L’Europa all’attacco delle SLAPP, le querele bavaglio
Mentre si allunga la lista dei casi europei in cui giornalisti e attivisti sono vittime di querele temerarie, dalle istituzioni arrivano impegni concreti per azioni legislative e interventi che anche OBCT ha sollecitato nell’ultimo intenso anno di advocacy transnazionale
Lo scenario è sempre lo stesso: una critica che arriva dal basso infastidisce il potente di turno che si rivolge agli avvocati per intimidire i critici, e così partono le minacce di querela con relativa richiesta di risarcimento. Da una parte la critica legittima, dall’altra l’uso distorto della legge.
Come OBCT ha evidenziato in un dossier pubblicato all’inizio di quest’anno – e più volte ripreso in diverse ricerche promosse tra gli altri da Parlamento Europeo, Commissione Europea e Greenpeace – il fenomeno interessa tutta Europa e colpisce a tutti i livelli, dai giornalisti che indagano sulla corruzione agli attivisti che denunciano l’uso eccessivo di pesticidi.
Va tuttavia precisato che voler porre un argine alle SLAPP non significa dover limitare il legittimo diritto di cittadini e lettori ad una lecita difesa della propria reputazione quando ricevano l’attenzione dei media. Al contrario. Si tratta di denunciare degli abusi, di riconoscere quando una querela per diffamazione, una denuncia per violazione della privacy, una causa per risarcimento danni, svuotate del contenuto originario, diventano SLAPP, strategie giudiziarie che abusano del diritto al solo scopo di intimidire, zittire, censurare. Al prezzo della libertà di parola.
La Croazia torna sul podio delle intimidazioni
Accade ad esempio in Croazia, dove il fenomeno SLAPP che nel gennaio 2019 aveva portato i giornalisti a protestare in strada contro oltre mille cause pretestuose, si sta ripresentando con quella che l’associazione dei giornalisti definisce una “nuova ondata”. A colpire è il numero delle querele arrivate in poco tempo. L’ex ministro dell’Agricoltura ad esempio ne ha presentate nove, tutte a carico del portale Telegram. Il direttore di Virovitica.net Goran Gazdek, colpito da una causa intentata da una parlamentare, ne smaschera la strategia di fondo: “Contano sul fatto che dovremo ingaggiare degli avvocati e che saremo impegnati a difenderci in tribunale, e così non avremo il tempo di scrivere altre inchieste”.
La strategia delle SLAPP, analizzata trent’anni fa negli USA e poi importata in Europa soprattutto in campo civile dove spesso sono gli attivisti ambientali a trovarsi nel mirino delle multinazionali dell’energia, è diffusa un po’ ovunque e veste diversi abiti. I giornalisti la conoscono travestita da querela per diffamazione (nei paesi dove la diffamazione è un reato) e da richiesta risarcimento per danni alla reputazione (dove è invece illecito civile), ma l’effetto è lo stesso: chi viene chiamato a rispondere a una citazione in tribunale, è sempre intimorito, affronta lo stesso percorso di denigrazione, e si trova a praticare un’autocensura difficilmente evitabile. Tanto che a farne le spese sono la libera informazione e il diritto dei cittadini ad essere informati.
Un anno di attivismo e lobbying per i diritti
Tante storie le abbiamo sentite raccontare ad Amsterdam, lo scorso febbraio, quando Greenpeace ha chiamato a raccolta decine di organizzazioni per i diritti umani, think tank, ong, centri studi, sindacati, avvocati e studiosi, e anche gruppi di attivisti; tra queste anche il caso che coinvolge Italia, Germania ed Austria, nella vicenda dei pesticidi in provincia di Bolzano, con Jurek Vengels dell’Umweltinstitut di Monaco e un autore austriaco citati per diffamazione dall’assessore provinciale locale e da più di mille contadini sudtirolesi. Un caso ancora aperto, nonostante voci e annunci di un presunto ritiro della querela; un caso che persino la Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović ha citato giorni fa come esempio di abuso del diritto.
