L’autunno caldo dei Balcani

Arriva l’inverno ed i Balcani sono in sciopero. Delusioni in Serbia rispetto al nuovo governo, difficoltà in una Bosnia ancora dipendente dagli aiuti internazionali. Uno sguardo sui fatti della settimana.

26/10/2001, Davide Sighele -

Si avvicina l’inverno e l’autunno si fa caldo anche nei Balcani. Come del resto è avvenuto in tutti questi anni del dopoguerra. In Bosnia ad esempio sono stati registrati più di 800 scioperi dal 1997 dei quali 340 nel solo 2000. Ma quest’anno la preoccupazione è ancora più marcata. In Serbia vi è insoddisfazione per i pochi risultati che nell’immediato ha portato il cambio di governo. I pensionati intervistati a Belgrado denunciano il loro stato di miseria. Ed il primo ministro Dindjic si trova in difficoltà dovendo spiegare che il taglio ad alcuni diritti dei lavoratori è necessario e non è altro che un adattamento agli standard europei.
In Bosnia Erzegovina spaventa il palese disimpegno della Comunità Internazionale. E se nella Federazione la situazione non è certo florida, la Republika Srpska è sull’orlo della bancarotta ed alcuni ambienti della Comunità Internazionale iniziano a chiedersi cosa si sia sbagliato: l’SDS è ancora al potere e nessun tipo di sviluppo endogeno e sostenibile è stato ancora promosso nella regione.

I cittadini di Sarajevo possono stare tranquilli, scrive Oslobodjenje, il gas per l’inverno ci sarà. Non era scontato. Al fornitore russo infatti alcune ditte della capitale bosniaca dovevano più di sei milioni di dollari. Il debito era stato contratto nel 1996 dalla "Energoinvest", prima che fosse creato l’ente pubblico "BH gas". Il governo della Federazione ha deciso di intervenire quale garante ed ha sbloccato così la situazione. Per ripagare il debito si spera in una donazione, già promessa, della Turchia.

Anche se i cittadini di Sarajevo potranno riscaldarsi la loro situazione, come quella di tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina, è difficile. Secondo un dossier dell’UNDP il salario medio in Federazione ammontava nel 2000 a 437 KM. Ma un paniere di beni essenziali per garantire la mera sopravvivenza di una famiglia di 4 persone costava 441 KM. Ancora peggiore la situazione in Republika Srpska dove il salario mensile ammontava a 299 KM ed il paniere per quattro persone raggiungeva i 399 KM. Il 46% della popolazione della Federazione ed il 75% di quella della Republika Srpska non possono permettersi il paniere di beni qui preso in considerazione.

In questi giorni è dura la presa di posizione in Republika Srpska dei dipendenti nel settore sanitario che sono in sciopero generale. Le trattative di inizio settimana tra il viceministro della sanità Milan Latinovic ed una delegazione guidata da Milenko Granulic, presidente del sindacato di categoria, hanno avuto esito negativo e di conseguenza oltre il 90% degli enti e strutture sanitarie della Republika Srpska continuano a lavorare a regime minimo. Allo sciopero generale sembra non partecipino solo le strutture di Pale e Derventa.
Bosiljka Novakovic, tra gli organizzatori dello sciopero, ha dichiarato che "la maggior parte delle organizzazioni sindacali delle istituzioni sanitarie della Srpska hanno appoggiato lo sciopero generale partecipandovi. Alcuni sindacati hanno invece dichiarato la loro solidarietà’ con gli scioperanti ma non vi hanno preso parte" per poi aggiungere che " naturalmente vengono garantite le emergenze". Novakovic ha manifestato l’intenzione dei sindacati di continuare lo sciopero fino a quando le richieste minime non saranno soddisfatte.
I sindacati di categoria chiedono l’immediato pagamento di uno degli stipendi arretrati e garanzie che i rimanenti tre salari saranno pagati nel prossimo futuro ed un nuovo contratto di lavoro.
Quello sanitario non è l’unico settore in subbuglio. I dipendenti del ministero della difesa hanno annunciato uno sciopero sempre a causa di stipendi non pagati, si prevede che anche gli insegnanti delle scuole potrebbero nei prossimi giorni incrociare le braccia, mentre manifestazioni di protesta sono state annunciate per la fine del mese dai pensionati.

L’autunno caldo era nell’aria. Il primo ministro della RS Ivanic aveva dichiarato ancora in settembre al periodico Nezavisne Novine di Banja Luka che la RS era in bancarotta. Nel 2000 la RS ha raccolto solo il 27% delle entrate previste e nell’estate del 2001 le previsioni sul deficit hanno obbligato il governo a tagliare radicalmente il budget di alcuni ministeri, ad esempio di quello sui rifugiati e sfollati, dell’85%. Nel 2000 Federazione e Republika Srpska hanno accusato mancati introiti per circa 800 milioni di KM, tutti coperti da donazioni bilaterali e multilaterali.

Nella Serbia del post Milosevic la situazione è in piena transizione. La liberalizzazione dei prezzi ed il tentativo si stabilizzare l’inflazione hanno portato ad un aumento dei beni di consumo, in particolare di quelli alimentari e di quelli provenienti dall’estero. Questo ha pesato notevolmente sulle famiglie. "Non vi è stato inoltre quell’aiuto che sembrava arrivasse dall’estero" ha dichiarato Dimitrije Barov, redattore di Vreme, "e la cosa imbarazzante e’ che e’ stato minore anche di quello "estremamente necessario" e pianificato".

L’SSSS, sindacato indipendente della Serbia, ha promosso uno sciopero generale. Sembra con poco successo dato che le stime prevedono tra le 60,000 e le 80,000 partecipazioni. Il governo è in ogni caso preoccupato. I sindacati in particolare contestano la nuova proposta di legge sulla tematica del lavoro ma il governo difende la legge affermando che è stata concepita in base agli standard europei ed in particolare prendendo in considerazione la corrispettiva legislazione tedesca. Djindic, primo ministro, ha più volte ripetuto che " nessun privilegio risalente al periodo comunista può essere garantito ai lavoratori, anche se si cercherà di rispettare i loro diritti nel modo più ampio possibile".
I leader dell’SSSS vengono accusati di ipocrisia visto che, durante il regime di Milosevic, non organizzarono nessuna protesta o sciopero. E’ infatti nota la loro vicinanza alle istanze dell’SPS.

Una situazione quindi difficile, in tutta l’area Balcanica. Difficile per il normale cittadino. Ancora più difficoltosa per le categorie più deboli, in primis rifugiati e sfollati. I corrispondenti dell’Osservatorio stanno preparando nuove ricerche ed indagini che verranno pubblicate nelle prossime settimane.

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