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L’illegalità sta nell’occhio di chi guarda
Woodstock incontra il movimento No Global in una settimana di attivismo e dibattiti al campo ”No Border” sull’isola di Lesbo, primo scalo di molti migranti nel loro viaggio verso l’Europa. Un reportage
Libertà di movimento, no ai confini – no alle nazioni, abbattere la Fortezza Europa: questi sono alcuni tra gli slogan più popolari del movimento no-border. Tuttavia, arrivando dall’Italia nel momento in cui la clandestinità diventava reato, per me è stato il concetto che "nessuno è illegale" a diventare il principio più significativo nel corso del campo per i diritti dei migranti che ha avuto luogo a Lesbo dal 25 al 31 agosto.
Lesbo
L’isola di Lesbo, situata all’estremità orientale dell’arcipelago greco, proprio di fronte alla Turchia, è la prima tappa del viaggio verso l’Europa di molti migranti. Le barche arrivano dalla costa turca di notte, per evitare le navi di Frontex (istituzione europea per la sicurezza delle frontiere esterne) e le guardie costiere di entrambi i paesi. Dopo lo sbarco, il primo obiettivo dei migranti è arrivare ad Atene, sebbene molti di loro credano di essere già lì o non abbiano idea di dove si trovino. Il loro primo incontro avviene in genere con uno dei gruppi locali che cercherà di aiutarli, con intermediari apparentemente affidabili, provenienti dai loro stessi paesi, disposti a vendere loro biglietti per Atene a 150 euro (quando gli stessi biglietti si possono acquistare a bordo della nave per 29) oppure con l’istituzione "Welcome Centre" situata a Pagani, nell’immediata periferia del capoluogo dell’isola, Mytilini.
Il "Welcome Centre" di Pagani è di fatto un carcere, dove i rifugiati vengono tenuti in condizioni logistiche e igieniche ben al di sotto degli standard di base previsti dai diritti umani (come attestato da diverse ispezioni istituzionali, comprese quelle dell’UNHCR) e senza nessun tipo di informazione su cosa succederà loro. Sebbene i migranti debbano essere trattenuti solo per pochi giorni per essere identificati e ricevere i documenti necessari per proseguire il loro viaggio (lasciando la Grecia entro trenta giorni), molti di loro rimangono nelle "gabbie" del centro di detenzione per periodi molto più lunghi, spesso anche mesi, con conseguenze facilmente immaginabili a livello di salute e di benessere psicologico. Simbolo delle condizioni disumane cui i migranti sono costretti da parte del sistema della polizia di frontiera, Pagani è stata una delle tre località fondamentali del campo. Le altre due sono state un info-point nel centro di Mytilini e il vero e proprio campeggio nel villaggio di Charamida.
Charamida
"Lavatevi sempre le mani (c’è in giro l’influenza), state attenti agli incendi, niente fotografie, leggete le linee guida in caso di arresto": questo è stato l’incoraggiante benvenuto all’arrivo al quartier generale del campo, situato in un’area di campeggio libera, autogestita e autofinanziata a Charamida, una piccola spiaggia a sud di Mytilini. Di fatto, l’atmosfera generale mescolava bene un certo ordine da colonia svizzera con tocchi hippy e queer. Il campo è stato ordinatamente gestito da un numero sostanzioso di gruppi di lavoro, incaricati di pianificare le manifestazioni, gestire logistica e questioni legali e nutrire "fratelli", "sorelle" e "compagni" con menù rigorosamente vegano a orari regolari. Inoltre, come si leggeva nella guida ufficiale del campo, era presente anche un gruppo di sensibilizzazione pronto ad affrontare eventuali atteggiamenti razzisti, sessisti od omofobici, e il campeggio era persino fornito di una "area queer" pensata per "offrire uno spazio a quanti non riescono a immaginare il campeggio nel classico modo etero-normativo". Ed effettivamente, chi ha organizzato e facilitato i vari workshop (curiosità statistica, principalmente dalla Germania e principalmente donne) ha fatto un ottimo lavoro creando un’atmosfera accogliente per tutti i partecipanti, compresi i migranti stessi e gestendo dibattiti e conflitti durante le riunioni.
