L’economia turca nella morsa della crisi
Nonostante la Turchia abbia da poco approvato un nuovo piano economico finanziario, non sembra che sia in grado a breve di uscire dalla crisi che attraversa, a dirlo è il professore di economia Mustafa Durmuş
(Originariamente pubblicato da Evrensel Daily , il 15 settembre 2018)
A settembre 2017 un dollaro Usa valeva 3,40 lire turche, oggi circa 6,40. Ad agosto l’inflazione ha raggiunto il 18%, il livello più alto degli ultimi 15 anni, e gli esperti dicono che l’inflazione percepita è almeno al 30%. L’ultimo esempio di "aumento folle" dei prezzi è quello del 50% dei biglietti per musei e siti storici. In contrasto con le affermazioni secondo cui "l’aumento del dollaro non influenzerà la vita delle persone", sentiamo più che mai le conseguenze del calo record del valore della lira turca. Il rapporto sull’inflazione della Banca centrale turca indica chiaramente che i problemi aumenteranno e i prezzi, soprattutto dei prodotti alimentari, continueranno ad aumentare…
Al suo ritorno dal Kirghizistan, Erdoğan ha dichiarato che l’inflazione scenderà presto a valori ad una cifra e gli attuali problemi saranno superati. La risposta alla domanda "Come?" è arrivata dal ministro delle Finanze Berat Albayrak: "Stiamo introducendo serie misure di austerità. Dichiariamo guerra totale all’inflazione!"
A che punto è la crisi? Quali sono queste misure di austerità? Il FMI è l’unica opzione possibile? Possiamo impedire che siano i lavoratori a pagare il conto di questa crisi? Abbiamo discusso di tutto ciò con il professor Mustafa Durmuş, autore del libro "L’economia turca nella morsa di crisi, colpo di Stato e guerra", pubblicato lo scorso anno.
I prezzi, dal cibo ai trasporti, sono in aumento e la stessa Banca centrale sta dicendo che gli aumenti continueranno. Secondo il principale partito di opposizione, il CHP, la Turchia sta affondando. È un esito inevitabile? In quale fase della crisi siamo?
L’economia turca sta affrontando la peggiore crisi della sua storia e a mio parere è destinata a peggiorare: nei prossimi mesi si osserveranno segnali molto più chiari. Questo è un processo molto rapido, e va avanti da un po’; la sua accelerazione era prevista.
Questa non è la prima né l’ultima crisi che la Turchia dovrà affrontare. Ricordo la crisi di 40 anni fa, alla fine degli anni ’70. Il capitalismo ha potuto superare quella crisi solo con la dittatura militare del 12 settembre (1980) e le strategie e politiche di accumulazione neoliberale che l’hanno accompagnata. Ma il prezzo lo hanno pagato le persone, con la sospensione di diritti e libertà democratiche, la riduzione dei salari e gli aumenti dei prezzi. Poi vi è stata la crisi del 2001 in cui 20 banche sono state nazionalizzate, salvando i loro proprietari. Quella crisi ha spianato la strada all’AKP: islamista, neoliberista, fedele alle politiche di Kemal Derviş, si è pienamente integrato con il capitale internazionale e in seguito è diventato sempre più autoritario.
L’economia turca è entrata in un’altra profonda crisi dopo 16 anni, dal momento che questa strategia ha iniziato a inciampare dal 2013 in poi.
Che tipo di crisi stiamo attraversando?
In sostanza, questa è una crisi del capitalismo turco, che dipende dagli investimenti stranieri. Si manifesta in una crisi dei saldi di pagamento (rapido aumento dei tassi di cambio), in una crisi del debito estero del settore privato e una potenziale crisi bancaria. La prima fase è completa e la seconda fase è iniziata. La fase finale di tale crisi è una profonda recessione: il restringimento dell’economia reale.
In realtà l’accumulazione nel capitalismo turco degli ultimi 16 anni ha raggiunto una fase di stallo e non può continuare. Ciò richiede un cambiamento simile a quelli precedenti. Questo cambiamento non sarà solo nella strategia economica, ma è necessario anche in politica; il fatto che il regime in costruzione sia diventato più autoritario e totalitario dal 2016 dimostra la nostra tesi. La crisi economica dal basso provoca cambiamenti inevitabili. Senza dubbio, un tale cambiamento non è dalla parte della democrazia.
In altre parole, credo che la formulazione di una via d’uscita da questa crisi da parte delle classi dominanti sarà una deriva autoritaria con ulteriore adesione al sistema capitalista globale, scaricando sulle classi lavoratrici i costi politici e finanziari.
L’esecutivo afferma che le difficoltà economiche sono il risultato delle azioni di potenze straniere, in particolare degli Stati Uniti. Il governo difende anche con veemenza la tesi "Stiamo combattendo il t[]ismo sia a livello nazionale che internazionale, stiamo portando avanti operazioni transfrontaliere, naturalmente, questo avrà dei costi economici!". Che cosa dice del legame tra politiche di sicurezza e crisi?