Ad Amsterdam con noi c’era anche Matthew Caruana Galizia, uno dei figli della giornalista maltese uccisa nel 2017, perché proprio l’uccisione di Daphne con quell’autobomba del 16 ottobre di tre anni fa ha riacceso i riflettori sulla minaccia delle querele; sul capo di Daphne infatti, pendevano una quarantina di cause per diffamazione, ora passate ai tre figli e al vedovo. Eppure, nonostante i riflettori, la successiva iniziativa del gennaio 2018 di alcuni europarlamentari guidati dal maltese David Casa è stata stoppata qualche mese dopo dall’allora vicepresidente della Commissione Timmermans: la questione, si diceva, esulava dalle competenze dell’UE, essendo le norme sulla diffamazione materia legislativa nazionale.
I tentativi di influenzare le istituzioni europee non si sono però fermati, e altri colleghi quali la tedesca Viola von Cramon hanno portato avanti l’impegno insieme allo stesso David Casa anche dopo il rinnovo del Parlamento Europeo nel 2019. Nel novembre 2019 i due europarlamentari hanno ospitato a Bruxelles un seminario organizzato da ECPMF cui OBCT ha portato un contributo sulla situazione italiana; e da quella tavola rotonda, cui era invitato anche un rappresentante di Greenpeace, è scaturita l’idea di allargare la collaborazione, estendere le alleanze, includere più soggetti possibile.
Allargare le alleanze per difendere la libertà di parola
Quell’intensa giornata ad Amsterdam dello scorso febbraio, pochi giorni prima che l’Europa introducesse limitazioni ai viaggi per lo scoppio della pandemia da Covid 19, è riuscita ad intrecciare relazioni non solo tra soggetti attivi in paesi diversi, ma anche tra organizzazioni di natura molto diversa fra loro, con approcci e punti di vista che si integrano e arricchiscono a vicenda. C’erano avvocati di testate prestigiose ma anche esponenti di centri sociali attivi contro le miniere in Germania, sindacalisti degli operatori dei media e ong attive nella tutela dei whistleblower, attivisti ambientali e enti per la promozione della partecipazione civica.
La giornata, che ad Amsterdam si è chiusa in un affollato evento pubblico con la toccante testimonianza di Matthew Caruana Galizia sul palco, si è idealmente estesa nei mesi successivi: da febbraio le riunioni a distanza sono state almeno una trentina, con gruppi di lavoro attivi nella stesura di un modello di direttiva europea, altri impegnati nella strategia di comunicazione, altri sul versante della sensibilizzazione e del coinvolgimento delle istituzioni.
A piccoli passi verso grandi risultati, componendo un mosaico fatto di iniziative, incontri al vertice e riunioni di esperti, telefonate e conferenze, colloqui con eurodeputati e scambi di mail, in una varietà di azioni che l’avvento della pandemia ha di certo cambiato nella sua natura, senza tuttavia riuscire a frenarne l’impeto: è così che si è dipanato anche per OBCT quest’ultimo anno di attivismo transnazionale e impegno tematico con focus sulle querele temerarie.
E i risultati sono arrivati, a poco a poco, a cascata, da Bruxelles e da Strasburgo.
I primi frutti
“La libertà di parola è un diritto fondamentale in Europa, ma in alcuni paesi, i ricchi e i potenti usano le querele pretestuose per censurare, molestare e zittire chi li critica”. Ad intervenire sull’argomento questa volta è la Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović, in una nota pubblicata a sorpresa pochi giorni fa, il 27 ottobre. A più di due anni dalla raccomandazione adottata dal consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa nel marzo 2018, infatti, è la prima volta che un accenno così esplicito alla SLAPP arriva da Strasburgo. “Si tratta di un problema noto da tempo che tuttavia si sta amplificando negli ultimi mesi – prosegue Dunja Mijatović – e giornalisti, attivisti e gruppi di difensori dei diritti umani sono l’obiettivo preferito di queste cosiddette SLAPP, querele strategiche che ostacolano la partecipazione pubblica”.
Un intervento prestigioso, promettente. Si tratta di frutti autunnali raccolti grazie al costante e pressante lavoro di advocacy intensificato in primavera. Il 27 aprile ad esempio c’era stato l’incontro, su piattaforma virtuale, con gli europarlamentari David Casa, Ramona Strugariu e Viola von Cramon; l’europarlamentare tedesca, che pochi giorni prima aveva presentato un’interrogazione in assemblea, si è fatta promotrice di una lettera alla vicepresidente della Commissione raccogliendo le firme di 31 colleghi.