Charamida è stata in un certo senso il nucleo più intimo della settimana di attivismo, il luogo dedicato alla preparazione di meeting e workshop, alla riflessione su motivazioni e priorità e alla condivisione della vita quotidiana con i migranti (il simbolico biglietto d’ingresso al campeggio era, ad esempio, un paio di scarpe per rendere più facile il loro viaggio). Tuttavia, l’impegno si è rivolto anche a sensibilizzare l’opinione pubblica e coinvolgere la popolazione locale nella lotta per i diritti dei migranti, compito svolto dal punto informazioni permanente situato nel centro di Mytilini, dove si sono svolte le campagne e le azioni simboliche.
Mytilini
Il punto informazioni vicino al porto di Mytilini è nato come luogo per sensibilizzare la popolazione locale e per offrire ai rifugiati appena arrivati le informazioni e l’assistenza di base. Giorno dopo giorno, è diventato un vero e proprio centro di accoglienza in cui i migranti potevano dormire e riunirsi, e i rifugiati stessi hanno gradualmente acquisito un ruolo attivo nel sostegno ai nuovi arrivati. Nel pomeriggio di venerdì 28 agosto si è tenuta una manifestazione di addio organizzata per salutare i rifugiati che avevano passato gli ultimi giorni al campo e a Mytilini insieme agli attivisti e che erano in partenza per Atene. Questo momento ha generato una piccola manifestazione spontanea, che ha raccolto sostegno ed empatia anche da parte della popolazione locale.
Pagani
Il centro di detenzione è stato l’oggetto della maggior parte delle azioni di protesta, poiché l’obiettivo principale delle manifestazioni era la sua chiusura. Venerdì 28 è stata organizzata una manifestazione per chiedere il rilascio immediato di tutti i prigionieri, la chiusura del centro di detenzione e l’abolizione della detenzione in generale. Il giorno seguente, dopo un vano tentativo di occupazione della Prefettura, un team di negoziatori con avvocati e altri delegati ha incontrato il Prefetto di Lesbo, il Capo della Polizia del Nord Egeo e un rappresentante dell’UNHCR. I negoziati hanno portato al rilascio di ventitré famiglie detenute (donne con bambini e, dopo negoziati particolarmente accesi, i loro mariti) e di circa cento rifugiati ai quali erano già stati rilasciati i documenti necessari. Le famiglie sono state spostate in un nuovo centro non detentivo aperto vicino all’aeroporto di Mytilini, mentre i singoli sono stati rilasciati al porto.
Ciò ha rappresentato un passo importante, che ha mostrato la fattibilità dell’impegno degli attivisti e la possibilità di ottenere per lo meno alcuni risultati presso le autorità locali. Ancora più significativo il momento in cui ventidue rifugiati dell’Afghanistan hanno ottenuto i propri documenti per continuare nel loro viaggio senza nessuna detenzione: l’importanza di questo risultato sta nell’aver infranto la procedura standard che prevede la detenzione incondizionata di tutti i rifugiati, stabilendo così un precedente importante.
Di fatto, sebbene il miglioramento delle condizioni di vita a Pagani e la richiesta della sua chiusura fossero gli obiettivi più urgenti, la pressione da parte dei gruppi di attivisti locali e internazionali si sta concentrando sul problema generale della detenzione stessa, piuttosto che sulle condizioni di detenzione in Grecia. La semplice richiesta di chiusura di un centro di detenzione in seguito a un’azione incentrata sui diritti umani, infatti, potrebbe portare alla sola modernizzazione delle strutture di detenzione, senza mettere in discussione l’istituzione della detenzione stessa in Grecia, in Europa e nel mondo. La principale tesi politica del campo, invece, punta al fatto che nessuna debba essere detenuto e punito per il semplice fatto di essere un migrante. In questo contesto, aver evitato la detenzione di alcuni migranti – sebbene sia stata apparentemente la classica goccia d’acqua nell’oceano – ha dimostrato che, anche secondo la normativa vigente in Grecia, è possibile seguire una politica diversa, che non opta per imprigionare le persone per il semplica fatto di migrare. La generica richiesta di "libertà di movimento" si è pertanto tradotta in un risultato concreto, in un positivo sviluppo locale e in un’azione efficace di solidarietà.