L’Europa al di là dell’Adriatico
Pubblichiamo di seguito il resoconto, a cura di Andrea Stocchiero – vicedirettore del CeSPI di Roma, relativo al seminario sulla politica di prossimità ed i partenariati territoriali nei Balcani, svoltosi a Civitas lo scorso 30 aprile.
Il 30 aprile 2004, si è tenuto presso la Fiera CIVITAS di Padova, il seminario ASCOD sulla politica di prossimità e la cooperazione regionale verso i Balcani, organizzato dal CeSPI in collaborazione con l’Osservatorio sui Balcani.
In questa occasione, è stato presentato un dossier, scaricabile sul sito del CeSPI (www.cespi.it www.cespi.it), che comprende una riflessione dell’esperto Alessandro Rotta sulla cooperazione in contesti di decentramento particolarmente critici come quelli del Kosovo e della Macedonia, e i documenti "The Balkans between stabilisation and membership" di Dimitrios Triantaphyllou , "Collapse in Kosovo" dell’International Crisis Group , e "Macedonia: No Room for Complacency" sempre dell’International Crisis Group .
Tra i relatori ricordiamo l’Assessore Iva Berasi della Provincia Autonoma di Trento, il dr. Luigi Narbone della Task Force Wider Europe della Commissione Europea, i dirigenti e funzionari regionali Susanna Guidotti (Toscana), Gianlorenzo Martini (Veneto), Graziano Lorenzon (Friuli Venezia Giulia), Claudio Beni (Piemonte), e il Consigliere Manlio Giuffrida, Coordinatore per la cooperazione decentrata del Ministero Affari Esteri. Il seminario ha visto la partecipazione attiva di rappresentanti di enti locali italiani, esperti, associazioni e organizzazioni non governative.
Nel 2003 la Commissione europea ha lanciato la politica di prossimità per la creazione di un vicinato stabile, coeso e in crescita. Questo con particolare riferimento ad aree di tensione, come nel caso dei Balcani. Sebbene la prospettiva politica di quest’area sia quella dell’integrazione nell’Unione Europea, come richiesto recentemente dalla Croazia, la Commissione ha offerto anche ai paesi dell’Europa sud orientale la proposta del "buon vicinato", in attesa che maturino le condizioni necessarie per l’adesione.
La politica di prossimità prevede l’apertura ai paesi vicini di "everything but institution", ovvero dei diversi programmi di coesione e sviluppo dell’UE fuorché l’adesione alle istituzioni. Si tratta quindi di oltrepassare lo schema della politica interna/esterna e di aprire ai Paesi vicini il mercato unico, i progetti infrastrutturali, la ricerca scientifica e tecnologica, la cooperazione tra autonomie locali e società civile, e gli altri programmi UE, finora di pertinenza unicamente dei Paesi membri.
Questa apertura verrebbe, come evidenziato dal dr. Narbone della Commissione Europea, differenziata a seconda dei paesi e delle aree sub-regionali, tra cui quella dei Balcani. Si favorirebbe quindi un approccio policentrico e di sostegno alle diverse integrazioni sub-regionali.
Il prossimo Consiglio europeo di giugno dovrebbe vedere il lancio della strategia della prossimità che sarà fondata su una "ownership" comune, sulla condivisione di valori comuni, su impegni chiari di riforma politica ed economica. Verranno stabiliti dei piani nazionali di 3/5 anni con calendari per il raggiungimento degli obiettivi di riforma previsti, a cui dovrebbero seguire nuovi accordi di vicinato. Verrebbe quindi posta una condizionalità positiva all’offerta del buon vicinato.
