Lingua dei segni: Bosnia Erzegovina, le divisioni silenziose

In Bosnia Erzegovina le divisioni incancreniscono il paese. Con implicazioni paradossali sulla vita pratica, in particolare delle categorie più deboli: non ci si è ancora riusciti a mettersi d’accordo su una comune lingua dei segni. Un reportage

05/05/2022, Marija Augustinović -

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(Pubblicato originariamente da Radio Slobodna Evropa, selezionato e tradotto da Courrier des Balkans e OBC Transeuropa)

Alma Mujanović è nata nel 1995 a Sarajevo, quasi senza udito. "Purtroppo non ho avuto la stessa infanzia degli altri", afferma. "Non potevo godermi molti cartoni animati che avevano dialoghi e tutte quelle serie o documentari che non avevano sottotitoli". Oltre a questo, Alma ha dovuto lottare anche contro il pregiudizio che è ancora molto presente nella società bosniaca verso chi è diverso.

"Le mie difficoltà di integrazione sono iniziate contemporaneamente ai miei problemi di comunicazione. Sono stata molto spesso quella che ha frainteso, quella che ha capito male. Ad un certo punto sono arrivata ad incolpare i miei amici di non capirmi. Con il tempo, ho capito che spiegare la situazione e le soluzioni possibili era il miglior modo per facilitare la vita a me e agli altri”.

Alma ha fatto molta strada: ha appena ottenuto un master in microbiologia. Allo stesso tempo, ha anche studiato informatica. Attualmente è dipendente di un’azienda di design grafico ed è in prima linea nelle attività civiche a favore dell’adozione in molti contesti della lingua dei segni e per un maggiore riconoscimento delle persone non udenti o con problemi di udito in Bosnia Erzegovina.

Il quadro legislativo esiste, ma non viene mai applicato

Secondo i dati delle ong locali, vi sono circa 70.000 persone non udenti o con gravi problemi d’udito in Bosnia Erzegovina: rappresentano il 2% della popolazione. Anche se il paese ha un quadro legislativo che prevede la rimozione delle barriere esistenti a scapito di persone con deficit d’udito, in pratica le norme rimangono lettera morta.

In un simile contesto, ogni approccio a un’istituzione, ogni appuntamento sanitario rappresenta una sfida. "Spesso i sordi e gli audiolesi si fanno accompagnare da un membro della famiglia, che si occupa della traduzione. Se una persona sorda si presenta da sola, potrebbe non sentire il proprio nome quando viene chiamata, e quindi potrebbe perdere l’appuntamento…", spiega Alma.

Nel 2009 in Bosnia Erzegovina è stata ad esempio adottata una legge sull’uso del linguaggio dei segni. Garantisce, tra le altre cose, il diritto per i sordi e gli audiolesi ad avere a disposizione un interprete quando trattano con enti e istituzioni bosniache. E i costi dell’interpretazione sono coperti dallo stato.

Tuttavia, tredici anni dopo la sua adozione, la legge non è ancora attuata, e l’unica disposizione attuata è stata la formazione di una commissione per la standardizzazione e la diffusione della lingua dei segni. Questa commissione ha anche il compito di certificare gli interpreti del linguaggio dei segni. I suoi membri, provenienti da entrambe le entità della Bosnia Erzegovina e dal distretto di Brčko, dovrebbero incontrarsi almeno due volte all’anno. “Dal 2009 non si sono incontrati nemmeno una volta. È soprattutto un boicottaggio politico", denuncia Jasminka Proha, interprete del linguaggio dei segni e membro dell’Associazione delle persone sorde e con problemi di udito del Cantone di Sarajevo.

In quale lingua devo firmare: bosniaco, croato o serbo?

Di conseguenza in Bosnia Erzegovina mancano interpreti di lingua dei segni certificati, e chi ci perde sono i non udenti e le loro famiglie. La Bosnia Erzegovina non ha un registro di interpreti di lingua dei segni, anche se quest’ultimo è previsto per legge. E – di non certificati – in tutto il paese secondo i conti delle associazioni ce ne sono solo una ventina.

Come sottolinea Jasminka Proha, i problemi sono legati alla mancanza di consenso sulla standardizzazione della lingua dei segni. Il dilemma è se debba essere standardizzata come lingua bosniaca, croata o serba: "Non è una diatriba ufficiale, ma è quello che si capisce tra le righe. Ma per noi non ha alcuna importanza", deplora l’interprete.

