Ad oggi le vittime degli attentati in Croazia sono stati i testimoni del Tribunale Internazionale dell’Aja e i monumenti alla resistenza antifascista. Non sono mancati tuttavia neppure segnali di avvertimento e minacce dirette alla classe politica. Un aggiornamento di Drago Hedl da Osijek sulle reazioni del Paese all’omicidio del primo ministro serbo
Poche ora prima che il primo ministro serbo Zoran Djindjic fosse assassinato a Belgrado, il 12 marzo scorso alle 12.25, il presidente croato Stjepan Mesic si era recato ad una visita ufficiale alla Banca Nazionale Croata, in tram. Il servizio di sicurezza di Mesic, che a paragone di quello utilizzato da Franjo Tudjman è incomparabilmente più piccolo e discreto, deve essersi finalmente reso conto di quale follia sia abdicare all’originale desiderio del presidente croato di muoversi per Zagabria con il servizio pubblico.
L’assassinio di Zoran Djindjic è piombato come uno shock sul governo di Zagabria e sulla intera Croazia. Il presidente Mesic ha dichiarato che Djindjic era un "politico pragmatico che aveva capito che la Serbia appartiene all’Europa", e considerava Djindjic come un "sostenitore della cooperazione tra Paesi vicini". Il giorno dopo l’omicidio, Mesic ha cancellato una visita già annunciata a Opatija, una delle località turistiche più famose della costa adriatica croata, e si è recato alla Ambasciata della Serbia e Montenegro a Zagabria, per firmare il libro delle condoglianze.
Il primo ministro Ivica Racan ha dichiarato che il governo croato era inorridito per l’assassinio del primo ministro Djindjic. "Questo crimine è percepito dalla Croazia come un attacco a tutte le tendenze e percorsi democratici della Serbia", ha dichiarato Racan, esprimendo la propria preoccupazione per l’effetto che questo attentato potrebbe avere sulla situazione in Serbia e nella regione. "Questa azione rappresenta anche un avvertimento nei confronti di noi tutti: viviamo ancora in una regione instabile", ha dichiarato Racan.
I due maggiori partiti della Croazia, il partito Social Democratico (SDP) che guida la coalizione di governo di centro-sinistra, e la Comunità Democratica Croata (HDZ), all’opposizione, hanno entrambi espresso la propria indignazione per gli eventi di Belgrado.
"L’assassinio del primo ministro Djindjic rappresenta una espressione di violenza politica, che testimonia della necessità di sforzi ulteriori per rafforzare la democrazia e le istituzioni dello stato di diritto in Serbia", ha dichiarato l’SDP.
"L’HDZ condanna duramente questi atti barbari e t[]istici dovunque accadano. Viviamo in un’epoca nella quale il mondo intero è particolarmente sensibile alla questione del t[]ismo. L’HDZ, in quanto parte della coalizione globale contro il t[]ismo, di cui fa parte anche la Croazia, sostiene con forza la democrazia e la stabilità in tutte le parti del mondo", ha commentato l’HDZ.
L’assassinio del primo ministro Djindjic rappresenta una forte preoccupazione per i leaders croati dal momento che mette in pericolo anche la loro sicurezza. Il giorno dopo l’omicidio, il presidente Mesic, il primo ministro Racan e il presidente del parlamento Zlatko Tomcic si sono incontrati a Zagabria per discutere le "condizioni di sicurezza nel Paese". Il livello di controllo attorno ai più alti rappresentanti pubblici è stato rafforzato, e la polizia croata di frontiera ai confini con Serbia e Montenegro è stata allertata.
Da quando la Croazia ha dichiarato la propria indipendenza nel 1991, nessun esponente politico del Paese è stato assassinato, ma i politici nonostante questo sono stati spesso minacciati. Il bersaglio più frequente di questi avvertimenti è stato lo stesso presidente Mesic, che ha ricevuto numerose lettere che contenevano minacce di morte. Mesic è stato l’obiettivo della estrema destra croata, e il motivo principale era rappresentato dal deciso sostegno dichiarato dal presidente nei confronti della cooperazione con il Tribunale dell’Aja, insieme agli sforzi per sradicare la corruzione introdotta in Croazia durante il governo di Franjo Tudjman.
Circa due anni fa una bomba è esplosa di fronte al palazzo del Comune di Zagabria, e poco dopo un’altra bomba è stata fatta esplodere sotto un monumento ai soldati antifascisti che si trova nel cimitero di Zagabria Mirogoj. Uno dei più noti testimoni del Tribunale dell’Aja, Milan Levar, che è stato il primo a parlare in quella sede dei crimini di guerra commessi dalle forze croate a Gospic (un processo al generale Norac e ai suoi complici negli stessi eventi è attualmente in corso a Rijeka), è stato ucciso da una bomba esplosa nel giardino di fronte alla propria casa. I suoi assassini, e i responsabili delle bombe di Zagabria, non sono mai stati trovati.
Conflitti di mafia e omicidi sono diventati parte della vita quotidiana a Zagabria e in altre regioni della Croazia. Il governo Racan ha annunciato più volte l’avvio della lotta alla criminalità organizzata, ma gli analisti osservano che una lotta di questo tipo potrebbe portare a reazioni simili a quelle viste a Belgrado.
Alcuni approfondimenti sull’omicidio di Zoran Djindjic:
L’omicidio Djindjic nella stampa bosniaca
Omicidio Djindjic: gli aggiornamenti