La Commissione è inoltre impegnata nell’elaborazione del nuovo strumento di prossimità per il 2007. Per ora questa elaborazione è legata in particolare al dibattito politico sulla sua dotazione finanziaria nel quadro delle negoziazioni sul nuovo bilancio della Commissione. Comunque si prevede un accorpamento dei diversi programmi regionali (MEDA, CARDS, TACIS, …) in un unico strumento in modo da semplificare l’azione dell’Unione. E’ inoltre previsto un programma specifico per la cooperazione transfrontaliera e la cooperazione transnazionale. Si tratta in particolare dei programmi di prossimità sugli obiettivi stabiliti nella comunicazione della commissione del luglio 2003 , la cui copertura geografica sarà estesa a tutti i paesi vicini. Saranno riproposti programmi di successo come i Twinning, mentre per ora rimangono esclusi i Balcani dal programma europeo sui gemellaggi (come criticato dal dr. Martini, presidente dell’Associazione delle Agenzie per la Democrazia Locale).
Il valore aggiunto della politica di prossimità è per ora legato soprattutto al rilancio del dialogo politico con i paesi vicini e a una nuova dinamica impressa nelle relazioni internazionali; così come ad un effetto concorrenza tra i paesi vicini che li portano a rafforzare, ad esempio, le riforme democratiche, per poter accedere all’offerta UE.
Ma la prossimità così come il recente allargamento non è un processo scontato o che si possa preordinare a livello macro, vi è la necessità di preparare e coinvolgere i territori, facendoli diventare protagonisti della creazione di nuovi rapporti di sviluppo comune. L’ass.re Berasi ha quindi evidenziato come la Provincia Autonoma di Trento sia da tempo impegnata in una politica di sistema e rete per la valorizzazione delle iniziative di cooperazione decentrata del suo territorio, che si rivolgono in special modo verso i Balcani. Da una fase di sperimentazione si sta ora passando alla crescita dei tavoli e dei coordinamenti per consolidare i rapporti con i partner.
Lo stesso sforzo, anche in termini di aumento delle risorse finanziarie, è stato testimoniato dalle altre regioni presenti al seminario: il Friuli Venezia Giulia ha recentemente aumentato lo stanziamento per la cooperazione mentre si sta impegnando nella formazione del sistema regionale per la cooperazione; il Piemonte è arrivato a mobilitare 6 milioni di euro in progetti di sostegno alle autonomie locali partner, ed è ora impegnato in un dibattito riguardo l’opportunità di unificare i diversi uffici settoriali che trattano le relazioni internazionali in un’unica struttura, in modo da dare maggiore rilevanza all’azione esterna regionale. Il Veneto ha adottato un approccio specifico volto a sfruttare i finanziamenti comunitari: è stata creata la struttura Veneto in Europa per lo Sviluppo dei Balcani (V.inE.) che gestisce i rapporti internazionali con i paesi partner in modo da individuare bisogni di cooperazione e quindi partecipare ai bandi UE per accompagnare le riforme istituzionali (è stata citata ad esempio l’iniziativa di gemellaggio di Padova con Belgrado sul tema della sanità). A sua volta la Toscana ha diretto il suo impegno a cercare di integrare e coordinare in un unico programma a rete (Seenet, cofinanziato dal Ministero Affari Esteri) le iniziative progettuali di diverse autonomie locali del suo territorio per lo sviluppo locale nei Balcani rispondendo a richieste precise dei partner locali. La Toscana è inoltre impegnata a coordinare le sue attività con altre regioni, come l’Emilia Romagna e le Marche. Infine è stato lamentato il ritardo nell’applicazione della legge nazionale 84/01 che prevede il cofinanziamento dei progetti operativi integrati regionali per lo sviluppo dei Balcani.
A fronte di queste iniziative sono state rilevate alcune questioni di fondo. Innanzitutto, quando si considera la questione della stabilità e dello sviluppo dei Balcani, non si può prescindere dai problemi legati al conflitto interetnico e politico, alla legalità e alla sicurezza. Rinunciare ad affrontare i temi dell’elaborazione del conflitto, rimovendoli, significa fondare politiche di sviluppo locale su basi molto deboli. L’elaborazione del conflitto è strategica per poter parlare di stabilità e sviluppo comune in quest’area. La cooperazione delle regioni e delle autonomie locali con le diverse espressioni del territorio non può prescindere dall’affrontare questi problemi con i partner locali, altrimenti rischia di realizzare interventi che possono essere vanificati da improvvise recrudescenze dei conflitti locali. Così come può venire strumentalizzata a fini politici: è questo il caso ad esempio del processo di decentramento in Kosovo che i serbi vincolano alla cantonizzazione mentre gli albanesi alla indipendenza. E’ necessario allora acquisire una maggiore consapevolezza dei giochi politici, la cooperazione decentrata non può limitarsi a iniziative di assistenza tecnica di corto respiro e sostanzialmente miopi nei loro risvolti politici.