A Jasminka Proha viene spesso chiesto in che lingua firma. "Rispondo che ci capiamo perfettamente con tutti i sordi, da qualunque parte vengano, anche all’estero. Infatti, oltre alle lingue dei segni nazionali, esiste anche una lingua dei segni internazionale, utilizzata nelle conferenze della Federazione Mondiale dei Sordi. Purtroppo, il destino del nostro paese è che tutto è diviso, e anche con la lingua dei segni abbiamo problemi", afferma.

Jasminka sottolinea che le differenze tra le varianti "nazionali" sono minime. Fa l’esempio del mese di aprile: per la variante croata, "travanj", la lingua dei segni si riferisce all’erba, "trava", mentre per la parola "aprile", in serbo e bosniaco, si usa un gesto che evoca l’usanza pasquale delle uova che si scontrano. "Ma per altre parole, come ‘commissione’, che si dice diversamente in croato e in serbo, abbiamo lo stesso segno. Le differenze sono piccole e l’importante è capirsi”.

La RS ha una propria legge, la Federazione no

La Bosnia Erzegovina non ha un’istituzione per l’insegnamento della lingua dei segni. La maggior parte degli interpreti sono autodidatti o si sono formati in Serbia o in Croazia. Inoltre, non c’è un ministero a livello nazionale responsabile della supervisione dell’attuazione della legge sulla lingua dei segni, e non ci sono sanzioni per la sua mancata attuazione. L’unico obbligo specificato nella legge è che il ministero della Giustizia è tenuto a stabilire un registro di interpreti di lingua dei segni. Ma non è ancora avvenuto.

Secondo la legge, i compiti scientifici e amministrativi della Commissione per la lingua dei segni, che non si riunisce, dovrebbero essere monitorati dall’Unione delle persone sorde e con problemi di udito della Bosnia Erzegovina, anch’essa non attiva. Fondata nel 2006 a Mostar, avrebbe dovuto includere membri di entrambe le Entità e del distretto di Brčko. Inattiva dal 2012, questo organismo è stato di fatto sostituito da associazioni a livello di ogni Entità. E nella Federazione, le persone con problemi di udito sono raggruppate in associazioni attive a livello cantonale.

"Per tutti noi, che viviamo nel ‘mondo silenzioso’ e abbiamo la nostra filosofia, le divisioni nazionali non esistono", assicura Dubravaka Živković Ostojić, presidente dell’Unione della Republika Srpska. "Siamo apolitici e per noi le uniche differenze rilevanti sono tra sordi, udenti e chi ha difficoltà di udito, proprio come nel resto del mondo".

Nel frattempo il Parlamento della RS ha approvato nel 2018 una propria legge sull’uso della lingua dei segni. L’Unione delle persone sorde e con problemi di udito dell’Entità ha definito un programma di formazione per i futuri interpreti in collaborazione con i rappresentanti delle istituzioni dell’istruzione superiore e l’Istituto di Pedagogia. Secondo quando riportato dalla stessa Unione, vi sono cinque interpreti giudiziari di lingua dei segni in Republika Srpska, riconosciuti dal ministero della Giustizia.

Da parte sua, l’Unione dei sordi della Federazione di Bosnia Erzegovina chiede da una quindicina d’anni l’adozione di una legge sull’uso della lingua dei segni a livello di questa Entità. Senza successo. Il governo della Federazione ha nominato una commissione nel 2020 per preparare un progetto di legge, ma nulla è andato avanti. Nel febbraio 2022, l’Unione dei sordi è stata informata che i ministeri dei diversi cantoni non erano stati in grado di raggiungere un accordo.

Allo stesso tempo, per rispettare la normativa vigente, i media pubblici bosniaci dovrebbero fornire la traduzione nella lingua dei segni quando trasmettono le sessioni delle istituzioni della Bosnia Erzegovina. Secondo un’indagine dell’Agenzia di regolamentazione delle comunicazioni (RAK) condotta nel 2019, solo l’1% dei programmi dei media bosniaci vengono adattati alle esigenze di persone con problemi di udito. In confronto la percentuale è al livello Ue del 40%, nel Regno Unito al 96%.

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