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L’Azerbaijan e l’Europa
Bastano i petroldollari azeri per costruire un’immagine di facciata come paese rispettoso della democrazia e dei diritti umani? Forse no
Nel suo imporsi all’attenzione internazionale la leadership azera, sino ad ora, ha fatto molto bene. Ha ospitato eventi sportivi internazionali, ha promosso conferenze sulla tolleranza religiosa, ha fatto lobby per rafforzare legami economici e politici e non ha disdegnato di comperare politici occidentali con doni di lusso e viaggi pagati in Azerbaijan.
La leadership azera è stata bravissima – ma purtroppo solo nelle proprie dichiarazioni ufficiali – a rispettare valori europei quali i diritti umani, la democrazia, l’eguaglianza, lo stato di diritto. E mentre, all’estero, parlava di diritti democratici in casa reprimeva chi la pensava diversamente.
Il rispetto dello stato di diritto da parte della leadership azera è evidente da come viene distolto lo sguardo quando un giornalista viene brutalmente assassinato, arrestato o ricattato con filmati ripresi a sua insaputa, nella propria abitazione, in momenti di intimità.
Il suo rispetto per i diritti umani e le libertà è evidente da come incarcera numerosi attivisti politici e difensori dei diritti umani; il suo rispetto per la dignità umana emerge in tutta la sua chiarezza da come intimidisce le famiglie dei dissidenti presso le stazioni di polizia. Anziani e nipoti, fratelli e sorelle, cugini e persino bambini di due anni: tutti trattati come sospetti mentre i loro cari vengono torturati, insultati, picchiati e in alcuni casi minacciati di violenza carnale.
In uno dei più recenti tentativi di silenziare il dissenso popolare la leadership azera ha rapito su territorio georgiano il giornalista dissidente Afgan Mukhtarli che era riparato a vivere a Tbilisi, capitale della Georgia, nel 2015, assieme alla moglie e al figlio.
Le autorità azere affermano che Mukhtarli è stato arrestato mentre tentava di attraversare illegalmente il confine tra Georgia e Azerbaijan per contrabbandare un’ingente somma di denaro. Ma perché mai lo avrebbe fatto, essendo in possesso di un passaporto internazionale e dopo essere fuggito due anni fa per timore di essere arrestato, mentre era in corso nel paese un drammatico giro di vite contro ogni oppositore al regime e mentre molti dei suoi conoscenti finivano dietro alle sbarre? Sino ad ora nessuno ha risposto a questa domanda.
Nel frattempo le autorità hanno rassicurato i leader europei sul fatto che Mukhtarli è un criminale, così come lo sarebbero gli altri 147 prigionieri politici attualmente detenuti nelle carceri azere. E quelli che affermano il contrario non sarebbero che membri di una rete anti-Azerbaijan finanziata dalla lobby armena e dalle associazioni occidentali a favore dei diritti umani, tutti ciechi di fronte alle riforme intraprese nel paese grazie alla guida democratica prima di Heydar Aliyev e poi di suo figlio Ilham Aliyev, ora affiancato e sostenuto anche dalla moglie Mehriban Aliyeva, non solo first lady ma ora anche vice-presidente del paese.
Ciò che però la leadership azera non è riuscita a prevedere è che, se in patria i brogli elettorali sono prassi consolidata, in altre realtà le dinamiche di voto sono più trasparenti e monitorate. Per esempio in seno all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE), dove un ex membro e presidente del gruppo politico di centro-destra, il politico Luca Volontè, è stato indagato per aver intascato una bustarella di 2,39 milioni di euro per manipolare le dinamiche di voto a favore del regime dell’Azerbaijan, nel 2013, in merito ad una risoluzione sui prigionieri politici nel paese.
Non fosse stato per l’emersione di questo gravissimo caso di corruttela, probabilmente anche il Consiglio d’Europa, istituzione preposta al rispetto dei diritti umani, avrebbe continuato a distogliere lo sguardo. In un’intervista al Guardian, il direttore dell’European Stability Initiative Gerald Knaus ha giustamente tirato in causa anche le missioni di monitoraggio elettorale della PACE in Azerbaijan, i cui membri sono troppo spesso ritornati riportando “una visione rosea della situazione” in forte contrasto con quanto evidenziato invece dalle missioni di monitoraggio dell’OSCE/ODIHR.