Queste considerazioni portano a evidenziare la questione della qualità della cooperazione, dei partenariati che legano i territori, dello sviluppo comune (e quindi anche della politica di prossimità). La cooperazione dovrebbe fondarsi su principi e criteri che fanno riferimento a valori condivisi (partecipazione e democrazia, tutela delle minoranze, promozione dei diritti umani e delle libertà, …) e a comportamenti coerenti (tra internazionalizzazione economica, sviluppo sostenibile, solidarietà, diritti dei migranti). La valutazione delle strategie, delle azioni e degli effetti è un altro esercizio importante per riflettere sulla qualità dei partenariati. Un esercizio a cui dovrebbe aprirsi sempre di più la cooperazione decentrata.
Per rispondere a queste problematiche di fondo è necessario elevare la capacità di leggere ed interpretare le forze e i contesti, con analisi delle strutture di potere, dei problemi legati alla legalità. A tal fine sarebbe importante aprire dei forum di confronto e dibattito tra i soggetti della cooperazione decentrata, con il livello centrale e comunitario, per aree di sviluppo comune, con i diversi partner.
Un altro problema riguarda la mancanza di coordinamento degli interventi (che risultava maggiore nel periodo dell’emergenza), a cui si sta cercando di rispondere a livello regionale (come visto precedentemente con la creazione di sistemi di soggetti del territorio che fanno cooperazione), ma che è assente a livello nazionale.
È stato inoltre rilevato come la cooperazione delle regioni debba essere legata al "rientro" per i territori, implicando quindi un interesse economico da perseguire. E’ però da qualificare il significato di rientro nel breve o lungo termine, e rispetto ai diversi contesti di sviluppo. Ad esempio, la cooperazione per la stabilità dei Balcani, fondata sull’elaborazione dei conflitti e sulla promozione dei diritti umani, ha una grande e imprescindibile rilevanza per la creazione di un ambiente di pace e buone relazioni, indispensabile per qualsiasi operazione economica, pur non essendo legata alla acquisizione di rientri economici nel breve periodo. D’altra parte è opportuno distinguere tra obiettivi e strumenti, per cui, se l’obiettivo è la promozione commerciale e degli investimenti esteri delle imprese del proprio territorio, dovranno essere messe in campo normative e strumenti volte all’internazionalizzazione economica, senza divergere risorse dedicate ad altri obiettivi come la democrazia e la solidarietà. E comunque rimane l’esigenza di legare coerentemente le opportunità di "rientro" ad un concetto di sviluppo comune fondato sul rispetto dei diritti e delle libertà.
Tutto ciò porta alla necessità di ripensare alle categorie tradizionali dell’aiuto allo sviluppo: non è più possibile parlare di politica di cooperazione allo sviluppo verso paesi terzi quando oramai le interdipendenze (sociali, ambientali, economiche, politiche) sono tali da legare in un unico sistema i diversi territori. E’ questa l’assunzione di base della politica di prossimità: non ha più senso la logica interno/esterno, soprattutto ai confini dell’Europa, si deve piuttosto elaborare una politica dello sviluppo comune coerente nei suoi diversi aspetti e fondata su principi condivisi.
1 Institute for Security Studies, "Partners and neighbours: a CFSP for a wider Europe", Chaillot Papers n.64, September 2003.
2 Europe Report n.155, 22 April 2004.
3 Europe Report n.149, 23 October 2003.
4 European Commission , Paving the Way for a New Neighbourhood Instrument, 1 July 2003.