Lettera al Papa
Un gruppo di scrittori, artisti e intellettuali bosniaci ha scritto una lettera aperta a Papa Francesco , a poche settimane dalla visita del Pontefice in Bosnia Erzegovina.
Gli estensori della lettera si dicono profondamente “incoraggiati” e “rincuorati” dall’annuncio della visita papale, un evento che può “segnare l’inizio di un’era di vera pace e di riconciliazione”. La lettera ribadisce l’importanza del contributo dato dalla Chiesa cattolica alla costruzione dell’identità bosniaco erzegovese (“la Chiesa cattolica in Bosnia-Erzegovina è stata una parte essenziale di ciò che la nostra identità è. I contributi della Chiesa, dei suoi sacerdoti e dei fedeli alla nostra vita culturale e al progresso scientifico e spirituale è immensa”), e ricorda l’esempio di cattolici e pacifisti che, anche recentemente, nel corso della guerra 1992-95, hanno dato la propria vita per questo paese, quali Gabriele Moreno Locatelli.
Al tempo stesso, però, i firmatari segnalano il proprio sgomento di fronte alla recente accoglienza tributata da alcuni esponenti politici e religiosi (cattolici) locali ad un criminale di guerra, e per il fatto che “le stesse persone che con gioia hanno accolto criminali di guerra sono tra coloro che la saluteranno e le daranno in benvenuto in Bosnia-Erzegovina”.
Il riferimento è a Dragan Čović, membro della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, e a Marinko Čavara, attuale presidente della Federazione di Bosnia Erzegovina, che hanno tributato un pubblico benvenuto a Dario Kordić, condannato per crimini di guerra dal Tribunale Penale dell’Aja per l’ex Jugoslavia e recentemente scarcerato dopo avere scontato i tre quarti della condanna. Il ritorno in Bosnia Erzegovina di Kordić è infatti stato accompagnato dalla celebrazione di una messa e da un discorso dello stesso Kordić dall’altare della chiesa.
Secondo i firmatari della lettera, “la Bosnia-Erzegovina necessita di tutto l’aiuto possibile sul percorso, lento e tortuoso, del ripristino della fiducia tra i diversi gruppi etnici che compongono il paese. Il confronto con le atrocità commesse durante la guerra rappresenta l’elemento chiave di questo processo. Tale confronto è possibile soltanto a patto di smettere di giustificare e negare crimini commessi dai membri del ‘nostro’ gruppo e iniziare a riconoscere e condannare in modo sincero tali crimini […] La gente di altre etnie percepisce questo come una forma di negazione della loro sofferenza e la celebrazione dei crimini commessi contro di loro. Le loro ferite non solo non si rimarginano, ma si riaprono”.
La lettera si conclude con un’accorata invocazione a Papa Francesco, “Beatissimo Padre, ogni Sua parola e gesto avranno una profonda risonanza nella nostra società e nel mondo. Saremo lieti di salutarLa e onorarLa nel nostro paese”, che contiene un’implicita richiesta di presa di distanza dalle posizioni espresse in quell’occasione da alcuni rappresentanti politici e da parte della Chiesa cattolica locale.
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