Pedro Agramunt, presidente della PACE, inizialmente ha tentato di bloccare qualsiasi indagine interna relativa a queste accuse di corruzione ma se è riuscito a mantenere il suo posto nonostante i silenzi sull’Azerbaijan poco ha potuto dopo che è emerso un suo incontro con il presidente siriano Bashar al-Assad. Nonostante un ennesimo rifiuto a dare le dimissioni la PACE ha adottato il 27 giugno una risoluzione – 154 voti a favore, 30 contrari e 13 astenuti – che lo ha sollevato dall’incarico.
Solo poche settimane prima il Parlamento europeo aveva adottato una risoluzione che condannava il rapimento del giornalista Afgan Mukhtarli e la sua illegale detenzione a Baku, definendola una “grave violazione dei diritti umani”.
La cosiddetta "diplomazia del caviale", la corruzione di alcuni politici europei e l’essere pedina importante del mercato energetico mondiale ha certo aiutato l’Azerbaijan nel creare un’immagine alternativa a quanto effettivamente accade nel paese.
Un’immagine di facciata di un paese in crescita, democratico, con elezioni libere e corrette. Un paese partner strategico per l’approvvigionamento d’energia dell’Europa e la cui first lady è interessata all’arte, alla moda ed alla cultura e, oltre a presiedere una delle fondazioni più ricche del paese, è stata anche promossa al ruolo di vice-presidente. Uno show a cui alcuni, nonostante tutte le evidenze contrarie, continuano a voler credere.
Iveta Grigule, Parlamentare europea lettone, è tra chi è ancora persuaso da questa narrativa. Rientrata da un viaggio in Azerbaijan nel settembre 2016 ha criticato le Ong locali per aver fornito informazioni non corrette per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani nel paese. Ma la parlamentare pensava lo stesso delle risoluzioni del Parlamento europeo del settembre 2014 e del settembre 2015, volte a garantire a quella stessa società civile più spazio e forza, in un clima di aggressione e minaccia nei loro confronti? Forse anche il Parlamento europeo, come le Ong locali, si sbaglia in merito al rispetto dei diritti umani in Azerbaijan?
Di sicuro no. Ma la mancanza di attenzione delle istituzioni europee e una società civile ormai indebolita in Azerbaijan permettono a persone come Grigule, Agramunt e Volontè di proseguire nel fare disinformazione sul piccolo Azerbaijan, per fortuna sufficientemente lontano da dove abitano.
Tra UE e Azerbaijan un luogo di scambio istituzionale è il Comitato di cooperazione parlamentare del Parlamento europeo. Nel maggio di quest’anno una richiesta di emendamento da parte dell’eurodeputata Heidi Hautale (Verdi) alle dichiarazioni finali del 14mo incontro tra la delegazione del parlamento azero e quella del PE, volto a sottolineare che il rispetto "dello stato di diritto, della democrazia e del buon governo, così come la difesa dei diritti umani" erano elementi chiave di un nuovo accordo tra UE e Azerbaijan, ha visto il voto contrario di tutta la delegazione azera così come della relatrice sull’Azerbaijan presso il PE, l’eurodeputata liberale Norica Nicolai.
Ciononostante il regime azero non si deve fare illusioni. Non riuscirà mai ad ottenere un accordo di partenariato con l’UE come quelli che hanno ottenuto Stati Uniti, Canada, Giappone, Brasile e altri. I proventi del petrolio possono favorire l’attività di lobby nel Consiglio d’Europa o rispetto a singoli europarlamentari, ma non saranno mai sufficienti a mascherare la moneta svalutata dell’Azerbaijan, istituzioni allo sfascio, infrastrutture carenti e lo stato-mafia attuale.
La libertà di espressione in Azerbaijan
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Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto