è dal 1980 sito del patrimonio, questo ha innescato nel governo montenegrino un ripensamento che prima non c’era stato. Quindi in questo senso l’UNESCO ha giocato sicuramente un ruolo rilevante.
OB: Il governo montenegrino non vi aveva mai interpellati prima della firma, in sordina, dell’accordo con la Republika Sprska per la costruzione della centrale di Buk Bijela?
Giorgio Andrian: No. Secondo la procedura ordinaria, ogni volta che si fa qualcosa all’interno di un sito o nelle sue vicinanze che in qualche modo può interferire sulle dinamiche del sito, si dovrebbe, attraverso gli organi ufficiali, informare Parigi. Quindi nella fattispecie dell’Unione di Serbia e Montenegro la commissione nazionale dell’UNESCO di Belgrado e il comitato MAB (Man and Biosphere) di Belgrado avrebbero dovuto raccogliere questa istanza e portarla a Parigi, tramite la delegazione permanente. Ciò non è accaduto. Quindi noi siamo stati chiamati, e per la prima volta abbiamo partecipato, ho partecipato io fisicamente, il 13 ottobre alla tavola rotonda organizzata dalle ONG. Siamo arrivati bypassando la procedura ordinaria che non era stata attivata. Da quel momento in poi, le autorità locali hanno ripreso in mano la situazione, hanno incominciato a comunicare con l’UNESCO per avere delle risposte più precise su questa questione. Diciamo che la vasta partecipazione è scattata su un invito misto, tra le ONG locali, in particolare dai Verdi, e l’ufficio di Podgorica dell’UNDP.
OB: Se non sbaglio le amministrazioni locali, della zona interessata alla diga, pare che siano favorevoli alla costruzione della diga. È così?
Giorgio Andrian: Sì, ci sono diversi soggetti, istituzionali e non, che hanno un diretto interesse. Ricordiamo che la diga di Buk Bijela si farà in territorio della Republika Srpska (BiH) e che riguarda il Montenegro nella parte del bacino di invaso. Una diga di queste dimensioni e nel periodo previsto per la realizzazione di 5-6 anni, prevede un grosso investimento finanziario che porta nei comuni interessati alla costruzione della diga, occupazione infrastrutture, e queste cose, a molte comunità locali, interessano. In un momento in cui l’economia è stagnante avere garantiti 5 o 6 anni di lavoro, una presenza internazionale, strade, corrente è un aspetto interessante.
OB: È vero quanto dici, però se ben ricordo l’Alto Rappresentate della BiH, Paddy Ashdown, quando ha bloccato, in qualche modo, i lavori per la costruzione della diga in RS, diceva che questa questione dei posti di lavoro era mal posta. Perché in realtà non si verrebbero a creare tutti questi posti di lavoro, sottolineando che sarebbe maggiore il danno del vantaggio economico.
Giorgio Andrian: Sì, però ancora una volta dipende da come misuriamo le cose. Per costruire una diga di quelle dimensioni, chiaramente servono gli operai e questi non sono pochi e verrebbero presi in loco. Quindi io posso immaginare che il sindaco del paese dove si costruisce la diga possa essere contento di questo aspetto, senza valutare la prospettiva che Ashdown cita di un lungo e medio periodo. Perché, scrive nel suo documento, è meglio pensare ad uno sviluppo sostenibile nel lungo periodo, in cui la costruzione della diga deve essere valutata nell’ambito di una serie di attività, piuttosto che guardare ai benefici immediati. Ci sono invece posizioni che sono molto più attratte dai benefici immediati.
OB: Ci sono altre situazioni analoghe a quella della centrale di Buk Bijela? Penso per esempio alla costruzione delle dighe sul Fiume Vrbas in Bosnia Erzegovina. L’UNESCO è al corrente di situazioni del genere nel territorio balcanico?
Giorgio Andrian: Come ho detto nel mio intervento, la storia di Buk Bijela è iniziata negli anni settanta, dove si prevedeva tutto un sistema di sfruttamento delle risorse dell’intera regione. Buk Bijela è uno degli esempi. In realtà di progetti ce ne sono molti, alcuni sono nei cassetti, altri sono stati tirati fuori. Quindi, noi siamo informati di questo progetto, avendo partecipato in loco abbiamo sentito tutte queste cose. Non siamo direttamente coinvolti come UNESCO per il semplice fatto che mentre in Montenegro nel caso del Tara, c’è questa doppia designazione dell’UNESCO, per la parte bosniaca non c’è niente. Quindi non c’è modo per noi di essere presenti in questa discussione in maniera diversa. Ovviamente più ci rechiamo sul posto e più leggiamo, più siamo informati di queste cose. Come analogia, l’altro grosso caso che abbiamo sul tavolo dell’UNESCO è quello che riguarda il delta del Danubio. Mutatis mutandis, in questo caso invece di scavare una diga hanno deciso di costruire un canale, che gli Ucraini vogliono continuare ad allargare, nel territorio di loro competenza nazionale, che guarda caso è anche il territorio più ricco di biodiversità ed è il cuore della riserva della biosfera. Quindi, ci sono delle differenze, ma i processi sono simili. Un’amministrazione statale che decide di intervenire, nonostante ci siano delle convenzioni internazionali, nonostante il parere contrario dell’Accademia delle scienze e sulla base di alcuni indicatori che sono esclusivamente economici o occupazionali di breve periodo.
OB: Quale potrebbe essere l’alternativa alla realizzazione di queste grandi centrali?
Giorgio Andrian: Una soluzione che abbiamo già discusso anche in dettaglio nel caso del Montenegro è quella di fare degli impianti di dimensioni più piccole e più di uno, in modo da ridurre l’impatto su un territorio più ampio, e naturalmente evitando di farli nelle aree come il Canyon del Tara, che per la loro unicità sono davvero eccezionali. Queste ipotesi erano già state presentate nel 1992, in un convegno in cui si parlava di energia e ambiente, ma per problemi di contingenza politica sono state dimenticate in fretta. Quindi non è che non siano mai state considerate delle alternative.
OB: Secondo te, esiste una lobby dell’energia nei Balcani, penso al caso specifico della azienda londinese EFT, che potrebbe minacciare l’ambiente nei Balcani?
Giorgio Andrian: Ovviamente nell’ambito delle informazioni che ci giungono ci sono anche queste letture e interpretazioni che non possiamo misurare direttamente. Chiaramente da come il caso specifico della Buk Bijela è stato riproposto a distanza di anni, non si può certo parlare di partecipazione pubblica, di trasparenza della pubblica amministrazione, di gara d’appalto regolare. Quindi queste sono già delle precondizioni per dire che dietro questo disegno ci sono degli interessi che non sono certo quelli della collettività allargata.
OB: Si farà o no questo progetto della centrale di Buk Bjela?
Giorgio Andrian: Questa è una bella domanda, perché ciò che siamo riusciti a sollevare assieme è stato un gran polverone, che per adesso ha fatto sì che – queste sono le notizie che ha dato ieri (3 dicembre, ndr.) il direttore di UNDP – il primo ministro Djukanovic abbia detto: io non ne voglio più sapere di questa cosa. Quindi, questo è già un segnale politico molto forte, per cui al momento tutto è fermo. Poi cosa faranno in seguito, lo dirà il parlamento nelle prossime puntate.
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