Le mafie e l’Est Europa
Dai Casalesi ai boss mafiosi dell’Est. Roberto Saviano, autore del bestseller "Gomorra", si sta dedicando all’analisi dei flussi criminali nell’Europa orientale, tema del suo prossimo libro. Nostra intervista
Roberto Saviano ricomincia dall’Est. Il giovane autore di ‘Gomorra’, bestseller da 5 milioni di copie in tutto il mondo scritto a ventisei anni, oggi ne ha trenta. Vive sotto scorta, viaggia di continuo, fatica a muoversi ed indagare liberamente come prima, ma è alla ricerca di temi nuovi, o di un nuovo sguardo su quello che scriverà. "Penso a un libro sull’Europa orientale, è uno snodo cruciale nell’analisi dei grandi flussi criminali internazionali – spiega lui stesso – In questo mi è stato maestro Federico Varese, che è docente di criminologia ad Oxford. Ha mostrato, tra l’altro, che per molte mafie dell’Est il contatto con quelle italiane è stato l’accademia e ha segnato il salto di qualità. Ci sono anche carriere criminali esemplari a raccontarlo: come quella di Arkan, il comandante delle bande paramilitari serbe delle Tigri durante la guerra ex jugoslava. Fu il contatto a Milano con la potente famiglia mafiosa dei Morabito di Platì a trasformarlo da ladro d’auto a pericoloso trafficante. In seguito, trattò anche con i clan casalesi per armi e droga dai Balcani, anche se il boss Francesco Schiavone, detto Sandokan, ha sempre negato di conoscerlo.
Quando si apre la via dell’Est per le mafie italiane?
Con la caduta del muro di Berlino. Lo spiega bene anche Misha Glenny, nel suo ‘Mc Mafia’, sono state le più veloci a sfruttare gli effetti dell’apertura del nuovo mercato. Analogamente ci sono informazioni, seppure difficili da provare, sull’appoggio alla Rivoluzione arancione nel 2004 da parte delle mafie ucraine, interessate alla liberalizzazione del mercato. Oggi la delocalizzazione ad Est dei clan italiani è consolidata, dalla Russia ai Balcani. Più di un boss latitante è stato arrestato ad Est, come in Polonia Francesco Schiavone detto ‘Ciciariello’. Italiani e slavi fanno affari ormai da vent’anni, anche se dal punto di vista delle mentalità restano differenze: alla camorra napoletana risultano incomprensibili i clan russi, privi di legami familiari, e ha più affinità con quelli albanesi. Inoltre negli anni ’90 le mafie hanno fortemente contribuito a smobilitare e piazzare sui mercati gli arsenali dell’ex Patto di Varsavia.
E il contrario, l’ingresso dei clan dell’Est in Italia?
E’ stato in più fasi. I russi provarono ad imporsi con i reati nei primi anni ’90, ma sembra che i clan italiani li abbiano avvicinati mostrando loro la lista con i nomi di tutti gli affiliati: era il segnale che potevano colpirli uno per uno. Quest’episodio emerse da un’intercettazione telefonica della polizia a Londra, dove i russi si erano trasferiti. Oggi con il permesso delle mafie italiane controllano soprattutto il commercio, anche se non lo gestiscono. Ricordo un’intervista con un russo, ex soldato in Afghanistan, che tra molte bugie raccontava come a Roma il suo clan lo avesse messo alla ricerca di ristoranti in difficoltà, dove subentrare.
Emergono delle personalità in particolare?
Ricordo un boss bielorusso, Guttnik, alleato dei casalesi a Napoli. Da loro aveva carta bianca per droga e riciclaggio, e a Castelvolturno fu anche ucciso. Mi aveva colpito perché ostentava auto e vestiti proprio come i boss. Si accompagnava spesso a nigeriani, altri clan emergenti nel napoletano, anche loro in subappalto rispetto alla camorra. La mia terra sul piano del racconto è incredibile: vedevi in una periferia la globalizzazione criminale che ti saresti aspettato in una metropoli. Guttnik controllava una buona percentuale di agenzie per l’invio di denaro all’estero, ed era sua una bottega che ancora esiste, a Napoli, alla Stazione Garibaldi: un posto centrale su cui gravita gran parte della comunità ucraina e bielorussa del Sud Italia, non solo campana. Un’inchiesta del pm Marino della Dda partenopea ha ricostruito come venivano gestite le estorsioni: dal dazio sui pacchi spediti dagli emigranti, agli autobus che fanno la spola con l’Italia. Poi il racket delle badanti, che invece è fondato sulla reputazione: la donna che non paga non solo non verrà inserita negli annunci di lavoro o nel passaparola a pagamento, ma tutte le altre del giro dovranno dire di lei che è malata, che ruba, ha l’aids, beve. E non potrà lavorare. Per questo ho scritto che in Italia norme troppo dure verso gli immigrati, come il ddl sicurezza, hanno l’effetto di spingerli del tutto in mano a questi gruppi criminali.
