Lavoro e immigrazione: la Bulgaria pensa alle “green card”

Massiccia emigrazione e crisi demografica hanno ridotto sensibilmente il numero di lavoratori qualificati in Bulgaria. Nonostante l’alto tasso di disoccupazione, nel paese si iniziano a studiare strategie per attirare manodopera specializzata da paesi non Ue

02/04/2007, Tanya Mangalakova -

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Emigranti - Knut Ekwall (1843 - 1912)

Oggi, le compagnie bulgare che vogliono assumere un lavoratore proveniente da un paese non Ue, devono fare i conti con lunghe procedure burocratiche, che di solito richiedono almeno sei mesi di tempo. Nonostante ciò, all’inizio di marzo sui media locali sono apparsi una serie di articoli sulla prossima "importazione di ingegneri dal Bangladesh". La notizia prende spunto da un’iniziativa della Confindustria bulgara, che sta studiando la possibilità di far ricorso in modo massiccio a lavoratori qualificati da paesi come il Bangladesh, appunto, ma anche Vietnam, India e Filippine. Inoltre, molti lavoratori provenienti dai vicini paesi balcanici, soprattutto Macedonia, Albania e Moldova, sembrano essere interessati a lavorare in Bulgaria, che dal 1 gennaio 2007 è un membro a pieno titolo dell’Ue. Nonostante il paese soffra di un alto tasso di disoccupazione, molti datori di lavoro lamentano la mancanza di personale qualificato, soprattutto ingegneri, esperti di telecomunicazioni e del settore tessile, ma anche lavoratori del settore turistico. Negli hotel del Mar Nero, ad esempio, la cronica mancanza di personale locale spinge le compagnie a cercare lavoratrici dall’Indonesia e dalle Filippine. La legge però rimane piuttosto restrittiva, visto che permette la presenza massima del 10% di lavoratori extracomunitari per azienda, lavoratori che devono ottenere prima i permessi da parte dell’Agenzia del Lavoro.

Per facilitare le cose, nel 2006 la Confindustria ha proposto l’introduzione di vere e proprie "green card". "La nostra proposta fa riferimento innanzitutto alle comunità storiche di bulgari che vivono all’estero, soprattutto in Macedonia, Serbia, Moldova, Ucraina e Albania. Prima vogliamo attirare la diaspora bulgara, per poi allargare la nostra attenzione ai Balcani occidentali, all’ Europa centro-orientale e infine agli altri paesi. Le carte verdi avrebbero validità di un anno. Non parliamo di un processo di migrazione, ma di rispondere alle necessità di manodopera della nostra economia. Sfortunatamente, però, le nostre idee non sono state adottate dal Ministero e dall’Agenzia del Lavoro", ha dichiarato ad Osservatorio Veselin Iliev, esperto di relazioni internazionali della Confindustria bulgara.

I lavoratori bulgari non hanno mobilità

"La crescita economica bulgara, che negli ultimi sei anni si è mantenuta intorno al 6% annuo, rischia di frenare bruscamente per la mancanza di forza lavoro", spiega ancora Iliev. "Molti imprenditori ci hanno espresso questa preoccupazione. Vidin (città della Bulgaria nord-occidentale sul Danubio), ad esempio, ha un’economia devastata, che negli ultimi anni ha visto la popolazione dimezzarsi per colpa dell’altissimo tasso di disoccupazione. Al tempo stesso, però, un’azienda tessile di alta qualità della zona ci ha contattato perché non riesce a trovare lavoratori qualificati. La domanda di personale specializzato nel tessile cresce ormai da 4-5 anni. Molti investitori stranieri ci chiedono quali siano le regioni bulgare dove sia più facile trovare manodopera qualificata, ma dare una risposta diventa sempre più difficile".

