LGBTI+ in Turchia: resistere nonostante la repressione
A fine giugno, Istanbul ha celebrato il suo annuale LGBTI+ Pride all’ombra dell’intensa repressione della polizia, in linea con la crescente intolleranza del governo turco per qualsiasi forma di espressione LGBTI+, dalle manifestazioni ai media
Il 25 giugno, migliaia di persone LGBTI+ si sono radunate nello storico quartiere di Taksim – a Istanbul – per il ventesimo Pride della città. Tutti gli eventi legati alla marcia e alla Pride Week sono stati vietati dai governatori distrettuali e cittadini. Le strade e le fermate della metropolitana che portano alla zona sono state chiuse e la polizia antisommossa ha riempito il quartiere. Anche diversi frequentatori di caffè che erano seduti nell’area prima dell’inizio della marcia sono stati rimossi o portati in custodia. Molti, tra cui membri della stampa come il fotoreporter dell’AFP Bülent Kılıç, hanno riferito di essere stati malmenati dalla polizia. Nonostante ciò, una folla di attivisti imperterriti si è radunata sfidando la pesante repressione.
Ben 373 persone sono state prese in custodia dalla polizia durante la marcia e hanno trascorso ore senza cibo né acqua prima di essere rilasciate la mattina del 26 giugno. Tra il 2015 e il 2021 erano state in totale 103. Nell’ultimo decennio, l’unico evento con un bilancio simile sono stati i festeggiamenti del Newroz nella città a maggioranza curda di Diyarbakir all’inizio di quest’anno, con 298 persone prese in custodia.
L’accanimento contro il movimento LGBTI+ in Turchia è particolarmente brutale: il paese reprime la maggior parte dei tipi di proteste e raduni pubblici dalle proteste di Gezi Park del 2013, durante le quali oltre 100mila persone hanno partecipato all’Istanbul Pride March, e dal tentato colpo di stato del 2016.
Mentre i manifestanti a Istanbul tentavano di sfuggire alla polizia e superare le barricate, piccoli gruppi di organizzatori tentavano di leggere il comunicato stampa ufficiale dell’Istanbul Pride sul tema di quest’anno della "Resistenza". Gli argomenti toccati lasciano capire perché il governo veda il movimento LGBTI+ come una minaccia.
Il comunicato fa riferimento a noti attivisti della società civile come Mücella Yapıcı e Osman Kavala, imprigionati durante il recente processo di Gezi Park, ed esprime solidarietà sia al movimento curdo che ai rifugiati. La dichiarazione richiede anche il ripristino della Convenzione di Istanbul progettata per prevenire la violenza contro donne e bambini, una delle principali richieste dell’altrettanto militante e intersezionale movimento femminista turco .
Secondo un rapporto del 2022 dell’Associazione internazionale di lesbiche, gay, bisessuali, trans e intersessuali, la Turchia è penultima tra i paesi europei in termini di diritti LGBTI+ . Il linguaggio omofobico è comunemente usato ai massimi livelli dello stato: ad esempio, il presidente Erdoğan ha dichiarato che "LGBT non esiste" e il ministro dell’Interno Süleyman Soylu ha usato espressioni come "Pervertiti LGBT" e descrive le persone LGBTI+ come parte di un’organizzazione t[]istica. Persino il possesso di bandiere arcobaleno è stato trattato come prova di un crimine , nonostante non ci sia alcuna legge contro l’omosessualità.
Nonostante le circostanze sfavorevoli, il movimento LGBTI+ in Turchia continua a organizzarsi in tutto il paese. Il 3 luglio, la polizia ha attaccato la Pride March nella città universitaria anatolica di Eskişehir, prendendo dieci persone in custodia. A maggio, un gruppo islamista ha distribuito opuscoli nella provincia di Eskişehir chiedendo che i gay venissero bruciati vivi.
Il 5 luglio, l’Ankara Pride Committee ha proseguito la sua marcia nonostante le minacce dei gruppi omofobi. Melih Güner, presidente del ramo giovanile dell’estremista Yeniden Refah Partisi, ha affermato su Twitter che il governatore di Ankara lo ha chiamato personalmente per assicurargli che la marcia non sarebbe stata autorizzata .
Lo stato turco prende di mira anche le rappresentazioni mediatiche dell’identità LGBTI+. Ad esempio, il Consiglio supremo per la radio e la televisione della Turchia controlla già strettamente ciò che può essere mostrato in televisione, ma nel 2020 ha anche fatto pressione su Netflix per eliminare un personaggio gay da una delle sue serie originali in lingua turca . La produzione ha deciso di cancellare la serie a metà delle riprese piuttosto che modificare il copione.
Il 1° luglio, mentre gli eventi del Pride continuavano in tutta la Turchia, i media filo-governativi hanno preso di mira il cantante pop Mabel Matiz per un video musicale che alludeva ad una relazione romantica tra due uomini. Il Consiglio supremo della radio e della televisione (RTÜK) ha chiamato i principali canali per esortarli a non mandare in onda l’ultima canzone di Matiz "Karakol" (o Stazione di polizia) , ha rivelato su Twitter il consigliere d’opposizione İlhan Taşçı. Sebbene non siano riusciti a vietare completamente la canzone, i membri del consiglio filo-governativo hanno insinuato che i canali che hanno ignorato questo divieto potrebbero essere multati. Nel frattempo, un hashtag sui social media ha esortato Matiz, noto come un schietto difensore dei diritti LGBTI+, a "stare al suo posto".
In risposta al divieto della canzone di Matiz, l’importante portale di notizie LGBTI+ Kaos GL Foundation ha rilasciato una dichiarazione : "Mentre 10 eventi LGBTI+ sono stati vietati in un mese e 530 attivisti LGBTI+ sono stati presi in custodia, la canzone e il video musicale di ‘Karakol’ di Mabel sono come un garofano che si apre nonostante questa spirale di odio e violenza… Divieti, censure e campagne di odio non possono mettere a tacere le nostre canzoni”.
Mentre il governo turco intensifica la sua guerra contro le persone LGBTI+, la comunità non accenna ad arrendersi.