Le nebbie del Caucaso

Le repubbliche del Caucaso del nord oggi, la lotta delle autorità governative con le formazioni ribelli, questioni irrisolte e speranze di pace e sviluppo. Un’intervista a Timur Akiev, direttore di Memorial Inguscezia

01/04/2010, Giorgio Comai -

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Caucaso del Nord (foto di Giorgio Comai)

Osservatorio Balcani e Caucaso ha incontrato Timur Akiev a Nazran, principale centro dell’Inguscezia, qualche settimana prima degli attentati alla metropolitana di Mosca del 29 marzo.

Quale è la situazione in Inguscezia e più in generale in Caucaso per quanto riguarda lo scontro tra forze ribelli e governative?

La guerra che c’era in Cecenia è entrata in una nuova fase, è diventata una guerra di tipo partigiano, e dal territorio della Cecenia si è diffusa nelle repubbliche vicine. C’è un movimento forte in Daghestan, in Inguscezia e in parte anche in Kabardino-Balkaria.

Il presidente ceceno Ramzan Kadyrov sembra essere riuscito a portare stabilità nella sua regione. È così?

Il potere in Cecenia non si sostiene grazie all’autorità di Ramzan Kadyrov come tanti dicono, ma grazie agli importanti mezzi economici che ha a disposizione. Kadyrov ha realizzato molte nuove costruzioni e può offrire con generosità una serie di benefici in particolare al suo entourage.

La ricostruzione realizzata da Kadyrov con i soldi di Mosca vuol dire molto per la popolazione. Ora a Grozny ci sono belle case, ci sono moschee, ci sono taxi, si può andare in giro tranquillamente la sera, si può farsi consegnare il pranzo a casa. C’è vita pacifica, si può avere una vita normale. E naturalmente le persone si tranquillizzano, sono stanche della guerra e non si interessano di idee, democrazia o questioni di questo tipo.

Gli abitanti della Cecenia sono stati costretti a vivere in situazioni difficilissime per 15 anni e ora vedono che si può vivere in modo normale e che ci sono i soldi per lo sviluppo.

Il modello ceceno basato su grandi finanziamenti da Mosca è sostenibile?

Bisogna riconoscere una cosa a Kadyrov. Che i soldi che arrivano in Cecenia non li butta via e non se li mette in tasca. Questi soldi li mette nel budget della Repubblica e li usa per costruire case, fabbriche, teatri, asili, case di cura e ricostruire le strade. Avrebbe potuto mettersi in tasca anche lui questi soldi, come tanti prima di lui hanno fatto in Caucaso.

Questi soldi non gli hanno però permesso di risolvere il problema con i ribelli, nonostante le forze dell’ordine locali siano pagate meglio che nelle repubbliche vicine e siano direttamente alle dipendenze di Kadyrov, anche perché hanno a loro volta bisogno di questo sistema per proteggersi. Se venisse loro a mancare la protezione dall’alto si troverebbero esposti alle nuove autorità o alla vendetta dei parenti delle persone che hanno ucciso in passato, o quando erano ribelli negli anni ’90, o quando sono diventati poliziotti.

I ribelli si trovano anche sul territorio della Cecenia, anche se forse non sono così attivi come in Inguscezia o in Daghestan, e Kadyrov non sembra in grado di risolvere la questione.

In ogni caso, tutto questo sistema si mantiene sui soldi. Se si tolgono i soldi, il sistema crolla.

Qual’è la situazione invece in Inguscezia?

Il presidente inguscio Yevkurov ha in mente un sistema differente di società stabile. Yevkurov non vuole che i finanziamenti di Mosca siano alla base di tutto e ritiene invece che il fondamento sia una relazione di fiducia reciproca tra la società e le autorità. Il centro può mandare soldi e risorse, ma questo non risolve da solo i problemi dell’Inguscezia.

Non so quanto sia realistico, ma mi sembra un approccio più giusto rispetto a quello di Kadyrov.

Cosa ne pensa dell’idea di Yevkurov di fare maggiore affidamento su strutture tradizionali come il tejp, la famiglia allargata su cui anticamente si basava la società inguscia?

