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L’eredità di Hannah Arendt – Intervista con Dubravka Ugrešic
Pubblichiamo la traduzione italiana dell’intervista rilasciata da Dubravka Ugresic per il settimanale belgradese "Ekonomist" il 15 luglio 2002, in occasione della conferenza sul pensiero di Hannah Arendt.
"Non bisogna permettere l’oblio. Finché non si raggiungerà un’ampia sensibilità verso queste cose, occorre ripeterle continuamente, perché la gente non vuole riconoscere di essersi comportata da canaglia."
"Al di là del totalitarismo e del male" è stato il sottotitolo della Conferenza internazionale dedicata all’opera della filosofa Hannah Arendt, svoltasi dal 3 al 7 luglio a Belgrado organizzata dal Circolo di Belgrado e dal Centro per gli studi femminili. Nell’elenco degli ospiti c’erano numerosi filosofi internazionali e locali, antropologi, letterati, responsabili delle più grandi organizzazioni non governative, dei media e rappresentanti dell’Università e del governo della Repubblica. I temi sono stati il male radicale e la banalità del male, la responsabilità personale e quella collettiva, il totalitarismo e il t[]e, il nazionalismo e il cosmopolitismo, la responsabilità istituzionale, lo stato, il potere e la libertà individuale, i diritti civili e umani, le idee senza fondamento.
Si è discusso in lingua inglese, e tutto si è svolto all’Intercontinental. "Siamo sistemati in un’atmosfera del tutto artificiale. In un hotel così elegante, al primo piano, in un pallone intellettual-accademico parliamo di cose importanti, e la vita scorre sotto di noi.
Com’è davvero la vita, non ve lo posso dire perché non lo so", dice nell’intervista per l’Ekonomist, la scrittrice Dubravka Ugrešic, ospite alla Conferenza, in risposta alla domanda circa le proprie impressioni su ciò che è cambiato qui nel frattempo.
"Quel frattempo" dura da dodici anni – da quando è stata per l’ultima volta a Belgrado. L’ultimo evento che ha vissuto qua è stato il premio NIN alla fine degli anni Ottanta, e poi la presenza come ospite ad un BITEF (rassegna teatrale annuale, ndt.), dove ha fatto parte della giuria. Appena iniziata la guerra, nel 1993, ha lasciato la Croazia e ora abita in Olanda. L’anno scorso ha tenuto lezioni presso alcune università americane. Un paio d’anni fa ha ricevuto uno dei più prestigiosi premi tedeschi per la letteratura – l’"Heinrich Mann". L’anno scorso, le case editrici "Samizdat B92" di Belgrado e "Konzor" della Croazia, si sono accordate per pubblicare insieme otto edizioni post jugoslave dei suoi libri. Quattro sono già apparse a Belgrado, e in Croazia verranno pubblicate in autunno tutte insieme.
Alla conferenza belgradese Dubravka Ugrešic ha tentato di rispondere alla domanda sul perché la gente fa del male e ha parlato del timore di essere rigettati dalla comunità, della legalizzazione del male, della paura in genere, che spinge la gente a fare del male, cercando di collocare tutta la storia nel contesto concreto, ricordando inoltre che la conferenza si svolge nell’hotel dove è stato ucciso Arkan, e che questo legame potrebbe anche essere una buona ispirazione per un regista. Pare che, nonostante l’assenza di tanti anni, la scrittrice sia molto presente e cosciente della nostra realtà. Alla domanda cos’è che la collega all’ex Jugoslavia, alla Croazia, e alla Serbia dice:
Dubravka Ugrešic: Mi collega qualcosa di più forte dell’amore nostalgico o di qualche fantasia infantile. Mi collega qualcosa di più solido, ossia la rabbia, la vergogna, l’ira. Ancora. Io pensavo che sarebbe diminuito con l’andar del tempo, ma non è così. Si dovrebbe seriamente pensare al perché sono così arrabbiata. In fondo, io non sono stata toccata direttamente dalla vita di qua. Io me ne sono staccata, dal 1993 abito all’estero. Occasionalmente vado a Zagabria. Sì, incontro molta gente, leggo i giornali, seguo cosa succede. Penso che questa rabbia sia qualcosa di naturale. Io non so come le altre persone sopportino questo sentimento, ma è evidente che nulla di questo genere può essere normale. Alcuni, diciamo, impazziscono, altri muoiono anticipatamente, altri si sfogano in un tipo di edonismo, altri cadono nell’infantilismo, del tipo: "ahimè, guarda com’è bello intorno a noi".
Però, c’è qualche trauma generale che ci ha colpiti tutti, che non è stato risolto e che ognuno cerca di risolvere a modo suo. Penso che nessuno si senta assolto, tranne gli idioti totali. Perché, quel che è successo non è normale. Alcuni sono caduti in una sorta di fatalismo e potete sentire quel: "il male accade sempre e continuamente; perché, è tanto diverso dal Rwanda?!". Sono solo scuse, qualcosa in cui la gente si rinchiude per sopportare più facilmente. A me pare, sia prima che adesso, che si viva in un ambiente dove nessuno, proprio nessuno, muore dalla vergogna. Io mi meraviglio di come quella vergogna sia scomparsa. Per amor del cielo, sono state ammazzate migliaia di persone, massacrate o bandite, alcuni sono finiti all’estero, centinaia migliaia di queste persone vivono all’estero, è stata distrutta la metà del paese…- e la vita continua solo a scorrere, anche questa è una specie di pazzia. Anche tutto questo si dovrebbe interrompere. Anche questo non è normale.
