L’Anatolia di Tanburi Cemil Bey

Ali Fuat Aydin e Cenk Güray sono due figure di riferimento della nuova scena musicale anatolica. Il loro ultimo lavoro è dedicato ad un personaggio di culto del mondo musicale mediorientale: Tanburi Cemil Bey. Ne parliamo con Cenk Güray

03/05/2018, Gianluca Grossi -

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Tanburi Cemil Bey - dal web

Nel disco precedente ci raccontavano l’universo degli Zeybek, la milizia irregolare di guerriglieri ottomani che operava dall’Egeo all’Anatolia fra il diciassettesimo e il ventesimo secolo. Contraddistinti da divise sfarzose, rese uniche dal luccichio delle spade yatagan e dall’attitudine a dedicarsi a danze che parafrasavano i movimenti dei falchi . Milizia che si fece notare soprattutto alla fine della Prima guerra mondiale, nel corso della guerra greco-turca, ma che è ancora oggi assai viva nell’immaginario collettivo.

Ali Fuat Aydin e Cenk Güray, due figure di riferimento della nuova scena musicale anatolica, danno ora il seguito a Bir, con il disco Öte, uscito per la Felmay (etichetta torinese attiva dal 1987, da sempre attenta all’etnomusicologia). Concentrandosi su un personaggio di culto del mondo culturale mediorientale: Tanburi Cemil Bey. Nato nel 1873, a Istanbul, si mise in luce per le doti di straordinario strumentista e compositore; e per avere contribuito all’affermazione del taqsim, genere che attinge all’improvvisazione, rifacendosi a melodie turche, arabe, greche e armene.

Il risultato è un disco che l’orecchio occidentale potrebbe far fatica ad apprezzare, ma sa regalare emozioni, echeggiando mondi trascorsi e vicissitudini umane che si perdono nell’oblio. Una lezione di musica, ma anche di vita, se si ha la pazienza di ascoltare… veramente (cosa che oggi si fa sempre più di rado).

Ali Fuat Aydin è nato nel 1973 ad Aydin, e con la musica ha percorso anche un interessante cammino scolastico che l’ha portato alla laurea in ingegneria elettrica ed elettronica (nel 1988). Il contatto con le sette note avviene a Smirne, dove si trasferisce per un paio di anni, nei primi anni del 2000. E dove inizia a guardarsi in giro, per rispolverare culture musicali da salvaguardare e far conoscere anche oltre i confini della Turchia. Diventa un etnomusicologo, girovagando per le province di Aydin, Mugla e Smirne, alla ricerca di musiche originali riconducibili all’epopea degli Zeybek.

Cenk Güray ha una storia pressoché identica. Anch’egli del 1973, originario di Ankara, è come il partner musicale laureato in ingegneria; in più ha ottenuto un dottorato con una tesi sull’intelligenza artificiale. Poi la musica ha preso il sopravvento. Cenk ha approfondito gli studi di musicologia e oggi tiene corsi in università dedicati alla storia della musica anatolica. OBCT ha avuto l’occasione di intervistarlo.

Vorrei parlare dell’ultimo tuo lavoro con Ali Fuat Aydin. Come è nata la vostra collaborazione?

Siamo amici dai tempi della Middle East Technical University. Studiavamo insieme ad Ankara. Ci univa la passione per l’ingegneria, ma anche quella per il baglama, lo strumento turco per antonomasia. Si può dire che lavoriamo insieme da 25 anni. Concentrando le nostre attenzioni sulla musica dell’Egeo, quella turca tradizionale e quella greca.

E quella degli Zeybek.

Esattamente, un gruppo di militari irregolari, che in alcuni casi divennero eroi nazionali.

Ora è la volta di Tanburi Cemil Bey. Perché proprio lui?

Fu uno straordinario musicista e strumentista , capace di confrontarsi con i generi più diversi. Il suo repertorio presenta brani di musica classica urbana, popolare rurale, popolare urbana, e classica occidentale; i principali generi musicali che contraddistinsero la vita ottomana del diciannovesimo secolo.

Il vostro obiettivo?

Fare conoscere l’enorme lavoro svolto da Cemil Bey, e non meno la scena multiculturale anatolica – di Istanbul e Smirne in primis – comprendente anche riferimenti musicali di paesi confinanti e danze come l’hasapiko, lo zeybekiko, la longa.

Puoi dirci qualcosa della vicenda umana di Cemil Bey?

È il musicista più importante della scena culturale ottomana del diciannovesimo-ventesimo secolo; un virtuoso del tanbur (una specie liuto, ndr) e del kemenche (strumento simile al violino, ndr). Nacque a Istanbul nel 1871 o 1873. Abbandonò presto la scuola per dedicarsi esclusivamente alla musica. A venti anni era già una celebrità nel campo della musica tradizionale. Imparò poi a suonare molti altri strumenti fra cui il violoncello e la zurna (strumento a fiato, tipico del mondo musulmano, ndr).

Si dice che fosse un tipo eccentrico, nervoso, molto sensibile, col vizio del bere.