È difficile dare un giudizio su questa idea prima di vedere come sarà realizzata in pratica. Penso che il tejp possa avere un’influenza positiva su una serie di questioni sociali, ma non certo convincere i ribelli a tornare alle loro case. Nel momento in cui un giovane decide di andare nel bosco [espressione comunemente utilizzata per riferirsi a chi si unisce ai ribelli, ndr], abbandona coscientemente la famiglia, agisce per motivi ideali. Se un padre non riesce a convincere il proprio figlio a tornare, tantomeno potrà riuscirvi il tejp.

Cosa è necessario per uscire dall’attuale situazione di stallo?

Prima di tutto devono esserci condizioni che permettano alle persone di vivere e lavorare in sicurezza. Per questo è necessario combattere i ribelli, ma per farlo efficacemente sono necessari degli organi di sicurezza ben funzionanti. Non serve sprecare risorse ad aumentarne il numero, bisogna lavorare sulla qualità di queste forze. Devono esserci persone competenti che si occupano delle indagini, poliziotti che lavorano professionalmente e con tutti gli strumenti necessari. Servono più strade illuminate.

È meglio avere meno forze di polizia, ma che siano motivate, che rispettino la legge e che per il loro lavoro ricevano una paga decente.

È naturalmente indispensabile anche lo sviluppo economico perché qui in Inguscezia non ci sono fabbriche, non si produce niente, c’è solo un po’ di agricoltura. Da questo punto di vista potrebbero avere un ruolo importante uomini d’affari ingusci che hanno fatto fortuna a Mosca. Purtroppo, ce ne sono pochi ad avere capitale sufficiente ed in ogni caso affinché tornino è necessario che ci siano delle condizioni di sicurezza minime a tutela di questi investimenti. Ma queste condizioni per il momento non ci sono.

Come affrontano le autorità locali la questione del Prigorodnyj Rajon, un territorio situato attualmente nell’odierna Ossezia del Nord che molti ingusci sono stati costretti ad abbandonare in seguito al conflitto del 1992?

Il presidente Yevkurov capisce bene che oggi è impossibile sperare di ottenere il controllo di quella zona e quindi ha deciso di abbandonare qualsiasi pretesa territoriale nei confronti dell’Ossezia del Nord. In fondo, questo è tutto territorio della Russia. Ma bisogna trovare un accordo che permetta di risolvere la questione dei rifugiati permettendo loro di vivere normalmente e di ritornare alle proprie case. Gli ingusci che vivono nel Prigorodnyj Rajoin devono avere gli stessi diritti di tutti gli altri, anche per quanto riguarda cure mediche e istruzione. Bambini ingusci e osseti studiano spesso in scuole separate. È importante invece che questi bambini crescano assieme.

In Italia e in Europa c’è preoccupazione per la situazione dei diritti umani nel Caucaso e fino ad ora l’attenzione si è concentrata in particolare su casi specifici come quello della giornalista Anna Politkovskaja. Cosa potrebbe fare una persona che si trova in Europa per aiutare chi vive in questa regione?

Per quanto riguarda l’Italia ad esempio, è importante l’iniziativa che sta organizzando Mondo in Cammino per favorire il dialogo tra due popoli, quello inguscio e quello osseto, che hanno vissuto un conflitto difficile. Su temi di questo tipo l’esperienza degli italiani può essere molto importante, perché molti hanno lavorato nei Balcani. La situazione che si è vista in certe parti dei Balcani è molto simile a quella che c’è tra tra ingusci ed osseti.

Un altro modo di aiutare è cercare di influenzare il proprio governo affinché questo faccia pressioni sul governo russo, soprattutto in riferimento a specifiche violazioni dei diritti umani. Ad esempio, se in qualche città italiana si organizza un’azione a sostegno di persone rapite illegalmente dalle autorità in Inguscezia, questo forse non ha risultati diretti, ma goccia a goccia si crea un mare, si tratta di iniziative importanti.

La Russia vuole far parte del sistema europeo e proprio per questo pressioni sul nostro governo possono portare ad un cambiamento.

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