Poi c’è il controllo della prostituzione.
Ucraini e bielorussi controllano sia quella da strada, che quella più redditizia degli annunci su internet, per le donne che fanno prostituire in appartamento. O che fanno l”altrui’, cioè vanno a casa del cliente ma controllate da un autista dei clan. Applicano punizioni esemplari, anche senza uccidere: all’ospedale di Caserta intervistai una ragazza albanese che per aver denunciato il suo racket aveva subito il taglio dei muscoli dell’inguine, che l’aveva resa zoppa a vita. Per una prostituta occidentale è possibile lavorare in proprio, per le donne dell’Est, le ‘Natashe tristi’ come le chiamano in Canada, quasi mai. I loro racconti sono tutti simili: sono aziende internazionali, il trafficking dall’Est le porta prima in Egitto e Israele, poi Spagna, Francia, Germania, Italia. Ucraini e bielorussi hanno il controllo del capitale umano. Quando gestisci gli esseri umani, gestisci una miniera. Come i camionisti, impiegati anche per il traffico d’armi: quelli controllati dai cartelli criminali sono belve da camion, imbottiti di cocaina e non si fermano mai. Dalle statistiche scopri l’alta percentuale di incidenti provocati da loro. Ma essendo registrati in Bielorussia o Ucraina, non devono dimostrare né soste né ore di sonno.
Che cosa è cambiato con l’ingresso nella Ue di alcuni Paesi dell’est?
Grazie alla Ue l’Est non è diventato dominio delle famiglie criminali. Certo la lotta è impari: c’è sproporzione nella guerra contro enormi capitali criminali che -come la sola camorra per la cocaina- fatturano 60 volte più della Fiat, o 100 più di Benetton. Inoltre manca ancora l’omogeneità giuridica: quasi nessun Paese Ue ha il reato di associazione mafiosa, al massimo hanno banda armata, e ad Est neppure hanno concorso esterno, ed è difficile estradare. Ma la Ue oggi crea almeno un’alternativa, anche se inchieste della magistratura e della stampa ad Est sono difficili. Da Sofia mi ha scritto la figlia dell’autore de ‘Il padrino bulgaro’, il giornalista con un passato di piccolo criminale Georgi Stoev, ucciso nel 2008. Mi ha chiesto di aiutarla a non far dimenticare suo padre.
L’aver dato visibilità agli affari dei clan ti ha reso un caso estremo oltre che un obiettivo. Come giudichi oggi la situazione della libertà di stampa in Italia?
E’ una guerra a bassa intensità. Non minaccia la vita, ma le carriere.
Negli ultimi anni c’è stata un’ondata di arresti di boss latitanti in Italia, anche se resta la difficoltà di colpire patrimoni ingenti. Come la giudichi?
Sono stati catturati molti boss di rilievo, ma alcuni arresti arrivano in ritardo di dieci anni. Talora si tratta di elementi che galleggiavano, o di capi storici di famiglie in crisi. Importante ora è che si arrivi anche all’arresto di elementi di spicco come Antonio Jovine e Michele Zagaria, che però sono nel ciclo del cemento, con collusioni ad alto livello. Se parlassero, metterebbero a rischio gli equilibri del mercato, e questo potrebbe farli diventare i nuovi intoccabili. Anche loro tra l’altro stanno investendo in Europa orientale.
Oggi quali sono i nuovi investimenti dei clan all’Est?
Non riguardano solo traffico di esseri umani, armi, droga, trasporti, edilizia, riciclaggio, ma anche il petrolio. Mi ha colpito l’inchiesta della polizia tedesca sui forti investimenti azionari della ‘ndrangheta in Gazprom, confermata in Italia anche da un’inchiesta di Nicola Gratteri, della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.