L’Albania dopo le elezioni politiche
Un voto meno ideologico e più "laico", minori segnali di brogli elettorali, un sicuro vincitore, l’alleanza che ruota intorno al Partito socialista di Edi Rama, l’uscita di scena del "padre-padrone" del Partito democratico Sali Berisha. Queste, secondo Ennio Grassi, i tratti salienti che emergono dalle elezioni politiche tenute in Albania la settimana scorsa. Un commento
L’alternanza al potere delle forze politiche fra loro avversarie è un indizio di democrazia reale, segno insomma di una ripresa della dialettica politica non più affidata agli opposti personalismi dei leader maggiori. E’ la prima riflessione che ci viene da fare all’indomani dei risultati elettorali in Albania, che danno atto della vittoria della colazione di sinistra guidata da Edi Rama e della conclusione della vicenda politica di Berisha, il leader troppo indiscusso del Partito democratico.
La seconda considerazione, dati alla mano, attesta al netto delle valutazioni dell’OSCE e dell’UE sulla trasparenza e correttezza delle procedure di voto mediamente accettabili, una minore incidenza del senso di appartenenza sulla formazione dell’opinione di voto nell’elettorato albanese in generale.
Si ha a che fare cioè con un elettore-cittadino sempre più laico, in una società sempre più liquida (pur se la campagna elettorale è stata incentrata sulla figura personale dei due leader, con i programmi elettorali sottotraccia) in sintonia con ciò che accade peraltro nel resto dell”Europa, dove non ci sono più leader carismatici e dove i concetti di destra e di sinistra hanno bisogno di una diversa traduzione culturale e programmatica a fronte di una crisi economica mondiale e soprattutto europea senza precedenti.
Una terza considerazione può essere già abbozzata alla luce dei dati numerici delle elezioni albanesi. Quello dei non votanti per poco non è il primo partito, avendo votato secondo i dati solo il 53% . Osservazione che ovviamente deve tener conto che un terzo dell’ elettorato attivo albanese è emigrato all’estero. Ma la disaffezione nell’elettorato albanese è un dato reale importante di cui le forze politiche nel paese dovranno tener conto.
Un’ ultima osservazione riguarda l’ipertrofia di piccoli, piccolissimi partiti, la cui somma nelle due coalizioni arriva a circa sessanta. Non mancano nuovi partiti non presenti nelle coalizioni, come il partito dell’ex presidente della Repubblica che raccoglie un 2% e nessun seggio o l’ AKZ (Alleanza rosso-nero, dai colori della bandiera albanese) con uno 0,6 % di ispirazione nazionalistica.
Quanto allo schieramento vincente, guidato da Edi Rama, è del tutto evidente che il raggiungimento di una maggioranza ampia, 84 seggi sui 140 che compongono il parlamento di Tirana, mette in sicurezza l’esito delle decisioni che andranno senz’altro prese in settembre con l’insediamento del nuovo governo, per rispondere alle difficoltà crescenti del paese. Ma forse è il caso, ad oggi, di usare ancora il condizionale su ciò che potrà accadere in una alleanza senz’altro forte, ma dove i numeri dei singoli soggetti politici hanno un loro peso.
Gli 84 seggi che formano la maggioranza di Edi Rama, sono la somma dei 66 seggi conquistati dal Partito socialista (solo uno in più rispetto alle elezioni del 2009), dei 16 ottenuti (ben 12 in più rispetto ai 4 del 2009!) dal partito di Ilir Meta che ha più che raddoppiato in assoluto i propri voti, cui s’aggiungono altri due seggi di formazioni minori della colazione. Un risultato sotto molti aspetti sorprendente quello di Ilir Meta, già presidente del Consiglio nonché ex leader del Partito Socialista, poi fondatore del LSI (Movimento Socialista per l’Integrazione), con tanto di logo con il garofano rosso, per divenire ago della bilancia della politica albanese permettendo la nascita dell’ultimo governo di Berisha.
Una volta si sarebbe chiamato spirito pragmatico: oggi e, non solo in Albania, vale il paradigma del “sano realismo”. Un realismo che evidentemente ha pagato, ma sulla cui natura e apporto si attende di capire meglio.
Va anche detto, che in Albania, in considerazione anche del numero dei suoi abitanti, i rapporti interpersonali, le contiguità parentali, le amicizie che si rovesciano in inimicizie inappellabili, in risentimenti difficili da sciogliere, giocano o hanno giocato una parte a volte decisiva nell’aggregazione dei gruppi dirigenti e delle élite politiche.
Quanto alla sconfitta del Partito Democratico (49 seggi dei 56 conquistati dalla coalizione di centro-destra) insieme all’assunzione di responsabilità piena di Sali Berisha, l’esito elettorale può senz’altro spingere i suoi leader ad una ripensamento del ruolo di un partito la cui funzione dovrebbe essere quella di una destra autenticamente europea, lontana dai personalismi e impegnata ora a lavorare per un profondo rinnovamento della propria ragione sociale e di propri quadri dirigenti.
Essere cioè oggi opposizione sana e corretta nella prospettiva di un suo nuovo autorevole ruolo.
* Ennio Grassi Sociologo della letteratura, è stato parlamentare alla Camera dei Deputati, Consigliere Diplomatico a Tirana e Consigliere scientifico presso il Ministero della Pubblica Istruzione e il Ministero degli Affari Esteri Italiani. È membro del Comitato scientifico di Osservatorio Balcani e Caucaso.
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