Le colpe degli altri
Lo Stato olandese è stato condannato per non aver protetto alcuni civili che, nel luglio del ’95, dopo l’ingresso delle truppe serbo bosniache a Srebrenica, avevano cercato rifugio presso la base dei caschi blu. È la fine dell’immunità per i peace keepers. Note a margine della sentenza
Migliaia di persone hanno partecipato lunedì scorso alla cerimonia di commemorazione della strage di Srebrenica. Nel corso della funzione, che si è tenuta presso il Memoriale di Potočari, sono state sepolte 613 vittime, identificate nell’ultimo anno. Il presidente serbo Boris Tadić, che in passato ha partecipato due volte alla commemorazione, quest’anno non era presente. Il rappresentante bosgnacco della presidenza bosniaca, Bakir Izetbegović, ha però ricordato il leader serbo con queste parole: “L’anno scorso in questo stesso giorno Boris Tadić era con noi qui a Potočari. Aveva promesso di fare tutto quello che era in suo potere per arrestare Ratko Mladić. Ha mantenuto la sua parola.”
Mustafić e Nuhanović contro l’Olanda
Tutti i media internazionali hanno sottolineato come l’arresto di Mladić, il 26 maggio scorso, e il suo trasferimento all’Aja, rappresentino la novità di questo sedicesimo anniversario. Un altro avvenimento, tuttavia, ha reso questo anniversario significativo. Riguarda le colpe degli altri in questa tragedia. Il 5 luglio una Corte locale dell’Aja ha infatti stabilito che lo Stato olandese è responsabile per la morte di tre civili bosniaco musulmani, uccisi nei giorni successivi alla caduta dell’enclave. La sentenza, di secondo grado, è giunta al termine del caso “Mustafić e Nuhanović contro l’Olanda”, avviata 8 anni fa dai familiari delle vittime.
Rizo Mustafić, elettricista, lavorava per il battaglione olandese dell’Unprofor, di stanza a Srebrenica. Insieme ad altre migliaia di profughi aveva cercato rifugio nella base degli olandesi, dopo l’ingresso in città delle truppe serbo bosniache, ma i caschi blu lo avevano mandato indietro. I suoi familiari si sono uniti a Hasan Nuhanović, interprete dei caschi blu e poi autore del libro “Sotto la bandiera delle Nazioni Unite” che, in quelle stesse ore, aveva implorato i caschi blu di accogliere all’interno della base suo padre e suo fratello. Ad Hasan era stato permesso di rimanere mentre i suoi familiari, e Rizo, mandati fuori dalla base, erano poi stati uccisi dai serbo bosniaci. Secondo Hasan Nuhanović, Mehida Mustafić, moglie di Rizo, e i due figli Damir e Alma, anche l’Olanda è responsabile per quelle morti, non avendo difeso i civili secondo il mandato assegnato ai caschi blu dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
I responsabili di un genocidio
A Srebrenica, nel luglio di 16 anni fa, è avvenuto un genocidio. È questa la conclusione inequivocabile cui sono giunte, con più sentenze, due Corti internazionali (il Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia e la Corte Internazionale di Giustizia) e la Corte di Stato della Bosnia Erzegovina. Esecutori del genocidio, secondo i giudici, sono stati membri dell’esercito e della polizia della Republika Srpska (RS). Secondo la celebre sentenza della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) del febbraio 2007, invece, la Serbia non c’entra. La CIG ha infatti decretato che Belgrado non è responsabile per quel genocidio, pur non avendo fatto nulla per impedirlo. Il processo Mladić potrebbe portare a delle novità. Lui era il comandante sul campo. Uccidere i prigionieri è stata una sua decisione? Un ordine di Karadžić? Di Milošević?
Il fatto che un piano genocidario esistesse, in ogni caso, è ormai accertato. Un’organizzazione regionale si è sforzata recentemente di riunire in un unico media parte del materiale più significativo raccolto sull’argomento da inquirenti, storici, giornalisti. Lo scorso 17 giugno, a Sarajevo, la Youth Initiative for Human Rights ha infatti presentato “Srebrenica: Mapiranje Genocida”, un sito interattivo che permette di accedere direttamente a centinaia di fonti e orientarsi nella cronologia degli eventi succedutisi tra il 6 e il 19 luglio in Bosnia orientale, cogliendone la sistematicità.
La sentenza nel caso Mustafić e Nuhanović contro l’Olanda, però, apre finalmente la prospettiva su di un’altra dimensione di quel piano genocidario: chi sono stati, se ci sono stati, i co-responsabili? Per uccidere un così grande numero di persone in pochi giorni, non basta un piano efficiente. Occorre che molti chiudano gli occhi. Abbiamo già scritto delle coincidenze avvenute a ridosso di quei tragici fatti, come il ritiro dei responsabili della difesa bosgnacca. La recente sentenza dell’Aja allarga ulteriormente il quadro. I serbi attaccano, nessuno difende, i caschi blu stanno a guardare, il genocidio avviene. Adesso, dopo anni, dopo 27 sentenze pronunciate contro poliziotti e militari serbo bosniaci, con 14 processi ancora in corso, ci si può chiedere quali e quanti centri di potere abbiano collaborato a questa operazione di morte.
