Le parole di Hasan Nuhanović

L’arresto di Mladić, le reazioni dei media, il percorso di riconciliazione nei Balcani. L’opinione di un familiare delle vittime di Srebrenica nel giorno dell’estradizione del generale serbo bosniaco all’Aja

01/06/2011, Andrea Oskari Rossini -

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Tuzla, centro per le identificazioni (Foto Gughi Fassino)

Hasan Nuhanović era interprete per il contingente delle Nazioni Unite a Srebrenica. Suo padre, sua madre e suo fratello avevano cercato rifugio insieme a lui presso la base dei caschi blu a Potočari, dopo la caduta della città, ma sono stati fatti uscire dagli olandesi e consegnati ai soldati di Mladić. I loro resti sono stati trovati alcuni anni più tardi in due diverse fosse comuni e sono ora sepolti nel Memoriale di Potočari. Hasan ha avviato una causa contro l’Olanda per non aver protetto i suoi familiari. Il verdetto di appello, che sarà pronunciato da un tribunale civile olandese, è atteso per il 5 luglio prossimo. Ha pubblicato il libro “Sotto la bandiera della Nazioni Unite: la comunità internazionale e il genocidio di Srebrenica”. Come ha dichiarato in una recente intervista, “mentre avveniva il massacro la bandiera delle Nazioni Unite sventolava sulla cima dell’edificio della base di Potočari” (v. Joe Rubin, intervista a Hasan Nuhanović, Sarajevo, gennaio 2006)

Signor Nuhanović, non possiamo che cominciare dalle sue reazioni alla notizia dell’arresto di Mladić…

Mi hanno già fatto questa domanda ormai un centinaio di volte… I media, il mondo, si svegliano per 5 minuti, prima di tornare a dormire. In questi 5 minuti possiamo dire qualcosa, ma solo poche cose. Io cerco sempre di riportare l’attenzione sul problema che abbiamo in questo Paese, quello del lavoro arretrato. Ci sono migliaia di casi per crimini di guerra che sono sul tavolo della Procura di Stato, e non so come faranno i nostri giudici ad affrontare tutti questi casi. Mladić è stato arrestato, questo è molto importante. Si tratta però di una persona sola, se pure il comandante dell’esercito serbo bosniaco. Fuori ci sono ancora moltissime persone libere, che non vengono arrestate.

Hasan Nuhanović

Hasan Nuhanović

La Procura di Stato deve affrontare migliaia di casi, ma la Republika Srpska (RS) ha appena minacciato un referendum contro questa istituzione. Cosa si aspetta per il futuro della Corte di Sarajevo per i crimini di guerra?

La RS sostiene di aver raggiunto un accordo [con la comunità internazionale] per “ristrutturare” le istituzioni giudiziarie della BiH. Ma il sistema giudiziario bosniaco è già stato ristrutturato, e come risultato di questo processo abbiamo per l’appunto la Corte e la Procura di Stato. La loro intenzione, a quanto mi pare, è quella di chiudere queste istituzioni. La RS vuole che le massime istanze giudiziarie siano a livello delle entità e non dello Stato. Se questo avvenisse sarebbe un grosso problema. Ci servono una Procura e una Corte di Stato, con giurisdizione sui crimini di guerra. Finora queste istituzioni hanno lavorato bene. Ci sono giudici croati, serbi, bosgnacchi e stranieri. I casi vengono assegnati per estrazione, non seguendo le appartenenze nazionali. È l’unico modo che può funzionare.

L’arresto di Mladić può portare ad un alleggerimento della pressione nei confronti dei ricercati di minor rango?

Forse in Serbia, non in Bosnia. Ma la Bosnia ha bisogno di ogni tipo di sostegno perché la nostra Corte e Procura di Stato possano continuare a funzionare e lavorare sui processi per crimini di guerra. Questa è l’unica possibilità per le famiglie delle vittime, per avere un po’ di giustizia.

Lei ha avviato una causa contro il governo olandese per non aver protetto i suoi familiari a Srebrenica. A che punto è il procedimento?

