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Lo scandalo Cez e la riforma della giustizia in Albania
Negli ultimi mesi in Albania lo scandalo riguardante il processo di privatizzazione dell’azienda elettrica statale si è sovrapposto con la questione della riforma della giustizia. Un editoriale
(Pubblicato originariamente da Panorama il 12 ottobre 2015, tradotto per OBC da Manjola Shehu)
Chi cerca di misurare quanto sia progredita l’Albania, da stato totalitario a stato di giustizia, o di comprendere in che direzione si sia mossa la politica in questi ultimi anni, non può non prendere in esame lo scandalo Cez e la lotta politica che si è innescata attorno a questa vicenda.
È infatti una vicenda emblematica che segna questo ultimo quarto di secolo di transizione da stato-partito a stato pluripartitico e la sua analisi dovrebbe servire molto a coloro che stanno lavorando alla riforma della giustizia.
Per quanto mi riguarda quello che è accaduto racconta in maniera drammatica che la struttura del vecchio sistema-stato continua a dominare la struttura attuale, non solo nel rapporto piramidale dei poteri, ma anche nella mentalità che permea tali rapporti e che, in un circolo vizioso, sostiene la struttura piramidale. Parlo di mentalità perché per me è scandaloso che la maggioranza di quelli che plasmano l’opinione pubblica nell’analizzare lo scandalo Cez continuino ad utilizzare il linguaggio che era proprio di Enver Hoxha. Cosa voglio dire con questo?
Tutti quelli che hanno vissuto la nostra dittatura, e in particolar modo l’eliminazione fisica degli oppositori politici, sanno bene che definire chi era nemico e stabilire una giusta punizione era una faccenda di stato. Anche per quanto riguarda il perdono o la riabilitazione: rimaneva un compito dello stato. La giustizia lavorava in libertà solo con quelli accusati di crimini ordinari, ma anche lì la biografia politica dell’accusato era importante nella decisione finale.
Anche oggi, in sostanza, si ragiona alla stessa maniera. Il pubblico si è imbattuto in un mega scandalo dove sono coinvolti i tre principali partiti del paese, i loro leader e gli oligarchi a loro collegati. Questo scandalo non è però stato affrontato come avverrebbe in uno stato normale, come un crimine ordinario, ma l’intero scandalo è stato gestito – con la giustizia che ne è stata impotente spettatrice – nel contesto di una lotta politica per il potere tra partiti antagonisti: con chi vince e chi perde, con chi trama e chi no, con l’influenza di quanto detto a livello internazionale.
“Il patto tra Rama e Basha per liquidare Meta”, “Rama va nell’ufficio di Meta”, “Meta chiede a Rama la testa di due ministri”. Questi sono alcuni dei titoli di giornale sulla vicenda Cez trasmessi al popolo con un linguaggio che non a caso ricorda vecchi schemi. Il caso Cez è servito come pretesto per questa lotta politica di facciata ed è cessato nel momento in cui i personaggi politici coinvolti hanno deciso di far pace.
Nel frattempo i nostri giudici su ordine del capo dei litiganti hanno avuto fretta di mettere le manette a quelli che non hanno pagato la bolletta della luce.
Certo, questo modo di comportarsi di pubblici ministeri e magistrati enveristi è ripugnante. Quando guardiamo al vecchio sistema, ci accorgiamo che il male rispettava una gerarchia. Anche il male di oggi ne ha una. Senz’altro la testa del male di oggi non è il settore giudiziario, come ci vogliono far credere i nuovi riformatori. Se l’Albania mira alla costruzione di uno stato di giustizia, questo comporta togliere il potere ai più forti e riconsegnarlo alla legge. Per arrivare a questo dobbiamo stabilire e riconoscere chi siano i più forti.
Lo scandalo Cez parla chiaro: i potenti non sono dalla parte della giustizia, ma sono gli autori del mega furto, primi fra tutti i leader dei partiti. La giustizia è rimasta, come una volta, il potere più debole, il servitore in mano ai potenti. Certamente c’è una differenza tra ieri e oggi: la giustizia non è governata da un unico partito ma da più partiti con relazioni con un grande numero di oligarchi e con i proprietari dei media.
Questo implica che quando avviene una lotta politica come questa, non si ha più la propaganda mediatica di un unico partito ma di più d’uno: che hanno il potere di frenare o di incentivare l’azione della giustizia, a seconda della forza relativa tra loro. Tutto questo è dovuto ad un patto silenzioso siglato tra i partiti e la giustizia secondo il quale i politici possono fare il loro show in parlamento accusandosi di aver rubato milioni, ma la giustizia non ha diritto di intromettersi. Il banco degli accusati può essere solo in parlamento, perché i loro crimini non possono che essere politici e non ordinari. Pertanto non oggetto del settore giudiziario. Ed ogni tanto, solo per apparenza nella sceneggiata parlamentare, si invoca la giustizia internazionale, tanto non può intervenire.
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L’idea che cerca di venderci il primo ministro è che la nave della politica viaggia lontano e sicura, mentre quella della giustizia è trainata dietro, in quanto incapace.
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La verità che emerge dal caso Cez dimostra invece il contrario: che è la nave della politica che trascina la giustizia verso la corruzione. Anche il quarto potere, quello dell’informazione, è più forte della magistratura in questo deriva. Forse perché intimamente legato alla politica.
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Qualcuno a questo punto dell’argomentazione potrebbe dire: è la giustizia quella a cui spetta il compito di condannare, agire e rompere questi circoli viziosi. Così nessuno potrà avere il coraggio di entrare in politica con l’intenzione di rubare. La risposta l’ho già data prima affermando che i partiti e i loro segretari, sono più forti della giustizia.
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Una delle democrazie parlamentari più antiche del mondo, quella britannica, nel 1689 con il Bill of Rights, ha riconosciuto il potere della legge al di sopra di quello del re, con la cosiddetta "Glorious Revolution". Anche da noi non può esserci alcuna riforma della giustizia senza mettere alla sbarra i poteri più forti, tutti implicati nello scandalo Cez. Se non avremo la nostra "Glorious Revolution" continueremo ad avere la nostra giustizia spettatrice inattiva delle liti tra politici in cui si accusano a vicenda di truffa, come accaduto in questi ultimi 25 anni.