L’Olanda, le Nazioni Unite, i caschi blu
Quando sono state create le Nazioni Unite, i suoi fondatori credevano alla possibilità di costituire un esercito dell’organizzazione, con il mandato di mantenere la pace nel mondo. Quest’idea è rimasta lettera morta, e l’ONU non ha mai avuto truppe proprie. Il capitolo VII dello Statuto dell’organizzazione, largamente inattuato, chiarisce a quali termini l’ONU può prendere “a prestito” soldati dai suoi Stati membri. Queste truppe sono, nei fatti, sottoposte ad un doppio comando. Da un lato sono inserite nella gerarchia dell’organizzazione (nella fattispecie gli olandesi dipendevano dal comando del generale Janvier, a Zagabria), dall’altro restano pur sempre dei soldati di questo o quello Stato.
Nel caso di Mustafić e Nuhanović, l’Olanda si è difesa affermando che la responsabilità per quel disastro (Srebrenica), e per quelle morti, è delle Nazioni Unite, non sua. In prima istanza, i giudici olandesi hanno accolto questo orientamento. La sentenza del 5 luglio, però, ha ribaltato la prospettiva stabilendo un precedente che molti definiscono “storico”.
“La Corte ha stabilito che malgrado il Dutchbat [i caschi blu olandesi a Srebrenica] fosse sotto il comando delle Nazioni Unite, dopo la caduta di Srebrenica si è creata una situazione speciale in cui il governo olandese ha interferito con il Dutchbat e con l’evacuazione dei profughi. Dato questo coinvolgimento, la Corte considera lo Stato responsabile per le azioni dei soldati del Dutchbat nei confronti degli uomini musulmani menzionati”, si legge in una sintesi della sentenza pubblicata dall’Institute for War & Peace Reporting (Rachel Irwin, 8 luglio 2011). “La Corte stabilisce che il Dutchbat non avrebbe dovuto mandare l’elettricista (Mustafić) e il fratello dell’interprete (Nuhanović) fuori dalla base, e avrebbe dovuto prevedere che il padre [di Nuhanović] avrebbe seguito il figlio”, si legge ancora.
“Non si tratta di una questione di competenze, ma dell’effettività del controllo della base olandese”, ha dichiarato l’avvocato di Nuhanović e della famiglia Mustafić, Liesbeth Zegveld, alla televisione iraniana Press TV. “Noi abbiamo sostenuto che chi esercitava il controllo, fossero le Nazioni Unite o lo Stato olandese, avrebbe dovuto essere dichiarato responsabile. Questo è stato riconosciuto dalla Corte. Se c’era un controllo effettivo, e se sono arrivate istruzioni da parte del nostro governo, ci devono essere conseguenze per quelle istruzioni.”
Come chiarisce l’avvocato Zegveld, il ricorso si basava sull’affermazione che il Dutch Bat era pienamente consapevole del rischio che queste persone avrebbero corso una volta consegnati alle forze serbo bosniache. Numerosi crimini erano infatti già stati commessi fuori dalla base, c’erano già dei cadaveri e i serbo bosniaci avevano detto che gli uomini non avrebbero avuto bisogno di trasporto.
Gli effetti della sentenza
A Srebrenica, nei giorni successivi alla caduta dell’enclave, sono scomparse oltre 8.000 persone. La sentenza del 5 luglio impone allo Stato olandese di risarcire le famiglie Nuhanović e Mustafić. Molti si chiedono se altre migliaia di ricorsi possano ora piovere sullo Stato olandese.
Sembra poco probabile che il ragionamento svolto in questo caso dai giudici possa essere allargato a tutti. Secondo l’avvocato Zegveld, però, la sentenza potrebbe avere effetto “per quanti hanno cercato rifugio presso la base dell’ONU l’11 luglio cercando di ottenere protezione da parte dei soldati olandesi, cioè per quelli che erano nella base o sotto il controllo degli olandesi […] non per i familiari di tutte le vittime del genocidio”.
Un’altra questione riguarda le possibili implicazioni di questa causa civile per i responsabili del Dutchbat. A rigore di logica, se c’è stata responsabilità ed è stato stabilito un risarcimento, dati i fatti in questione, dovrebbe esserci anche una responsabilità di tipo penale. Su questo sarà la Procura di Stato olandese a decidere, e verosimilmente lo sapremo nelle prossime settimane.
Infine, il palleggiamento di responsabilità tra Olanda e Nazioni Unite potrebbe ora entrare in una nuova fase, con la possibilità che vengano chiariti i punti ancora oscuri dell’intera vicenda (perché gli olandesi furono lasciati senza copertura aerea?)
L’effetto più importante di questa sentenza, però, sta nel precedente che stabilisce. Per la prima volta uno Stato viene considerato responsabile per le azioni dei propri peace keepers. Finora, ogni tentativo di giudicare i caschi blu responsabili di violazioni dei diritti umani non aveva avuto successo. I giudici olandesi, invece, ci dicono che i peace keepers, d’ora in poi, non godranno più dell’immunità di cui hanno goduto in passato.