L’arte di apparire

La costante presenza mediatica e le decisioni poco condivise del premier sloveno Borut Pahor hanno innescato più di un litigio nella coalizione di maggioranza. Un vertice della coalizione sembra aver chiarito i nodi in sospeso, ma secondo alcuni media è stata solo una spartizione di poltrone

19/01/2009, Stefano Lusa - Capodistria

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Borut Pahor

Il suo volto entra quasi ogni sera nelle case degli sloveni durante il telegiornale. A volte è sorridente, altre è compassato, ma è sempre rassicurante. Si tratta del premier, nonché leader socialdemocratico Borut Pahor. La sua non è solo una fugace apparizione, ma spesso, durante lo stesso TG, le sue dichiarazioni appaiono in più servizi. Parla di politica interna, politica estera, economia, poi lo si vede, anche, in qualche manifestazione di carattere umanitario.

A Pahor piace piacere. Evidentemente si trova a suo agio davanti alle telecamere, tanto che pare aver monopolizzato lo spazio sui media. Tra Natale e capodanno c’è stata una lunga intervista in prima serata, durata ben ottanta minuti, e poi lo si è persino visto brindare nel corso di una trasmissione d’intrattenimento. La cosa ha fatto imbestialire i democratici, che hanno rinunciato, alcuni giorni fa, a partecipare ad un dibattito riservato all’opposizione.

In Slovenia si susseguono le notizie di licenziamenti, di aziende in crisi o sull’orlo del fallimento. C’è da affrontare la crisi economica mondiale e nessuno sembra sapere esattamente come andrà a finire.

Per Pahor apparire è più facile che governare. Il premier sembra sapere quali corde toccare per parlare al cuore dei cittadini. Subito ha annunciato che sta pagando di tasca propria le spese di rappresentanza per i suoi ospiti. In pratica se arriva un ambasciatore o se qualcuno è chiamato per un pranzo di lavoro alla fine del pasto il conto viene saldato da lui stesso. Per il momento non è ancora chiaro se lo fa platealmente tirando fuori il portafoglio o se, più discretamente, si limita a farsi addebitare la cifra. Il suo messaggio, comunque, è eloquente: in tempi di crisi tutti debbono stringere la cinghia a partire dalla politica. Così è stato annunciato un lieve taglio delle retribuzioni di ministri e deputati. Tutte misure che servono a dare il buon esempio, ma che hanno anche un evidente carattere demagogico.

Pahor, però, non piace a tutti e soprattutto non sembra far nulla per piacere ai suoi alleati. Sin dalla nascita della coalizione di centrosinistra era chiaro che ci sarebbero stati degli screzi. Troppe, infatti, erano le prime donne. Tuttavia nessuno avrebbe ipotizzato che in soli 60 giorni di governo sarebbero emersi tanti litigi.

Il premier del resto ha fatto capire sin da subito che intendeva fare di testa propria. Il segnale più eloquente è stata la nomina dell’ex ministro degli Esteri, Dimitrij Rupel, suo consulente per la politica estera. Gli alleati hanno storto il naso, ma solo il viceministro della Sanità, nonché uomo di punta della Democrazia liberale, Slavko Ziherl, ha sbattuto la porta in faccia a Pahor rassegnando le sue dimissioni in segno di protesta. Gli altri hanno mugugnato, ma non se la sono sentita di creare troppi grattacapi, nemmeno quando Rupel è entrato a far parte di un consiglio di esperti (una sorta di governo ombra) dei democratici, il maggior partito d’opposizione. Ad un certo punto è sembrato addirittura che Rupel stesse lavorando ad una strategia sui rapporti con la Croazia, proprio mentre al ministero degli Esteri stavano preparando un analogo documento. La cosa ha nuovamente fatto imbestialire soprattutto i demo liberali

Meno rilevante dal punto di vista mediatico, ma forse più duro è stato invece lo scontro tra Pahor e il secondo partito della coalizione. Zares ha alzato la voce quando Draško Veselinovič è stato nominato alla guida della Banca di Lubiana. L’ex direttore della Borsa slovena era, alle scorse elezioni, tra i candidati di Democrazia liberale e sarebbe potuto entrare in parlamento andando ad occupare il seggio di un ministro del suo partito. Ha preferito fare il banchiere. A causa di quella nomina, per un attimo, è sembrato addirittura che Zares potesse lasciare la coalizione.

Il partito di Golobič, poi, è andato su tutte le furie quando Pahor ha tentato di costituire un organismo consultivo, il Consiglio per l’energia, dove aveva inserito un altro uomo del governo Janša, l’ex ministro per l’Economia Andrej Vizjak. Della cosa nulla sapeva l’attuale ministro, anzi non doveva nemmeno far parte dell’organismo. Qualcuno, così, ha immediatamente ipotizzato che la strategia fosse quella di neutralizzare il ministro in carica.

A questo punto erano più che maturi i tempi per un vertice di coalizione. Le cose da chiarire erano molte. Socialdemocratici, Zares, demo liberali e pensionati, alla fine della riunione, hanno dato ad intendere di aver chiarito quello che c’era da chiarire e che la maggioranza è solida. Secondo il quotidiano Finance, però, la riunione è servita a spartirsi i settori in cui i partiti avrebbero nominato i loro esperti: ai socialdemocratici andrebbe l’energia, ai demo liberali le finanze e a Zares le telecomunicazioni.

Pahor, ovviamente, in tutti questi mesi si è premurato di assicurare che l’appartenenza politica non avrebbe avuto peso nelle nomine del governo. Il premier, del resto, ha voluto l’istituzione di un apposito organismo che dovrebbe servire a selezionare "i migliori tra i migliori".

Sin dall’insediamento del nuovo governo, infatti, non era mancata la polemica sulle nomine. L’opposizione aveva annunciato che la coalizione di centrosinistra avrebbe scatenato con gli avvicendamenti un vero e proprio tsunami. Pahor aveva rassicurato a più riprese che non sarebbe stato così.

I democratici, però, non si sono fatti convincere dalle sue parole e adesso parlano apertamente di epurazioni. A tale proposito hanno pubblicato una lista di 31 persone che sarebbero state rimosse dai loro incarichi dal nuovo governo.

In sintesi se più di qualcuno all’interno della maggioranza è infastidito dal fatto che intorno a Pahor ci sia qualche ministro del precedente governo, l’ex premier, Janez Janša, non è certo disposto ad accontentarsi di ciò.

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