Le priorità della legge 84 sulla ricostruzione nei Balcani: un commento

Un nostro commento alle linee di indirizzo della Presidenza del Consiglio per l’attuazione della Legge 84 sulla ricostruzione nei Balcani. Una legge a favore del sud est Europa o solo delle imprese italiane?

01/09/2002, Redazione -

La legge 84 e le linee di indirizzo
Nella scorsa estate sono stati resi pubblici gli indirizzi strategici e le priorità d’intervento per l’attuazione della legge 84 del 21 marzo 2001 sulla "Partecipazione italiana alla stabilizzazione, alla ricostruzione e allo sviluppo dei Paesi dell’area balcanica". Si tratta di una legge che nasce con un intento valido: dare una regia unica a interventi pubblici relativi ad una stessa area geografica, ma diversi sia per natura – cooperazione allo sviluppo e sostegno alle imprese italiane – sia per soggetti promotori: amministrazioni statali, imprese private, regioni e comuni.
Regia unica che pur nella diversità di obiettivi e strumenti, darebbe senz’altro un valore aggiunto alla presenza italiana nell’area e al suo contributo a livello europeo e più in generale del Patto di Stabilità per il Sud Est Europa. La legge però nasce con alcuni punti interrogativi abbastanza vistosi, almeno per chi la guarda a partire dalle mille esperienze di cooperazione allo sviluppo e di solidarietà popolare che forse più di ogni altre hanno rappresentato in questi anni il volto positivo dell’Italia nei Balcani.
Il primo interrogativo sorge proprio dalla scarsa attenzione che la legge sembra riservare a questo ricco mondo associativo, di enti locali, del volontariato. E’ previsto in effetti un "Tavolo di confronto sui Balcani" (Art. 2, comma 4, lettera e), ma senza che gli sia attribuito alcun compito o funzione neppure di tipo consultivo. Addirittura nella sua composizione non sarebbero previsti gli enti locali e regionali, che pure tanta attività promuovono nei Balcani sia sotto forma di cooperazione transfrontaliera (le Regioni che si affacciano sull’Adriatico) sia come più generale cooperazione decentrata. In effetti alle prime convocazioni del Tavolo ci risulta che la lacuna sia stata colmata invitando anche i loro rappresentanti, ma certo questa è una spia di come la stesura della legge appaia per lo meno un po’ affrettata.
Ulteriore assenza – questa volta minore, ma significativa di un certo sbilanciamento della legge sulla parte "economica" della ricostruzione – appare quella dell’allora Ministero delle Politiche Sociali nel Comitato di Ministri istituito dall’articolo 1. Essendo il Ministero, oggi Dipartimento, impegnato direttamente in interventi di carattere sociale (ad esempio per i rientri dei minori non accompagnati) e occupandosi della materia connessa dell’accoglienza dei migranti in Italia, la sua presenza poteva giustificarsi almeno alla pari di quella del Ministero delle Finanze o dell’Industria.

Più della legge, comunque, sono le linee di indirizzo appena approvate a sollevare qualche perplessità. Anzitutto si conferma l’impressione di prevalenza della componente economico-imprenditoriale su quella cooperativa e sociale. Alla voce cooperazione allo sviluppo le priorità indicate appaiono generali e fin troppo ampie: ai punti tutto sommato specifici 1.1 Formazione e 1.2 Assistenza tecnica, infatti, si aggiunge l’1.3 Altri settori dove si citano assieme assistenza ai profughi, "riconciliazione interetnica", sviluppo agricolo, gestione dei flussi migratori, cooperazione universitaria, sostegno ai media indipendenti, tutela dell’infanzia e inserimento delle categorie deboli. Cioè più o meno tutto lo spettro dei possibili interventi di cooperazione allo sviluppo, senza individuare delle vere priorità tematiche. E per di più manca qualsiasi indicazione su quali passi concreti, quali strumenti operativi attuare per raggiungere tali obiettivi.
Ben diversa invece la cura e la specificità con cui vengono segnalate le priorità nella promozione e assistenza alle imprese italiane operanti nei Balcani. Accanto ad un sistema informativo diffuso capillare (ma perché non prevederlo anche per gli interventi di cooperazione?), due sono le attività considerate prioritarie, Assistenza tecnica e Formazione, e tre soli i settori in cui esercitarle: Energia, Ambiente, servizi e pubblica utilità, Sviluppo piccole e medie imprese. Le previsioni che si leggono sono specifiche, e a fianco dei singoli obiettivi si indica quali strumenti adottare per raggiungerli.

Dove sono i Balcani?
C’è però un’altra osservazione, e anche più consistente, che ci sentiamo di rivolgere alle linee di indirizzo: nel loro insieme sembrano tagliate molto più sulle esigenze di internazionalizzazione e promozione del sistema produttivo italiano che su quelle di "stabilizzazione, ricostruzione e sviluppo dell’area balcanica", come invece reciterebbe il titolo della legge. Così ad esempio al punto 1.3, nell’ambito della gestione dei flussi migratori, si parla di "formazione e individuazione nei Paesi (dell’area) di personale qualificato per il futuro inserimento professionale in Italia". Oppure, al punto 2.4, nel settore dell’energia si prevede la "realizzazione di uno studio di settore regionale che individui le priorità di intervento in correlazione con gli interessi strategici dell’Italia".