Forse il motivo che lo condusse a una morte prematura e a lasciare incompiute molte opere.

Quali sono gli altri tuoi riferimenti musicali?

Sicuramente Talip Ozkan , a cui abbiamo dedicato il cd Bir: un grande musicista nato a Denzil in Turchia nel 1939 e scomparso a Smirne nel 2010. Fu un grande esponente della musica tradizionale turca. A Parigi nel 1976 realizzò una tesi di dottorato sulla musica popolare anatolica, presso l’Università Paris-III.

Qualche altro nome?

Yılmaz Ipek, Özay Gönlüm, Markos Vamvakaris, Iovan Tsous (Yovan Çavuş).

Quali le differenze rispetto al lavoro precedente?

Nel nostro primo cd ci siamo dedicati a musiche e danze dell’area egea, sottolineando le singole caratteristiche pentagrammate di ogni realtà geografica analizzata: Bir contiene brani provenienti dalla Turchia, ma anche dalle isole greche, con un occhio di riguardo al mondo più bucolico e atavico di questa fetta di Medio oriente. Öte, invece, contempla di più all’aspetto urbano, con musiche che hanno fatto da colonna sonora alla storia di città come Istanbul e Smirne durante il diciannovesimo secolo. In particolare, in questo caso, come accennavamo prima, ci siamo avvalsi dell’esperienza di Cemil Bey.

Da dove nasce la passione per il mondo degli Zeybek?

La loro musica riflette dettagliatamente la storia sociale della Turchia; con riferimenti politici e culturali a partire dal 1800.

Truppe militari?

Ma anche potenziali orchestre che veicolavano melodie zeybecche. Dunque, furono i portavoce di un immenso e inestimabile valore musicale, ma anche culturale.

Puoi dirci qualcosa degli strumenti musicali che suoni con tanta maestria?

Io e il mio socio siamo esperti in strumenti appartenenti alla famiglia dei baglama (qui un assaggio ). Non ce n’è uno solo, ma vari tipi, sulla base dell’acutezza delle note prodotte, ma anche della forma. Sono strumenti che parafrasano i liuti a collo lungo nati in Mesopotamia e Anatolia millenni fa: ci sono infatti riferimenti a 2000 anni prima di Cristo.

In seguito il baglama classico è divenuto lo strumento più rappresentativo della Turchia.

E sostituì molti altri strumenti a corde. Oggi si suona in modi diversi, adottando scale e accordature differenti.

Sei anche laureato in ingegneria. Coltivi ancora questa professione?

Ho anche un master e un dottorato. Ma non lavoro più in questo ambito da vari anni. La musica ha preso il sopravvento. Sono un musicista freelance e un musicologo. Peraltro, a breve, verrò nominato professore del dipartimento di "Teoria della musica" presso il Conservatorio statale di Ankara dell’Università Hacettepe.

Perché la musica turca fa così fatica ad approdare in Europa?

È una questione organizzativa, culturale e sociale. Penso che la musica turca non trovi spazio perché non esistono (e non sono mai esistiti) canali predisposti alla sua diffusione. Il mercato mondiale guarda altrove. Le agenzie manageriali, i festival e i social media, raccontano un universo lontano da quello anatolico. Speriamo che il nostro lavoro possa contribuire a sanare un po’ questa antipatica dicotomia, favorendo la diffusione di figure assai talentuose del mondo musicale turco.

Cosa ne pensi della musica a livello globale? Credi che per il rock ci sia ancora spazio?

Penso che sia il rock che il jazz, abbiano ancora parecchie cose da dire. In ogni caso offrono ancora la base da cui partire per dare vita a generi che possano fondersi fra loro, creando qualcosa di nuovo. Il jazz, dal mio punto di vista, è un paradigma in divenire, la “vera musica folk del mondo”.

Pensi che Internet faccia bene alla musica?

Senz’altro. Per la cultura musicale è una grande conquista. Serve a unire culture molto distanti fra loro; dà modo ai musicisti di ogni paese di ascoltare tutto ciò che c’è in giro, consentendo incontri impensabili che possono solo fare bene alle sette note.

Qualche tempo fa, noi di OBCT ci siamo occupati di Ulaş Özdemir e della musica dei Forabandit. Li conosci?

Certamente. Ammiro molto il lavoro portato avanti da Ulaş Özdemir. Propone musica di alta qualità, mostrando di avere ampie conoscenze in musicologia. Penso che i Forabandit uniscano differenti stili musicali che ruotano attorno al mondo della “minstrel music”, vecchi cantori che tramandavano storie e racconti.

Hai qualche artista da segnalarmi?

La lista sarebbe davvero lunga. Potrei iniziare dai musicisti che hanno lavorato nel nostro ultimo cd: Murat Salim Tokaç, Derya Türkan, Sertaç Işık, Mustafa Göçer… Senza dimenticare il nostro caro insegnante, il Prof. Şehvar Beşiroğlu, scomparso durante la preparazione del disco.

Quando potremo vedervi in Italia?

Speriamo di iniziare presto un tour, durante l’estate o il prossimo autunno.

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