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L’UE e i diritti LGBTI nei Balcani occidentali
La prospettiva di adesione all’UE ha spinto i paesi della regione a dotarsi di leggi contro le discriminazioni su base sessuale. Per conseguire cambiamenti profondi serve però una maggiore attenzione
Nonostante sia il primo capo di governo dichiaratamente omosessuale di tutta l’Europa orientale e mediterranea, la nomina di Ana Brnabić a primo ministro della Serbia è stata accolta con una certa freddezza dagli attivisti LGBTI. L’impressione – condivisa da vari altri osservatori – è che si sia trattato innanzitutto di un’operazione di immagine diretta verso l’opinione pubblica dell’Unione europea. Il rispetto dei diritti LGBTI è ormai infatti considerato un criterio chiave per valutare quanto un paese sia civile ed “europeo”, cioè se possa diventare uno stato membro dell’UE.
Fino al 2013 i diritti LGBTI ricevevano poca attenzione nei negoziati per l’adesione all’Unione europea. La recente espansione di questi diritti all’interno dell’UE stessa ha però spinto a legare in modo sempre più stretto il loro riconoscimento con le prospettive di allargamento. Coi negoziati per l’adesione della Croazia i diritti LGBTI hanno quindi iniziato ad assumere un peso crescente, ed ora ottengono regolarmente un’attenzione specifica all’interno dei rapporti annuali sui progressi dei paesi candidati o candidabili all’adesione compilati dalla Commissione e dal Parlamento europeo .
Mediante questa attenzione, l’UE trasmette un messaggio preciso alle controparti: per immaginare l’allargamento a un paese, l’adozione di misure adeguate contro le discriminazioni su base sessuale costituisce un passaggio indispensabile. In effetti, negli ultimi anni la pressione esercitata dalla Commissione europea ha spinto i governi dei Balcani occidentali ad adottare una serie di norme contro la discriminazione, contro l’odio di stampo omofobo e in alcuni casi per il diritto all’identità di genere.
Attivismo transnazionale e allargamento
L’impegno profuso dall’UE è stato la ragione principale dietro i progressi legislativi, politici e sociali che hanno riguardato la situazione delle comunità LGBTI nei Balcani occidentali negli ultimi anni. I progressi hanno risentito positivamente anche della crescente attenzione per i diritti LGBTI a livello internazionale – a partire dagli Stati Uniti di Obama – ma anche della crescente efficacia degli attivisti locali, sempre più visibili e sempre più collegati tra loro a livello transnazionale.
Uno sviluppo significativo lo ha segnato la nascita dell’organizzazione LGBTI ERA , che raccoglie le principali associazioni LGBTI attive nei Balcani occidentali e in Turchia. Facendo tesoro delle collaborazioni transnazionali createsi nell’ultimo decennio, l’organizzazione è stata creata nel novembre 2015 anche grazie al sostegno diretto ricevuto dall’UE. Oltre a offrire servizi e sostegno ai suoi membri, ERA svolge attività di ricerca e di lobbying e coordina varie iniziative su scala regionale.
“Siamo soddisfatti del nostro rapporto con le istituzioni europee”, dice Amarildo Fecanji, direttore esecutivo di ERA, “Il dialogo è molto intenso e diretto, e abbiamo un’ottima comunicazione con la Commissione e il Parlamento”. ERA collabora con loro raccogliendo e trasmettendo informazioni e analisi, e viene regolarmente consultata per la preparazione dei rapporti annuali per l’allargamento. Secondo Fecanji, l’UE dovrebbe spingere anche i governi dei Balcani occidentali a stabilire relazioni più strette con le organizzazioni LGBTI dei loro paesi, in modo da replicare lo stesso meccanismo di dialogo.
Il problema dell’implementazione
Il desiderio di aderire all’UE ha favorito una serie di riforme legislative a favore dei diritti LGBTI, a volte anche molto avanzate dal punto di vista formale. Il problema però è che quelle norme spesso rimangono sulla carta, perché polizia, magistratura e classe politica non si impegnano a farle attuare. Secondo Koen Slootmaeckers, ricercatore della Queen Mary University di Londra, “l’UE dovrebbe iniziare a misurare in modo diverso i progressi che vengono fatti. Non è sufficiente limitarsi a spuntare singole caselle”. È necessario invece monitorare l’applicazione e la portata delle riforme realizzate, perché in alcuni casi i diritti LGBTI vengono promossi solo in chiave tattica e strumentale.
Oltre al problema delle norme che rimangono sulla carta, c’è il problema dei progressi che rimangono confinati al piano simbolico – come rischia di accadere ora in Serbia con Brnabić. Anche la portata reale dei gay pride che è possibile organizzare nei Balcani occidentali tende ad essere sopravvalutata, come ad esempio è accaduto col ritorno del pride a Belgrado nel 2014. Nonostante la loro importanza simbolica, fino a quando le manifestazioni dipenderanno da massicci schieramenti delle forze dell’ordine non saranno un indice di grande progresso.
L’esperienza degli allargamenti dell’UE verso Est del 2004 e 2007 ha mostrato quanto sia importante promuovere cambiamenti sociali e culturali reali – altrimenti appena un paese consegue l’adesione l’attenzione per i diritti LGBTI rischia di smorzarsi. “C’è bisogno di dedicare particolare attenzione al lavoro culturale”, dice a OBCT l’europarlamentare Daniele Viotti, co-presidente dell’intergruppo per i temi LGBTI . “Come parlamentari siamo già impegnati a organizzare visite e coltivare i rapporti con le autorità e gli attivisti locali. La Commissione però dovrebbe fare di più, attivando i suoi funzionari e le sue delegazioni”.
L’UE fa troppo, o troppo poco?
Secondo Slootmaeckers, “un problema è che l’attività dell’UE non riesce a dare un gran contributo al cambiamento sociale. Dovrebbe fare più attenzione alla situazione delle persone e a quello che cercano di fare, dovrebbe cercare di ascoltarle di più”. Benché importante, l’attività dell’UE a favore dei diritti LGBTI nei Balcani occidentali rischia infatti di restringere gli spazi disponibili agli attivisti locali: solo loro possono sviluppare modelli propri di emancipazione e spingere verso trasformazioni sociali più autentiche.
Le organizzazioni che promuovono la causa LGBTI nella regione appaiono consapevoli dei rischi legati all’attivismo dell’UE. Amarildo Fecanji sostiene che l’UE non può fare molto di più di quello che già sta facendo (anche se magari potrebbe operare in modo più efficace): “L’UE non sta imponendo una migliore protezione dei diritti umani, ci sta aiutando a cambiare i nostri paesi. Dobbiamo renderci conto che l’integrazione europea può arrivare fino a un certo punto, il resto tocca a noi”.
Per sostenere la causa LGBTI nei Balcani occidentali, una delle misure più importanti che l’UE può prendere è dare concretezza alla prospettiva dell’allargamento, così da evitare di suscitare disillusione e di offrire spazi politici all’influenza russa o turca nella regione – paesi ben lontani dalla prospettiva europea sui diritti LGBTI. “C’è il rischio reale che l’UE perda peso come modello – sostiene Daniele Viotti – Lo si batte solo se l’Europa riesce a offrire una prospettiva chiara a questi paesi, e a dedicare più attenzione ai temi sociali e civili”.