Tutto questo, secondo Iliev, non è in contraddizione con l’alto tasso di disoccupazione in Bulgaria. Il problema sarebbe piuttosto nel basso grado di mobilità dei lavoratori bulgari, piuttosto restii a muoversi, anche di poche decine di chilometri, per cercare opportunità di impiego. Un altro fattore importante, naturalmente, è la grande difficoltà con cui, in Bulgaria, il personale non qualificato riesce ad aumentare la propria preparazione professionale, aumentando così le possibilità di trovare impiego.

"Blue card" europee

La Confindustria bulgara non è l’unica istituzione che spinge per l’adozione di un documento comune per la residenza e il lavoro di lavoratori provenienti da paesi non Ue. Più volte a livello europeo è stata lanciata l’idea delle "blue card", chiaramente ispirate dalle famose "green card"americane, per attirare lavoratori altamente qualificati, che con esse potrebbero muoversi liberamente in tutto il territorio comunitario. La proposta sulle "blue card" verrà lanciata ufficialmente nel settembre 2007. Martin Shieffer, del dipartimento per l’immigrazione e i richiedenti asilo della Commissione europea, nel seminario "European in Paris", tenuto recentemente nella capitale francese, l’ha definita "un tappeto rosso srotolato ai piedi degli immigranti qualificati". I vari stati membri, però, continuano ad avere atteggiamenti diversi nei confronti dell’immigrazione, anche se in generale questa viene vista come una delle risposte al problema demografico e alla mancanza di forza lavoro in Europa.

"Fuga dei cervelli" e crisi demografica

Naturalmente, per i paesi più sviluppati dell’Ue, attirare personale qualificato significa provare a combattere le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione e della bassa natalità. La Bulgaria si trova invece in una situazione diversa, perché pur soffrendo degli stessi problemi, vede fuggire a sua volta molto personale qualificato all’estero, fenomeno riassunto dall’espressione "fuga dei cervelli". Dalla fine del regime comunista, almeno un milione di bulgari ha lasciato il proprio paese. Ogni anno 20-25mila persone continuano ad emigrare per motivi economici, e secondo molte statistiche questa cifra equivale ad appena un decimo di coloro che vorrebbero cercare un futuro all’estero. Anche l’ingresso nell’Ue, ad inizio 2007, non ha cambiato drasticamente le cose, visto che nel paese il salario medio resta il più basso di tutta l’Unione, intorno ai 1950 l’anno. A questi numeri devono essere aggiunti i 40mila studenti bulgari che studiano all’estero. Secondo Borislav Borisov, rettore della Bulgarian University for National and World Economy, le università bulgare sono allo stesso livello di quelle straniere, ma gli studenti decidono di studiare all’estero per avere migliori possibilità di trovare un lavoro in paesi dallo standard di vita più alto. All’emigrazione bisogna aggiungere poi la profonda crisi demografica. Secondo le previsioni più pessimistiche dell’Onu, la popolazione bulgara potrebbe dimezzarsi entro il 2050, arrivando a contare appena quattro milioni di persone.

Ritorno?

La numerosa diaspora bulgara è piuttosto organizzata, e prova ad avere un peso sulla vita politica, sociale e culturale della propria terra d’origine. Molti suo rappresentanti vorrebbero l’approvazione di una legge che favorisca il ritorno degli emigranti per motivi economici in Bulgaria, ma al momento nel paese non esiste nessuna strategia al riguardo da parte delle istituzioni. Anzi, il flusso di giovani istruiti che lascia il paese sembra non conoscere soste, e molti degli emigranti si sono ormai integrati nei paesi più ricchi dell’Ue e negli Stati Uniti. Con le proprie rimesse, la diaspora bulgara da un contributo importante all’economia bulgara, ma sul suo ruolo nel futuro della Bulgaria rimangono aperte alcune questioni di grande importanza. Come coinvolgere gli emigranti nella sfida di modernizzare la società bulgara? Chi ha lasciato il paese, tornerà un giorno in patria per contribuire al suo sviluppo economico? La diaspora bulgara riuscirà a seguire gli esempi positivi di quelle greca ed irlandese, e a diventare un investitore di successo nel proprio paese di origine?

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