Sugli interessi nazionali c’è poi un paragrafo apposito, il quarto, che non affronta attività promosse direttamente nell’ambito della legge 84 ma dà più in generale degli indirizzi geo-strategici all’iniziativa politica italiana nelle sedi internazionali. Si parla così dei Corridoi 5 e 8, dei porti di Bar e Durazzo, dello spazio aereo sopra i Balcani, del trasporto marittimo nell’Adriatico e nello Ionio e del collegamento ferroviario Bar-Belgrado "che consentirebbe all’Italia un accesso diretto alla Serbia". Traspare dunque un forte accento sugli interessi (economici) italiani nell’area, mentre non si parla mai di approccio europeo comune ai paesi dell’area. Il processo di allargamento dell’Europa a est viene visto solo come fonte di nuova concorrenza tra i paesi del vecchio continente, e dunque come occasione di risvegliare i differenti interessi nazionali.
Ciò che sembra mancare completamente è invece una lettura del contesto odierno nei paesi balcanici, se non per un debole accenno alla questione della sicurezza. E’ un peccato che il documento non riesca a confrontarsi con i nodi dello sviluppo di un’area post-comunista e post-bellica, dove nessuna delle ricette esistenti, neppure quella del mitico nord-est italiano, può da sola funzionare. Almeno non se l’obiettivo finale è (anche) quello di costruire in loco società forti e autonome, tanto dalle mafie e dalle burocrazie locali quanto dagli aiuti e dalla dipendenza internazionale. Si tratta certamente di una sfida alta, ma solo così ci pare si possano indicare piste di lavoro che non siano la mera prosecuzione di quanto fatto in questi anni dalla comunità internazionale. Anni in cui, pur intervenendo con ampi mezzi, non si è riusciti affatto a garantire sostenibilità agli interventi e crescita di sicurezza e stabilità nell’area.

La cooperazione "militare"

Un ulteriore aspetto preoccupante, a nostro modo di vedere, sta nell’aver inserito nel capitolo sulla cooperazione allo sviluppo gli interventi nel campo della sicurezza. Ciò significa che per la parte di fondi attribuiti al Ministero degli Affari Esteri, a fianco alle attività in campo sociale, educativo, formativo, ambientale etc… rientrano anche quelle promosse dai contingenti italiani impegnati nel peace keeping in loco. Tra queste, ad esempio, "la formazione di personale per il controllo e la sicurezza della navigazione e del traffico marittimo nel bacino Adriatico – Ionico", "la formazione della polizia locale, con particolare riferimento alla lotta alla criminalità organizzata per il contenimento dei traffici illeciti e dell’immigrazione clandestina" o "la cooperazione in ambito giudiziario, ivi inclusi i programmi di protezione dei testimoni". Attività forse utili e importanti, ma sicuramente difficili da chiamare "cooperazione allo sviluppo"…
Gli altri buchi

Restano infine due buchi importanti nell’attuazione della legge 84, che le linee di indirizzo del Governo non aiutano a coprire. Uno riguarda la cooperazione decentrata promossa da Regioni ed Enti locali. Il testo della legge su questo punto è poco chiaro, perché garantisce un ammontare di risorse fisse per tre anni – 14 miliardi all’anno nel triennio 2001/2003 – ma prendendole da un Fondo che è finanziato solo per le prime due annualità. La situazione attuale è che, mancando finora le linee di indirizzo, non è stato finanziato alcun progetto, e però se non interverrà la prossima legge finanziaria dal gennaio 2003 non ci saranno più fondi disponibili.
Non a caso il Presidente della Regione Piemonte Enzo Ghigo, a nome di tutti i suoi colleghi, ha recentemente scritto al Governo proprio sollecitando un rifinanziamento della legge. E, detto per inciso, in tale lettera anche Ghigo nota un netto squilibrio tra la componente dell’internazionalizzazione delle imprese gestita dal Ministero delle Attività Produttive, e quella della cooperazione allo sviluppo affidata al Ministero degli Esteri.
Altro buco notevole è infine quello relativo alle attività di monitoraggio ambientale sull’inquinamento chimico-fisico radioattivo nei Balcani (il famoso inquinamento da uranio impoverito). La legge 84 ha un articolo specifico che ne parla, e prevede tra l’altro un fondo di oltre 6 miliardi di vecchie lire gestito dal Ministero dell’Ambiente. Ma di questa parte della legge le linee di indirizzo nulla dicono…

Queste note vogliono essere da parte nostra uno stimolo verso la neonata Unità tecnico-operativa per i Balcani. Nei contatti finora avuti si è colta un’ampia disponibilità a interagire e discutere. Forse però la componente "economica", che fa capo al Ministero delle Attività Produttive, risulta al momento più organizzata di quella della cooperazione allo sviluppo. Certo il mondo delle ong e delle associazioni non esprime forse richieste unitarie e convergenti, preso com’è ognuno a salvaguardare il proprio orticello. Ma una politica complessiva del "sistema Italia" nei Balcani non può fare a meno delle relazioni non economiche, di solidarietà e di partecipazione civica costruite in questi anni dalla nostra società civile.
>> La legge 84 del 21 marzo 2001
>> Le linee di indirizzo del 5 luglio 2002

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