La crisi ha radici principalmente finanziarie, ma anche politiche e geopolitiche. L’attuale linea politica ha reso la Turchia strutturalmente dipendente dalle forze straniere, come un paese semi-coloniale; un’altra situazione unica si è sviluppata negli ultimi anni. Soprattutto dopo il 2013, i rischi geopolitici sono aumentati notevolmente. C’è stato un processo di pace fino al 2013, poi il tavolo è stato rovesciato e abbiamo assistito ad un ritorno alla guerra. Ciò ha comportato un inevitabile aumento delle spese militari e allo stesso tempo il paese ha iniziato ad essere coinvolto nella guerra siriana. Inoltre, dopo il 2013, si sono verificate lotte intestine tra la Cemaat [il movimento di Fethullah Gülen, N.d.R] e l’AKP, che hanno raggiunto il culmine con il tentativo di colpo di stato militare del luglio 2015. Sono seguiti lo stato d’emergenza e l’onere delle relative condizioni sull’economia, le elezioni anticipate del 24 giugno e la tensione fra Trump ed Erdoğan, che hanno influito sul tasso di cambio. Tutto ciò porta ad una crescente incertezza politica ed economica… Questi sono stati i fattori politici della crisi che ha colpito l’economia.
Erdoğan, invitando il pubblico a scambiare i propri dollari dicendo "loro hanno i loro dollari e noi abbiamo il nostro dio", ha dichiarato: "Tutto questo passerà". La risposta a come ciò accadrà è venuta da Berat Albayrak, che ha dichiarato guerra totale all’inflazione e annunciato energiche politiche monetarie e finanziarie. Che cosa significa questo e può essere una soluzione?
Il governo parla dei tassi di cambio, ma a mio avviso il vero problema è l’inflazione, ancora più importante della disoccupazione. Come sapete, l’inflazione annuale ha raggiunto il 18% per l’indice dei prezzi alla produzione e oltre il 32% per l’indice dei prezzi al consumo. Ciò significa che i produttori passeranno tali costi ai clienti nei prossimi mesi. In questa situazione, l’inflazione continuerà a salire: non sorprendiamoci se raggiunge il 25% alla fine dell’anno. La gente oggi vede che nei negozi e nei mercati i prezzi aumentano del 30-50%. Il governo continua ad aumentare i prezzi del gas, dell’elettricità e della benzina. Presto vedremo il programma economico a medio termine (OVP); il ministro Albayrak afferma che "combattere l’inflazione sarà la priorità principale", ma il presidente Erdoğan la pensa diversamente. Nel suo recente piano d’azione su 100 giorni ritroviamo il modello di crescita dell’inflazione. C’è un chiaro disaccordo.
Che tipo di disaccordo?
Erdoğan vuole che l’attuale strategia di crescita continui, almeno fino alle elezioni locali. Ma questa strategia porterà ad un aumento sia del deficit che dell’inflazione. Il ministro delle Finanze sta parlando di un programma che mira a controllare l’aumento dell’inflazione. I due approcci sono contraddittori; credo che il potere sia nelle mani del Palazzo. Dobbiamo aspettare e vedere come si riflette nell’OVP (programma di sviluppo economico, ndr). C’è anche un altro fattore che dobbiamo considerare: la crescita economica ha iniziato a rallentare nel secondo trimestre. I rapporti di FMI e della Banca mondiale indicano una forte contrazione nel 2019. Indipendentemente dalle intenzioni, le attuali condizioni indicano che: indipendentemente da ciò che si prova, non è possibile far crescere questa economia – anche artificialmente – come in passato, siamo diretti verso una grave crisi. Ciò avrà certamente conseguenze politiche.
Con l’aggravarsi della crisi, invece di uno spostamento a sinistra e rafforzamento dell’opposizione, è possibile prevedere un aumento delle tendenze filo-autoritarie. Gli sviluppi in tutto il mondo mostrano la stessa tendenza.
La recente messa al bando delle Madri del sabato e degli scioperi punta a questo tipo di tendenza…
Esattamente. Ne abbiamo esempi nella storia. La crisi economica è un must assoluto per costruire un tale regime. Se guardiamo alla Germania negli anni ’30 e prima in Italia, possiamo vedere che il fattore comune era una crisi economica. Se la classe operaia e lavoratrice non sono organizzate, è qui che si finisce.
La Turchia non sta attraversando solo una crisi finanziaria e politica; il paese è in uno stato di multi-crisi. La crisi ecologica è altrettanto importante. La crisi sociale si manifesta soprattutto nei suicidi, ecc.. Possiamo vedere che questi possono trasformarsi in qualcos’altro nel prossimo futuro. L’accademico Fikret Başkaya definisce questo un "collasso". Non penso che siamo ancora a quel punto, ma ci stiamo avvicinando.