Ho avviato la causa 8 anni fa. In prima istanza i giudici olandesi hanno respinto la mia richiesta. Ho fatto appello, e la Corte ha infine deciso che il mio caso doveva essere discusso. Nel settembre 2008, però, i giudici hanno stabilito che lo Stato olandese non era responsabile. Nella sentenza hanno dichiarato che le responsabilità andavano attribuite alle Nazioni Unite, non all’Olanda. Ho fatto nuovamente appello, 5 settimane fa sono stato in Olanda per una deposizione, e la sentenza di secondo grado sarà emessa il 5 luglio prossimo. Per quell’occasione mi recherò nuovamente all’Aja.

Il processo Mladić potrebbe portare a novità sulle responsabilità dei caschi blu?

Non lo posso sapere. È la stessa cosa che mi hanno chiesto i giornalisti olandesi un paio di giorni fa. Non so cosa rispondere. Io ho fornito prove alle Corti olandesi per anni. Non l’ho fatto solo io, ci sono molte fonti. Abbiamo bisogno di Mladić per dimostrare che gli olandesi hanno fatto quello che hanno fatto? Non serve che Mladić confermi nulla. Se siamo ridotti al punto di dipendere da Mladić per confermare qualcosa, non arriveremo a nessuna conclusione. Credo che ci siano già prove a sufficienza a disposizione dei giudici olandesi per concludere che gli olandesi sono responsabili. Per questo non abbiamo bisogno di Mladić.

Alcuni media serbi in questi giorni stanno presentando l’immagine di Mladić come un anziano che legge Dostoevskij, mangia fragole, è visitato dai suoi nipotini. Un’immagine che ci fa dimenticare quanto è avvenuto 15 anni fa a Srebrenica. Cosa pensa di come i media della regione stanno affrontando la questione del suo arresto?

C’è un atteggiamento che probabilmente è ancora dominante in Serbia, rispetto al quale non possiamo fare molto. In Republika Srpska, per la verità, è molto peggio. Lunedì sera ho visto la trasmissione in prima serata sulla televisione della RS, era terribile. Sei persone in studio, sei invitati, che per più di un’ora hanno parlato di Mladić come di un eroe. La scenografia erano bellissime immagini di Mladić in uniforme, che salutava la bandiera della RS. Non hanno detto neppure una parola sui suoi crimini, era una glorificazione. Io aspetto di vedere quello che accadrà all’Aja. Lì verrà seguita una determinata procedura giudiziaria, questa è la cosa più importante.

Lei ha fiducia nel Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia (TPI)? In passato ho letto sue dichiarazioni critiche rispetto ad alcune sentenze emesse per crimini di guerra…

E’ una cosa che succede non solo a me, ma a quasi tutti quelli che sono sopravvissuti alla guerra. Quando senti di criminali che sono stati condannati a 10, 15 anni o anche meno, che poi possono essere rilasciati dopo aver scontato i due terzi della condanna…

La Plavšić?

Sì, ad esempio. Accolta a Belgrado e Banja Luka come un’eroina, riportata qui in aereo dal Primo ministro della RS. Però non possiamo farci niente, queste sono le regole del TPI. Il Tribunale è stato creato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e quei Paesi hanno deciso come deve lavorare. Nonostante le critiche, io credo che abbia fatto un lavoro molto importante, e l’ultima cosa che bisogna fare è minarne la credibilità. Rappresenta la nostra unica speranza.

La giustizia tradizionale è lo strumento giusto per affrontare il passato?

La riconciliazione è un processo continuo, che richiede del tempo, e dipende anche dal lavoro del Tribunale. Anzi, probabilmente il lavoro del Tribunale rappresenta l’elemento più importante dell’intero processo. Anche la politica però può influenzarlo. Quando i politici fanno dichiarazioni [sul passato] aiutano o impediscono la creazione di un’atmosfera di un certo tipo.

Come valuta progetti come quello della REKOM, di creare una Commissione a livello regionale per accertare i fatti avvenuti negli anni ’90?

Non ho nulla contro la REKOM, ma solo se viene concepita come uno strumento complementare alle Corti locali e al Tribunale dell’Aja. Se si dovesse verificare un conflitto tra queste due concezioni, la giustizia tradizionale e il percorso della Commissione, io sceglierò sempre la prima.

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