L’enigma della transizione
Perché il costo della birra riesce sempre a trovare il modo di superare il costo del lavoro? La linea divisoria tra Occidente ed ex blocco orientale è davvero scomparsa, o si è solo spostata nelle nostre tasche? Lo scrittore bulgaro Alek Popov si interroga di fronte ai misteri della transizione
Titolo originale: "Благосъстоянието на запада е платено с дефицита на изтока" (‘Il benessere dell’Occidente è stato pagato con il deficit dell’Est’)
Traduzione dal bulgaro di Andrea Ferrario
Non molto tempo fa viaggiavo da Vienna a Budapest su un treno e la sensazione che il confine si fosse liquefatto faceva da contrappunto al ricordo della penosa attesa al confine bulgaro-serbo. Il treno passa dal territorio austriaco a quello ungherese in modo liscio, come un coltello caldo su un pezzo di burro, mentre il convoglio Sofia-Belgrado sembra scontrarsi contro un muro invisibile, tira i freni e si ferma un attimo prima di schiantarsi. E se ne sta lì fino a quando non si degnano di farlo passare dall’altra parte.
Quella che un tempo era una linea divisoria netta tra l’Europa Occidentale e l’ex blocco orientale da lungo tempo si è fatta invisibile, come il ricordo di un pezzo di formaggio rosicchiato dai topi. È rimasta solo una vaga fragranza… Ma questa linea è davvero scomparsa? Oppure non ha fatto altro che spostarsi?
Più all’interno e più in profondità – nelle nostre tasche.
Il biglietto andata e ritorno da Vienna a Budapest costa 76 euro. Lo stesso biglietto, acquistato nella stazione centrale di Budapest costa due volte di meno. A Budapest una birra mi costa poco più di un euro, mentre a Vienna devo sborsarne almeno tre. Allo stesso tempo i miei amici ungheresi soffrono, perché i loro stipendi sono circa un quarto di quelli occidentali. Il cibo però costa quasi uguale. Così come gli appartamenti, l’elettricità e il riscaldamento. I miei amici austriaci temono che i miei amici ungheresi arrivino e gli freghino il lavoro. O che un bel mattino il loro datore di lavoro, seguendo le raccomandazioni di consulenti senzapatria, possa decidere di trasferire per intero la sua azienda in Ungheria. Sia i miei amici ungheresi che quelli austriaci ormai rabbrividiscono al solo pensiero di cosa potrà succedere quando arriveranno i miei amici bulgari, nonostante fino a poco tempo fa si preparassero ad accoglierli con le fanfare… Anche i miei amici bulgari sono presi da foschi presentimenti. Presto potrebbero trovarsi a dovere pagare per la birra una tariffa ungherese, invece degli usuali 50 eurocent. E questo, naturalmente, non significa che i loro stipendi diventeranno come quelli degli ungheresi.
È questo, sostanzialmente, l’enigma centrale della transizione. Cercano di decifrarlo non solo i bulgari e gli ungheresi, ma anche i cechi, i polacchi, i romeni e gli altri cittadini dell’Europa Orientale: come mai il costo della birra riesce sempre a trovare il modo di superare il costo del lavoro? Si tratta però di un enigma che molto presto anche i cittadini dell’Europa Occidentale dovranno affrontare.
È dall’inizio degli anni ’90 che gli esperti si dilettano a calcolare quanti anni ci vorranno perché l’Europa Orientale raggiunga gli standard di quella Occidentale. Le proiezioni più ottimiste e benevolenti prevedono che ciò avverrà tra soli 20 anni, mentre quelle più severe e crudeli spostano questo traguardo di ben 50 anni nel futuro. Ogni tanto si fanno sentire voci ultraottimiste provenienti da ambienti marginali, che promettono un pareggio tra dieci anni, oppure un borbottio pessimista secondo cui le differenze non saranno scomparse nemmeno tra cento anni. Quando si vede propinare cifre di questo tipo, l’europeo orientale sente risuonare un’eco nella propria memoria. Anche la propaganda di un passato recente si occupava di scadenze simili e prevedeva che tra 50 anni il comunismo sarebbe stato un fatto. Non che qualcuno lo dubitasse… Ma nessuno aveva voglia di aspettare.
Dopo la fine della Guerra fredda l’Occidente era imbevuto di baldanza e di una sensazione di self-righteousness. È stata proclamata addirittura la "fine della storia". Tutti, ivi compresi coloro che fino a poco tempo prima erano nemici, ritenevano che in fin dei conti avesse vinto il sistema sociale migliore e più progressista. In virtù di tale logica i cambiamenti dovevano riguardare solo la metà orientale dell’Europa. Quando dalla radio rimbombava l’inno degli Scorpions "Il vento dei cambiamenti" erano in pochi a rendersi conto che il vento avrebbe presto soffiato anche sulla metà occidentale…
Il vento dei cambiamenti
Soffia diritto nel volto del tempo
Come un uragano che
farà suonare la campana della libertà
Fai che la tua balalaika canti
Ciò che la mia chitarra vuole dire.
Dopo tutto, anche la povera balalaika aveva qualcosa da raccontare, ma nessuno la ha ascoltata. Ora la suo eco ritorna come il gemito di un’utopia non realizzatasi per essere intonata dalle corde di una chitarra che strimpella in modo sempre più esitante.
Le due Europe erano organicamente collegate. La società occidentale difficilmente avrebbe avuto l’aspetto che aveva se l’Est non fosse stato come era. L’alto livello di vita e le conquiste sociali dell’occidente sono state in gran parte frutto delle pressioni esercitate dal blocco orientale. L’idea di welfare-state è stata lanciata come forma di concorrenza al socialismo totalitario. È stato questo il prezzo che il capitale ha dovuto pagare per sopravvivere. Per quanto suoni paradossale, non ha vinto il capitalismo, ma un socialismo migliore, sponsorizzato dall’economia di mercato. Nei fatti, alcune generazioni di occidentali dovrebbero accendere ogni giorno un cero al Patto di Varsavia, che:
1. Li ha liberati per mezzo secolo dalla concorrenza dei propri fratelli dell’Est.
2. Faceva tremare a morte i loro datori di lavoro, spingendoli a cedere continuamente alle rivendicazioni sociali.
3. Riforniva continuamente l’industria dell’intrattenimento di soggetti spionistici che rendevano la loro vita quotidiana molto più interessante.
In un certo senso il benessere dell’Europa Occidentale è stato pagato con il deficit di quella Orientale. Ma come canta il gruppo bulgaro Uikeda: "È finita la festa, tatataaa…". Non c’è più bisogno di esibire la vetrina e ai datori di lavoro gliene frega ben poco delle proteste sindacali, quando dietro di esse non fanno capolino le punte dei missili…
Lo stato sociale si sta restringendo come la pelle di uno zigrino. Il leggero Zeffiro che portava il disgelo a Est si è trasformato in un duro Boreale che soffia dalle selvagge steppe dei mercati.
Con l’inclusione dei paesi dell’ex blocco orientale nel sistema economico dell’UE diventa automaticamente valida la legge dei vasi comunicanti. La situazione in cui l’occidentale riceve automaticamente dieci volte di più dell’orientale per il medesimo lavoro è in pratica insostenibile. Nonostante tutto quello che si racconta sulla sua magica superproduttività. È una posizione che non ha futuro e che può essere mantenuta solo con l’aiuto di misure amministrative e repressive. Cioè tappando di nuovo i vasi.
Ma sarebbe giusto?
Il pareggiamento dei livelli non può avvenire a solo svantaggio dell’Est. È giunto il momento che anche l’occidente paghi la propria parte del conto della storia.