Lettere al vento

Un film che mostra senza banalizzare l’avventura di chi si deve muovere da illegale attraverso lo stivale. Un’opera di Edmond Budina, ex vicedirettore dell’Accademia d’arte drammatica di Tirana, ora assemblatore di turbine a Bassano del Grappa

13/06/2003, Nicola Falcinella -

Lettere-al-vento

Lettere al vento - locandina del film

Un film italo-albanese da oggi (venerdì 13 giugno) nelle sale italiane dopo il passaggio al Taormina FilmFest. È "Lettere al vento" di un operaio-regista, illirico di nascita, e da un decennio trapiantato in Veneto, a Bassano, Edmond Budina. Esce naturalmente in poche sale (coraggiosa distribuzione LuckyRed) e in un periodo di scarsa affluenza ai cinema, ma è importante che qualcuno possa vedere questa non banale pellicola sul passaggio di quel Paese al capitalismo, ma anche su come da oltre Adriatico si veda l’Italia e l’impatto degli immigrati con l’occidente.

Un film fin troppo carico di simboli che parte in un anno imprecisato sotto il regime comunista. Niko, professore e segretario del partito, salva dal carcere Goni, un esuberante amico d’infanzia, pescatore che dà fuoco a tutto quando è felice. Passano gli anni, il comunismo è caduto, Niko è invecchiato, suo figlio Mikel è partito anni prima per l’Italia via mare e non ha più dato notizie. Quando arriva una lettera il vento la porta via prima che i familiari riescano a leggerla.

Un gruppo di banditi rapisce la figlia di Niko, ma quando apprendono che si tratta della sorella di Mikel la rilasciano impauriti. Il padre insospettito decide di andare in Italia alla ricerca di questo figlio scomparso ma tanto temuto dai malviventi. Senza soldi si arrangia a vendere banane per la strada, ma il suo buon cuore non gli permette di fare affari e finisce ricattato dal racket, a capo del quale c’è Goni, scafista senza scrupoli che si è arricchito e vuole ora entrare in politica insieme alla sua amante. Niko arriva clandestino in Italia, cerca di prendere il treno per salire a nord come molti connazionali ma, alla stazione, assiste alla violenza su una donna e interviene. Un gesto generoso che gli vale dalla polizia l’ingiunzione di lasciare l’Italia. Riuscirà a raggiungere Torino, incontrare gli amici del figlio e dopo lunghi, e penosi, fraintendimenti scoprirà che il figlio è morto da tempo e che i suoi documenti sono utilizzati da altri.

Un film realista e onirico, che a volte spiega e a volte suggerisce, che mostra senza banalizzare l’avventura di chi si affida agli scafisti per raggiungere l’Italia e si deve muovere da illegale attraverso lo stivale. Una pellicola che aiuta a comprendere, narrata con partecipazione (e a volte con eccessiva enfasi) e senza scadere nel folklore nonostante matrimoni con spari, fondi di caffè, sogni, lettere che volano in continuazione e comprimari surreali.

L’autore è anche interprete del personaggio principale e la recitazione misurata e credibile è uno degli aspetti più convincenti del lavoro. Budina, attore e regista (vicedirettore dell’Accademia d’arte drammatica di Tirana nel periodo comunista) di spettacoli coraggiosi, è stato un punto di riferimento degli studenti durante la rivolta. Grazie all’origine italiana della moglie, nel dicembre ’91 riuscì a trasferirsi in Italia, acquisendo la cittadinanza del nostro Paese. Ora lavora come assemblatore di turbine idrauliche in una fabbrica di Bassano del Grappa.

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