L’inerzia
Venerdì il rappresentante Onu Martti Ahtisaari volerà prima a Belgrado e poi a Pristina per presentare il proprio piano sullo status. In quest’articolo l’atmosfera di disillusione che si respira tra i serbi del Kosovo
Manca poco alla presentazione da parte dell’inviato speciale Onu Martti Ahtisaari del piano per la soluzione dello status del Kosovo ma già i contenuti di quest’ultimo sono divenuti tema di discussione in Kosovo, Serbia e sui media internazionali.
Pristina spera di ottenere il più possibile anche se sa già che non verrà esaudita la richiesta dell’ "indipendenza subito e senza condizionamenti" mentre Belgrado si troverà ad affrontare il fatto che probabilmente la nuova risoluzione Onu – che dovrebbe essere il passo successivo alla presentazione del piano Ahtisaari – andrà a modifcare radicalmente la 1244 e cambierà anche de jure ciò che de facto è già avvenuto: il Kosovo sarà uno Stato indipendente.
Per ora le delegazioni ufficiali di Serbia e Kosovo aspettano la proposta del mediatore Onu mentre i cittadini iniziano già a discutere ma solo in base ad alcune indiscrezioni già pubblicate dai media locali ed internazionali.
Secondo queste ultime il Kosovo rimarrà sotto supervisione internazionale ma avrà un proprio esercito di professionisti dotati però solo di armi leggere.
In questo "nuovo" Kosovo la sicurezza verrà garantita inoltre da una presenza militare internazionale, che continuerà a rimanere in Kosovo seppur in numeri più ridotti.
In cambio di una maggiore sovranità il Kosovo dovrà garantire autonomia, eguali diritti e sicurezza alla minoranza serba. Solo se le autorità kosovare saranno in grado di garantire questo potranno aspirare in futuro a divenire uno stato pienamente indipendente. Nel caso contrario – speculano i media locali – si rischierebbe di ripetere il caso della Bosnia Erzegovina, tutt’ora una sorta di semi-protettorato internazionale.
E’ probabile che al Kosovo si permetta di dichiarare la propria indipendenza dalla Serbia, esaudendo in questo modo le richieste di Pristina. Quest’opzione sembra derivare dall’ansia della comunità internazionale di trovare a tutti i costi una "exit strategy" e sembra solo un paravento l’affermare che si intende rispettare in questo modo il volere dei cittadini del Kosovo.
Sempre secondo quanto trapelato sui media il Kosovo avrà una propria bandiera e un proprio simbolo e saranno due le lingue ufficiali: albanese e serbo.
Alla comunità serba verrebbe garantita piena autonomia sui propri siti religiosi e archelogici e nelle aree dove costituiscono la maggioranza. Verranno inoltre garantiti legami forti tra le municipalità a maggiornaza serba e Belgrado.
Queste concessioni non sarebbero affatto sufficenti per la Serbia che vorrebbe riaprire le negoziazioni. Ma non sarà facile.
Il premier Kostunica, in carica sino a quando, in seguito alle recenti elezioni politiche, verrà scelto un nuovo esecutivo, ha deciso di non incontrare Ahtisaari venerdì, quando l’inviato Onu arriverà a Belgrado. Secondo Kostunica Ahtisaari non dovrebbe dialogare con l’esecutivo uscente ma con quello nuovo, che sarà anche responsabile – assieme alla squadra negoziale serba – per le scelte in merito al Kosovo
Oltre questa presa di posizione del premier non vi è stata nessun’altra reazione ufficiale a Belgrado su quanto già trapelato del piano Ahtisaari. Si aspetta per le dichiarazioni ufficiali la presentazione del documento.
A Belgrado l’inviato Onu andrà ugualmente ed incontrerà il presidente serbo Boris Tadic, che presiede anche il gruppo negoziale serbo che ha condotto sino ad ora i colloqui di Vienna.
Oliver Ivanovic, parlamentare nell’assemblea del Kosovo e leader della Lista serba per il Kosovo e Metohija, ritiene che sarebbe opportuno tirarsi fuori dai negoziati e proporre un nuovo piano in merito "al decentramento in Kosovo e con questo ritornare al tavole delle trattative. Questo potrebbe forzare il Gruppo di contatto ad un approccio più flessibile in merito alla tempistica per arrivare alle decisioni finali sullo status".
Secondo Ivanovic l’indipendenza del Kosovo – anche se "condizionata, limitata, o controllata" – rimane un incubo per i serbi del Kosovo.
Questi ultimi sembrano reagire con una certa inerzia alle rivelazioni sullo status. Nel subconscio sembrano sperare che sia almeno in parte diverso da quanto emerso sui media.
Zoran Stankovic, direttore di "Radio Gracanica", ritiene che i serbi del Kosovo sono ormai abituati a situazioni come questa, e che ormai non reagiscono più se non sulle questioni che li toccano in modo profondo. La loro posizione in seno al nuovo Kosovo non è ancora chiara, e quindi molti ritengono sia ancora prematuro dire qualcosa in merito.
"Negli ultimi anni – aggiunge Stankovic – i serbi del Kosovo sono divenuti indifferenti in merito al dibattito politico quotidiano. Troppe cose sono passate sopra le loro teste. La cosa che ormai desiderano maggiormente è vivere in pace , nelle loro case e sulla loro terra. La cosa che temono maggiormente è un altro grande esodo di serbi dal Kosovo".
Nelle enclaves, dove i serbi del Kosovo vivono ormai da più di 8 anni, la sensazione forte è che la questione dello status non riguarda solo Kosovo e Serbia, ma il quadro geopolitico più allargato e le relazioni tra le grandi potenze. L’unica cosa possibile sembra allora starsene seduti ed aspettare.
Non è ancora chiaro chi del gruppo negoziale e chi al posto del primo ministro incontrerà Ahtisaari. Sfortunatamente è molto chiaro, già da anni, che loro hanno poca voce in capitolo e che sarà esclusivamente Belgrado a rappresentarli.
Nel nuovo Kosovo i serbi continueranno a vivere in enclave? Quanto saranno integrati nella nuova società kosovara? Dipenderà molto dal piano di Ahtisaari e da quanto i politici kosovari capiranno che nessuno consegnerà loro un foglio bianco da riempire con i loro desideri. E che la soluzione dello status è solo agli inizi, e non alla fine, e che dovrà essere un percorso di cui dovrà far parte anche la comunità serbo-kosovara.