Le trentadue lingue del Daghestan
Con la revisione della “politica linguistica” in Daghestan si vorrebbero proclamare lingue ufficiali tutte le lingue parlate sul territorio della repubblica, ma non mancano le difficoltà
Il 2014 sarà in Daghestan l’”Anno della cultura”. Per questa occasione si sta mettendo mano a qualcosa che già in passato ha dato luogo a molte polemiche e diatribe, e che oggi può originare un vero vespaio: la promulgazione di una “legge sulle lingue”. Si tratta della revisione della “politica linguistica”, cioè del riassetto dei rapporti fra le lingue parlate nella repubblica sullo sfondo di una nuova determinazione del ruolo della lingua russa. In primo luogo si parla della rivalutazione delle lingue locali (vernacolari, materne, etniche), molte delle quali sono in predicato di scomparsa.
Che cosa sono le lingue del Caucaso e da dove vengono? I linguisti hanno elaborato complesse classificazioni, ma per noi bastano criteri più semplici. Le lingue del Caucaso, nel senso di lingue parlate in questa regione, appartengono sostanzialmente a due gruppi:
Il primo gruppo è costituito dalle lingue indoeuropee e turche, che hanno rapporti genetici con altre lingue degli stessi ceppi esterne alla regione. Si tratta, fra le parlate i. e., dell’armeno, del tat, del talyš e dell’osseto e, in ambito turco, dell’azeri, del kumyk (Daghestan), del nogaj, del karačaj-balkaro. Esiste nel Nord-Caucaso anche una lingua mongolica, il calmucco.
Vi sono poi le lingue caucasiche “propriamente dette”, un tempo chiamate “ibero-caucasiche” (termine messo in circolazione dal linguista georgiano A. S. Čikobava). Si tratta sostanzialmente di tutte quelle lingue parlate nel Caucaso (sono decine) che non hanno alcun legame riconoscibile al di fuori della regione, e anche fra di loro mostrano al massimo alcune affinità tipologiche, ma raramente genetiche. Vengono raccolte in un unico gruppo, dal georgiano al ceceno, con complesse classificazioni, ma in sostanza sono lingue isolate ed hanno nomi poco conosciuti: àvaro, lezghino, darghino, lak, rutùlo, agùlo, ceceno, ingush, circasso, kabardino, tabasarano ecc. Alcune, come l’àvaro (magqarul bacq, la maggiore lingua locale del Daghestan), hanno addirittura dei tratti tipologici che le avvicinano alle lingue bantu dell’Africa Centrale, come p. e. la presenza, al posto del genere grammaticale, di un sistema di “classi” che marcano ogni parte del discorso.
Ora il capo (ufficialmente non più “presidente”) del Daghestan Ramazan Abdulatipov ha proposto che tutte le lingue parlate sul territorio della repubblica (che sono 32) vengano proclamate lingue ufficiali. Per questo egli ha raccomandato di stabilire per legge che esse siano studiate a scuola e che sia aggiunto uno speciale esame di “lingua materna” per tutti coloro che si iscrivano ad una qualsiasi università del Daghestan. Il ddl sulle lingue è stato preventivamente discusso da Abdulatipov con i membri del Centro Scientifico Daghestano (CSD) dell’Accademia Russa delle Scienze (RAN).
18 lingue non hanno scrittura
Le difficoltà che possono presentarsi nella realizzazione del progetto sono state esposte da Magomed Magomedov, direttore dell’Istituto di lingua, letteratura e arte del CSD, che ha illustrato nello stesso tempo anche la situazione attuale. “Accanto al russo – ha detto Magomedov – nella nostra repubblica si considerano ufficiali altre 14 lingue di popoli titolari del Daghestan. Complessivamente in Daghestan ci sono 32 lingue, e 18 di esse non hanno scrittura”. Ma le cose non sono così “semplici”. “Secondo la legge tutte le lingue devono essere ufficiali. Se anche le lingue senza scrittura diverranno ufficiali – ha proseguito Magomedov – bisognerà cambiare la simbologia, lo stemma del Daghestan e, forse, anche introdurre emendamenti nella Costituzione. Sullo stemma della Repubblica – ha osservato ancora Magomedov – è raffigurata un’aquila che su ogni ala ha sette penne che simboleggiano 14 lingue”. Se il numero delle lingue ufficiali aumenterà, bisognerà evidentemente aggiungere altre 18 penne all’aquila araldica.
La lingua come elemento conservatore della vita nazionale
Ramazan Abdulatipov ha presentato alla RAN la sua dottrina della lingua. Il documento è senza dubbio interessante perché Abdulatipov non è un improvvisatore, ed ha una lista di tutto rispetto di pubblicazioni su temi di linguistica, etnologia, religione (islamica) ecc. Dalle parole di Abdulatipov si evince la necessità di preservare le lingue vernacolari, senza le quali si perde l’originalità culturale dei popoli nord-caucasici, e di sostenere contemporaneamente la lingua russa, senza la quale il Daghestan non è più competitivo”.
“Le nostre lingue, – ha osservato il capo del Daghestan, – riflettono la nostra multiformità culturale. La lingua è uno degli elementi più conservatori della vita nazionale. Molti altri attributi della cultura possono andare perduti, ma quelli linguistici in una forma o nell’altra si conservano”. Abdulatipov ha dato un giudizio positivo su un tema del quale, fuori dall’URSS, si è sempre saputo molto poco: “Il sistema che esisteva prima”, cioè in periodo sovietico, ha osservato, “era abbastanza ragionevole perché fino alla 4 classe vi era una lezione in lingua russa, le altre lezioni si insegnavano nelle lingue locali. Dopo la 4 classe – all’incontrario. In questo modo l’individuo passava al bilinguismo”.
Il russo in retromarcia
Ma quale deve essere il ruolo della lingua russa? Osserviamo che oggi in quasi tutti i paesi ex sovietici il russo è in retromarcia. Si è cominciato ad abbandonare l’alfabeto cirillico per tornare alla latinizzazione. Come “seconda lingua” il russo, parlato in quelle repubbliche spesso da secoli, ha dovuto cedere il passo all’inglese, generalmente estraneo alle popolazioni locali. Questo processo è in corso anche nel Caucaso, soprattutto in quello meridionale, dove si trovano le tre repubbliche divenute indipendenti, Armenia, Georgia e Azerbaijan. Il passo della “derussificazione”, meno accentuato nel primo paese, è assai più riconoscibile nel terzo ed ha raggiunto il parossismo in Georgia, soprattutto sotto il presidente Mikheil Saakashvili.
In Daghestan, ma non in tutto il Nord-Caucaso, c’è la tendenza alla conservazione della lingua russa.
L’ostacolo principale che si oppone alla diffusione delle lingue vernacolari è visto da Ramazan Abdulatipov nell’“angustia dell’ambiente linguistico”. Insomma, in città tutti tendono a parlare russo e in campagna nelle varie lingue vernacolari. Quindi Abdulatipov ha osservato: “Attualmente è di moda parlare in russo. È una buona moda. Io stesso, da molti punti di vista, sono un uomo di lingua russa, di cultura russa, benché possa esprimermi davanti a qualsiasi uditorio in lingua àvara”.
In un periodo in cui il Daghestan è percorso da fermenti di violenza, essendo diventato, dopo il soggiogamento russo della Cecenia, il centro delle attività guerrigliere nel Nord-Caucaso, mettere mano ad un complesso così difficile e spinoso come quello delle lingue vernacolari, può sembrare azzardato. D’altro lato le popolazioni nord-caucasiche, e il Daghestan non fa eccezione, sono assai orgogliose e qualche volta permalose. Il fatto che solo 14 lingue locali possano fregiarsi del rango di “lingue ufficiali”, e non tutte le 32 parlate nella repubblica, può generare dei pericolosi attriti, giacché il “problema linguistico” è intrecciato con quello delle rivalità tribali che hanno anche delle connessioni con la criminalità organizzata. Ma vedremo tra non molto se Ramazan Abdulatipov sarà capace di vincere la sua scommessa: attraverso l’appoggio alle lingue vernacolari creare in Daghestan una nuova “autocoscienza nazionale”.