EM: Lei qui ha cercato di offrire alcune risposte alla domanda: perché la gente fa del male…
Dubravka Ugrešic: Si parlava del legame con Hannah Arendt nei confronti della banalità del male, e il male è davvero banale. È banale perché tutto dipende da quali nuove parole vengono impostate come limiti. Se noi ci mettiamo d’accordo di iniziare a ridere a crepapelle e di adottare questo comportamento come una norma, forse così riusciremo a convincere gli altri che va bene. Oppure, se ci accordiamo di cominciare a frugarci il naso in pubblico e tutti lo cominciano a fare, nessuno ci troverebbe nulla di male. Quello che è successo qui è il male legalizzato e additittura la gente si è buttata a capofitto, perché pensava che fosse un bene rubare, uccidere, usurpare…
E non è stata instaurata una nuova condotta morale; tutto quel male da qualche parte ancora esiste, i colpevoli non sono stati puniti, sono veramente pochi quelli che sono finiti in carcere, poca gente ha restituito la proprietà, poca gente ha ricostruito ciò che è stato distrutto … – ecco, in ciò sta la banalità.
EM: Come Lei si vede cambiata da tutto quello che è successo?
Dubravka Ugrešic: Sono molto cambiata. Non vivo più dove vivevo prima. Vivo con insicurezza, mentre prima vivevo in modo sicuro. Coscientemente o no, porto con me quel mio bagaglio. Una delle mie esperienze più choccanti è stato che a Zagabria, dove vivevo una vita ordinata e stabile, completamente integrata – insegnavo alla facoltà, scrivevo – in una notte tutto è scomparso a causa di un dettaglio. Sui giornali è stato pubblicato un articolo contro di me e il giorno seguente tutta la città mi ha voltato le spalle. Le persone che consideravo mie amiche non mi chiamavano più – hanno smesso di chiamarmi quel mattino, i vicini di casa mi hanno voltato le spalle, la gente con cui lavoravo alla facoltà ha smesso di salutarmi. Si è trattato di un incubo che io cerco di dimenticare.
Mi chiederete come è possibile che tutto ciò che aveva un valore per 20 anni fosse potuto sparito a causa dell’articolo in cui c’era scritto che ero una traditrice, una nemica dello stato o una strega? Ciò è del tutto inventato e lì teminano anche le proprie illusioni. Tutti noi portiamo qualche fantasia domestica. Quando abbiamo freddo pensiamo: "mi riscalderò a casa". D’un tratto tutto si è mostrato non valido. In questo senso la mia storia è una storia ebrea. Un giorno qualcuno vi mette la stella e basta. E intorno a voi terra bruciata.
EM: Cosa fa per curarsi dal trauma e come si comporta con la gente che scrivendo aveva contribuito in modo cospicuo a creare quell’atmosfera di odio e di guerra, stimolando campagne contro le persone fisiche o la gente di una particolare etnia o confessione?
Dubravka Ugrešic: Non bisogna permettere l’oblio. Finché non si raggiungerà un’ampia sensibilità verso queste cose, occorre ripeterle continuamente, perché la gente non vuole riconoscere di essersi comportata da canaglia. Regolarmente le canaglie non riconoscono di esserlo, e nemmeno saranno mai coscienti di ciò, perché, se così fosse, non lo sarebbero mai state. Bisogna alimentare questo sentimento, perché in fondo si è trattato di una nostra scelta, Miloševic è stata una scelta serba, Tudjman è stata una nostra scelta e la gente ha votato, non una, ma bensì cinque volte, e ha votato per la propria infelicità e disumanizzazione.
EM: Le pare che i cambiamenti politici stiano portando una certa qualità?
Dubravka Ugrešic: Penso che sia più importante l’economia, che la gente cominci a vivere meglio, ad essere indipendente. Che i paesi nuovi creino un sistema burocratico che funzioni a prescindere dai politici – in Occidente sono diventati degli intrattenitori – ma queste società funzionano, perché un politico non può cambiare la vostra vita. Voi continuate ad avere il vostro lavoro ecc. E là la gente vota sempre di meno, perché sono società avanzate che funzionano. Qui la gente crede che il politico sia un Dio che potrà cambiare qualcosa.
EM: Ha l’impressione di intendersi meglio con chi è emigrato?
Dubravka Ugrešic: No, penso che i nostri motivi per emigrare siano stati diversi. Persone diverse se ne sono andate e questo non è un motivo per avvicinarsi. Ci si avvicina sempre alle stesse persone, che siano qui o in Groenlandia.
(Valentina Delic – "Ekonomist", 15 luglio 2002)
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