Libertà d’isolamento

A un anno dall’iniziativa europea sulla liberalizzazione dei visti, per i cittadini albanesi varcare il confine rimane un’impresa. Con Bruxelles ancora lontana e il Kosovo indipendente, nel paese si fanno strada aspirazioni nazionalistiche di integrazione panalbanese

14/04/2009, Marjola Rukaj -

Liberta-d-isolamento1

A quasi vent’anni dal crollo del regime, l’Albania rimane uno dei paesi più isolati d’Europa. In una graduatoria stilata in base alla libertà di movimento (fonte: la società Henry International Visa Restriction), si colloca al 182esimo posto su 192 paesi presi in esame, in coda a tutti i paesi europei – vicini balcanici inclusi – e a fianco di Cambogia, Libano, Pakistan e Sudan.

Il territorio più inaccessibile ai cittadini albanesi è l’Unione Europea, ma non sono di facile accesso neanche alcuni dei paesi balcanici non ancora integrati nell’UE. Non ha contribuito al miglioramento della situazione nemmeno l’iniziativa europea sulla liberalizzazione dei visti, entrata in vigore il primo gennaio 2008: questo è quanto risulta da un rapporto pubblicato dalla ONG di Tirana "European Movement in Albania".

L’iniziativa, salutata con grande entusiasmo nei primi giorni del 2008, era stata percepita come un passo in avanti verso la completa abolizione dei visti per i cittadini albanesi (e quelli degli altri stati balcanici) in attesa nell’anticamera di Bruxelles. Il 2009, si pensava da più parti, sarebbe stato l’anno fatidico – ora non è nemmeno certo che la svolta possa arrivare a fine 2009 o nel 2010. L’iniziativa europea prevedeva agevolazioni per l’ingresso nei paesi Schengen di determinate categorie di cittadini – la loro applicazione rimane tuttavia relativa, con pochi progressi rispetto al passato.

Dal monitoraggio condotto presso le rappresentanze diplomatiche dell’area Schengen in Albania, si evince facilmente la scarsa efficacia dell’accordo, che – come spesso avviene con le iniziative europee – si è tradotto in una sorta di direttiva, flessibile e facilmente aggirabile. L’ampia discrezionalità che rimane ad ogni consolato fa sì che la situazione sia migliorata ben poco. Nello studio sono state prese in considerazione diverse variabili, tra cui i tempi, la documentazione necessaria e i costi di un visto.

Poco è cambiato nei tempi necessari per ottenere un visto: nell’accordo si prevede un periodo di 10 giorni dalla presentazione dei documenti – 30 in caso siano necessarie particolari verifiche. Vi sono però consolati, come quello ceco a Tirana, che dell’eccezione hanno ormai fatto la regola. L’iter burocratico non inizia con la consegna dei documenti, bensì con l’appuntamento, che va prenotato telefonicamente – spesso chiamando un numero a tariffa maggiorata. La distanza tra il primo contatto telefonico e l’effettivo appuntamento supera di gran lunga i teorici dieci giorni, arrivando a 54 giorni per l’ambasciata greca e tendendo all’infinito per quelle italiana e ceca. Queste tempistiche condizionano a dismisura chi richiede un visto, senza risparmiare nemmeno categorie tradizionalmente agevolate come il mondo degli affari e gli studenti. "I consolati greci e italiani dovrebbero aumentare il personale per riuscire a rispondere alle esigenze del pubblico rispettando l’accordo sulla facilitazione del movimento", recita il rapporto.

Per quanto riguarda la documentazione da presentare, rimane folta e praticamente identica a prima: il calvario di certificazioni, traduzioni e autenticazioni rimane quello di prima del 2008. Analogamente, senza invito – e soprattutto senza dimostrare dettagliatamente di possedere i mezzi necessari, con tanto di biglietto di andata e ritorno – è impossibile fare richiesta per un visto Schengen. Sotto questo aspetto, non solo non si è registrato alcun passo avanti, ma per alcune categorie – ad esempio gli imprenditori – la documentazione deve ora essere autenticata dalla camera di commercio ogni volta che si richiede un visto, allungando ulteriormente i tempi.

L’accordo stabilisce per un visto un costo di 35 euro, ma a questi vanno aggiunte le spese di telefonate, spostamenti, traduzioni e autenticazioni – si arriva quindi a oltre 70 euro, una cifra di tutto rispetto per lo stipendio medio albanese. Solo due consolati – quello ungherese e quello olandese – rispettano l’abolizione della tariffa per i bambini sotto i 6 anni e per gli anziani con figli residenti nell’area Schengen; tutti gli altri violano esplicitamente questo requisito di facilitazione.

Non hanno riscosso particolare successo nemmeno le agenzie turistiche che promuovono pacchetti turistici nei paesi Schengen: nel 2008, dei 70.000 albanesi che vi hanno affidato l’organizzazione delle proprie vacanze, solo 1600 si sono recati nell’Europa occidentale – un aumento irrisorio rispetto al 2007.

Mancando un monitoraggio dei risultati della liberalizzazione, ufficialmente l’accordo del 2008 continua ad essere considerato un grande merito dell’attuale governo. Nel gergo politico, l’abolizione del regime dei visti viene praticamente identificata con l’integrazione stessa nell’Unione Europea. Secondo diversi sondaggi, per la stragrande maggioranza dei cittadini l’ingresso nell’Unione coincide con il libero movimento.

Se l’integrazione europea sembra lontana, Bruxelles non promette neanche il libero movimento, e il diffuso euro-scetticismo suscita frustrazione e isolamento. Dopo la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, sempre più spesso nei media albanofoni trova spazio il messaggio politico di un’integrazione panalbanese in alternativa a quella europea che stenta a venire. Tale formula, sostenuta per lo più da giovani attivisti della società civile sia di Tirana che di Pristina, si tinge spesso di connotazioni nazionalistiche.

Per ora, a parte i vicini Montenegro, Kosovo, Macedonia, e Turchia, i cittadini albanesi possono raggiungere senza visto poco praticabili mete quali Malesia, Corea, Singapore, Ecuador, Sri Lanka, Cile, Trinidad e Haiti. Se il governo Berisha ha intrapreso una liberalizzazione unilaterale dei visti – non solo per i cittadini dell’area Schengen, ma anche per quelli degli stati vicini – poco è stato fatto per attuare delle politiche reciproche. Solo di recente, in numerosi incontri tra il premier albanese e i suoi omologhi a Zagabria e Sarajevo, si parla di possibili accordi di reciprocità che dovrebbero entrare in vigore verso fine anno. Nessun accordo in vista con la Serbia, nonostante dal 2007 i cittadini serbi possano entrare in Albania semplicemente versando una tassa d’ingresso alla frontiera.

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta