L’empatia in Europa: potrebbe non essere solo morta, ma sepolta da tempo
La crisi europea, che si sta svolgendo al confine tra Grecia e Turchia, vista dagli occhi di chi, in passato, si è trovato ad essere rifugiato
(Pubblicato originariamente da Kosovo 2.0 il 13 marzo 2020)
Non è facile parlare di un trauma profondo, che cambia la vita. C’è sicuramente bisogno di tempo. Hai bisogno di processarlo, di passare attraverso un apparente ciclo senza fine di impotenza, repressione, dolore, negazione, colpevolezza e di fronteggiarlo se eventualmente torna alla luce.
C’è bisogno di tempo per accettare che non andrà veramente mai via. Diventa semplicemente più facile conviverci. Se sei fortunato.
Persino allora, non puoi prepararti per quando deciderà di colpirti in faccia o di pugnalare il tuo cuore, non molto diversamente da un capriccio.
Era l’estate del 2015 e avevo appena avuto la fortuna di essere invitato ad unirmi ad un’iniziativa a favore della riapertura del Museo nazionale della Bosnia Erzegovina. L’istituzione era sull’orlo di scomparire perché i protagonisti politici nazionali lo avevano in fretta assediato per trasformarlo in una carcassa morta in preparazione agli inevitabili litigi sui suoi resti.
Eravamo lì, in sette, a condividere un ufficio improvvisato al secondo piano dell’imponente edificio austro-ungarico costruito per ospitare tutta la storia documentata del nostro paese, ad analizzare come cambiare la situazione, quando un articolo su un portale web locale ha attirato la mia attenzione.
Potrei non ricordarmi quali fossero le parole precise dell’articolo. Non è importante ora, come non lo fu allora. L’immagine in primo piano fu tutto ciò che vidi. Ritraeva un ragazzo rifugiato di non più di 8 anni, vestito con jeans ed una giacca di denim, seduto sul verde di fronte la stazione dei bus a Belgrado, in Serbia.
Improvvisamente non era più il 2015; era il 1992 e il ragazzo seduto lì ero io.
Ero nello stesso posto nel maggio del 1992, un ragazzo di 8 anni che aveva lasciato Sarajevo alcune ore prima che le forze dell’esercito della Republika Srpska, sostenuto dall’esercito nazionale jugoslavo, distruggessero la città in quello che fu il primo di diversi feroci attacchi di artiglieria. Indossavo persino gli stessi vestiti.
L’atmosfera di ostilità, la sensazione di impotenza e una profonda paura della grandezza del mostro nazionalista che era lì presente si posò sulla mia minuscola persona da quel momento in poi.
Ovviamente, scoppiai in lacrime nel vedere quell’immagine. Non solo perché aveva richiamato alla mente lo stesso trauma che aveva cambiato la mia vita; ma anche per l’incredulità che questo stava succedendo, di nuovo, a qualcun altro.
Criminalizzazione dei rifugiati
Poco dopo, Alan Kurdi, un bambino siriano di 3 anni, morì e il mondo intero fu obbligato a vedere la foto del suo corpo giacere da qualche parte vicino a Bodrum, in Turchia.
Comunque, un momento di empatia mondiale fu presto sostituito dai famosi accordi UE-Turchia nel marzo 2016, che ambivano a fermare "il flusso irregolare della migrazione". Nei commi relativi alla "migrazione illegale" quasi sempre veniva criminalizzato qualsiasi tentativo di coloro che cercavano rifugio dalla guerra – o altri disastri – per fare in modo che costoro non mettessero piede, non importa quanto piccolo, sul nostro ambito continente.
Questa farsa fu personificata in un’egocentrica performance dal famoso artista cinese Ai Weiwei che pensava che sarebbe stata una buona idea fotografare se stesso nello stesso modo in cui fu trovato il corpo del ragazzo curdo.
Il messaggio era chiaro: l’empatia era morta; da adesso in poi l’immagine è tutto.
Mentre barattava con la Turchia sull’accordo "tu tieni le persone fuori, noi diamo i soldi" l’Europa non ha preso in considerazione che, firmando l’accordo, la Turchia e il suo presidente Recep Tayyip Erdoğan avrebbero ottenuto un modo per ricattare e bullizzare l’Europa e sottometterla in qualsiasi momento sarebbe tornato utile.
Ad essere completamente equi, lo stesso accordo ha messo a dura prova anche la Turchia che ospita ancora 3.9 milioni di rifugiati (secondo i dati del 2018). La vera estensione della tragedia per quelli che si trovano in Turchia tuttavia, di cui 80% sono siriani, emerge dal fatto che tutti costoro vivono al di sotto della soglia di povertà.
L’associazione Help Refugees ha sottolineato che le strutture di detenzione per i migranti sono costantemente in crescita mentre i richiedenti asilo devono fronteggiare lunghi periodi di attesa per l’accettazione delle loro domande di protezione internazionale.
Nel 2017, Amnesty International ha classificato la Turchia come un paese non sicuro per i rifugiati in quanto non può garantire i diritti basilari di costoro sul suo territorio. Persino la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha concluso che la Turchia non è ”un paese terzo sicuro”.
Tuttavia, poco ha importato all’UE e ai suoi stati membri, nonostante il fatto aggiuntivo che l’accordo significasse un’importante deviazione dalle leggi sulla protezione dei rifugiati che improvvisamente sono divenute piuttosto flessibili.
Come Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch ha detto nel 2015, questa era una crisi "della politica, non delle competenze". E, dramma nel dramma, vi è anche la questione dei leader europei che selezionano e scelgono quali leggi dovrebbero o non dovrebbero essere rispettate e in quali momenti.
Apertura dei cancelli
Creando una zona cuscinetto in Turchia – e creandone una minuscola ma pericolosa nei Balcani occidentali – e allo stesso tempo spaventando i migranti più persistenti – che in molti casi sono anche i più vulnerabili – attraverso la potenziale ”Guantanamizzazione” di qualsiasi tentativo di raggiungere la salvezza desiderata negli stati occidentali, l’UE è definitivamente andata contro tutte le convenzioni, carte e le sue stesse leggi riguardo i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo.
Poi, nel mezzo delle operazioni della Turchia del 2020 in Siria, Erdoğan ha ritenuto appropriato distrarre e creare sgomento aprendo i cancelli.
Nel 2020 mi trovavo a Bruxelles per un lavoro come corrispondente sull’UE per l’emittente pubblica nazionale bosniaca, uno di quei lavori a cui ogni giornalista aspira. Per più di un anno, ho conosciuto e sono stato testimone del sistema dal di dentro, al meglio delle mie possibilità.
Recentemente ho cominciato a lavorare su progetti relativi alla democrazia nella regione dei Balcani occidentali, sperando di fare qualcosa di buono sul campo che andasse oltre il puro report e l’analisi occasionale. Ancora, sono stato testimone in prima persona di come funzionano le cose – questa volta all’estremità opposta della tragedia.
I funzionari trattano i rifugiati e i richiedenti asilo che cercano di attraversare le frontiere dell’UE come se fossero una piaga.
Cinque anni dopo l’ultima crisi migratoria, stiamo assistendo alle stesse immagini – il filo spinato, i gas lacrimogeni e tutte quelle cose. I video dei genitori che disperatamente tentano di aiutare i loro bambini a respirare dopo l’attacco con i gas lacrimogeni sono state un altro importante segnale che l’empatia potrebbe non essere solo morta ma sepolta da tempo, insieme al resto di quelli che sono morti nelle acque dell’Egeo o lungo i passaggi ripidi delle montagne dei Balcani occidentali.
E ricordate quelle strutture detentive per migranti che la Turchia stava costantemente ampliando? È emerso che la Grecia ha reso operativo almeno un campo segreto di detenzione dove i migranti sono tenuti in isolamento e senza accesso agli aiuti legali.
Non importa che alcuni di noi, come Bobo Weber del "Democratization Policy Council ", abbiano provato a ricordare ai nostri leader che secondo il diritto internazionale ed europeo nessun paese ha il diritto di impedire ai richiedenti asilo di lasciare un paese o entrare in un altro. Oppure che secondo la convenzione di Ginevra e il relativo diritto europeo non esiste il concetto di ”immigrazione clandestina”.
Non ha fatto molta differenza dato che la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen e altri hanno guardato da un elicottero le atroci reazioni ai tentativi di migrazione da un elicottero, ed i media hanno divulgato selvaggiamente le foto divulgate degli uffici comunicazione dei leader europei dopo la loro visita, foto in cui si atteggiavano, in Grecia, a nuovi Top Gun.
Non ha fatto molta differenza dato che, mentre la presidente Von Der Leyen elogiava la Grecia come ”lo scudo” o ‘l’aspida” dell’Europa ha inavvertitamente etichettato il paese come un serpente velenoso, che è quello che significa il termine "aspida" in varie lingue.
Non ha molta importanza il dolore e l’indignazione di quelli di noi che sono stati in passato rifugiati in disperato bisogno di aiuto e di almeno una promessa di salvezza e che vanno ripetendo, continuamente: costoro sono esseri umani con i nostri stessi diritti.
Cittadini contro élite politiche
Comunque, quello che dovrebbe importare alla presidente Von Der Leyen e ai suoi colleghi è l’opinione dei cittadini europei.
Secondo i dati dell’ "European Movement International’s Listen To Europe ", molti cittadini dell’Unione non hanno stereotipi fortemente negativi sui migranti.
Persino in Grecia – dove i cittadini sentivano che erano stati lasciati a se stessi dall’Europa all’apice della crisi del 2015 – meno del 50% dell’opinione pubblica ritiene che i migranti indeboliscono l’intero paese con il 66% degli intervistati preoccupati in realtà dal fatto che la migrazione possa influire negativamente sui già discutibili servizi sociali.
Dunque, se i cittadini dell’UE ne parlassero, la maggioranza di loro sarebbe perfettamente d’accordo con l’aiutare e con il condividere ciò che hanno se ci fosse abbastanza supporto istituzionale per aiutarci tutti equamente a portarne il peso, persino dopo metà di un decennio di politica polarizzata e tentativi di narrativa atta a dipingere coloro che cercano asilo come in qualche modo pericolosi per la nostra società.
Il punto è che noi possiamo ancora cambiare tutto questo: il diffuso ricadere nell’errore dell’Unione che ci ha visti dimenticare che le leggi ci sono per essere rispettate e non rigirate come se fossero di gomma; la mancanza di empatia di coloro che dovrebbero assumersi per noi il compito di aprire le nostre braccia ed inglobare chi è nel bisogno; la terribile esistenza subumana di coloro che hanno bisogno del nostro aiuto ma che sono stati condannati a vite infernali nel limbo in cui si sono trovati.
Perché la storia non si ripete necessariamente, tragedia e farsa di essa a parte.
È molto peggio di così, in realtà. Ogni volta che non impariamo da essa, il veleno del serpente si diffonde nelle nostre anime, finché ci annienta, una volta per tutte.