E gli effetti concreti hanno cominciato ad arrivare: sia in risposta alla lettera sia nella replica all’interrogazione, la vicepresidente della Commissione Věra Jourová ha confermato l’attenzione delle istituzioni per la SLAPP, dichiarando come al giornalismo sia riconosciuto un ruolo fondamentale nella difesa della democrazia europea, per cui le querele sono equiparate a delle minacce: “I giornalisti e le organizzazioni della società civile – scrive la Jourová rispondendo alla lettera dei 32 europarlamentari – dovrebbero poter usare la loro competenza e il loro tempo per esercitare un controllo sulle nostre democrazie, non per difendersi da cause pretestuose”.
Da allora, e con più intensità da quando in giugno è stato diffuso il manifesto della coalizione anti-SLAPP, scritto e sottoscritto con altre 115 organizzazioni da tutta Europa, di SLAPP le istituzioni europee hanno continuato a parlare ogni volta che si parlava di libertà dei media e di democrazia.
Lo ha fatto la Direzione Generale Giustizia della Commissione in risposta a una lettera di ECPMF che OBCT ha firmato insieme ad una ventina di altre ong, e lo si è visto nelle consultazioni pubbliche promosse in vista della stesura del Rapporto sullo Stato di Diritto e del Piano di Azione sulla Democrazia: finalmente la SLAPP occupa il centro della scena nelle questioni da risolvere, si tratta esplicitamente di minacce al funzionamento delle democrazie, di abusi che minano lo stato di diritto.
Non sono più soltanto gli attivisti e i difensori dei diritti umani a sostenerlo; ora il riconoscimento è condiviso dai vertici europei, da Bruxelles a Strasburgo.
E così si è arrivati a fine ottobre, quando nel giro di pochi giorni sono giunte, prima dalla Commissione e poi dal Consiglio d’Europa, conferme incoraggianti.
“Iniziative concrete per proteggere i giornalisti e la società civile dalle SLAPP”: questa volta non si tratta di un appello né di un auspicio, ma dell’impegno scritto che la Commissione Europea ha formalizzato il 19 ottobre presentando l’annuale programma di lavoro per il 2021.
Ogni anno l’organo di governo dell’Unione Europea adotta un piano di attività elencando le priorità dei successivi 12 mesi, e per il 2021, tra i 44 nuovi obiettivi organizzati in 6 macroaree, per la prima volta, accanto all’impegno contro la violenza di genere, contro le interferenze esterne nelle elezioni e contro la disinformazione, figura una decisa azione anti-SLAPP.
“L’anno prossimo – vi si legge – proporremo regole più chiare per il finanziamento dei partiti politici e ci attiveremo per garantire una maggiore trasparenza nelle inserzioni politiche a pagamento, miglioreremo l’accesso al voto dei cittadini europei che si muovono da un paese all’altro e ci attiveremo per proteggere i giornalisti e la società civile dalle querele strategiche che ostacolano la partecipazione pubblica”.
La soddisfazione tra i membri della coalizione è tanta ma pacata. C’è ancora tanto da fare. Un gruppo di studio ha ingaggiato degli esperti per mettere a punto una bozza di direttiva; un altro gruppo sta progettando campagne di sensibilizzazione che coinvolgano l’opinione pubblica; altri si stanno muovendo perché anche il Consiglio d’Europa arrivi a proporre un documento programmatico; sono in agenda tavole rotonde con avvocati, consulenze di esperti, partecipazione a studi commissionati dall’esterno, pubblicazione di articoli e report, e c’è chi sta disegnando un sito che raccolga informazioni e strumenti mettendo in evidenza le storie delle vittime di SLAPP.
Perché sono le storie a smuovere le acque, come la storia tragica di Daphne da cui questa azione europea è partita, ma anche come quella di Federica Angeli citata dalla Commissaria per i Diritti Umani del CoE, insieme a quella dei giornalisti di Gazeta Wyborcza in Polonia e del sito Necenzurirano in Slovenia.
Tante storie, una vittima in comune: il diritto dei cittadini ad essere informati.