L’Adriatico, un mare europeo

Con l’integrazione della Croazia nell’Ue l’Adriatico diviene una sorta di “lago europeo”. Ed è quanto mai urgente che i paesi rivieraschi collaborino per proteggerne le risorse. Un passo in questa direzione è la Strategia marina della Commissione europea per il Mar Adriatico e il Mar Ionio. Molto però resta ancora da fare

03/07/2013, Claire Vallet - Spalato

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(bojanhadziabdic/flickr)

(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 10 giugno 2013)

La sogliola depone le sue uova in Istria in inverno, poi, a primavera, i piccoli partono in direzione Italia per crescere e raggiungono l’alto mare nell’autunno successivo. Questa migrazione dimostra bene come l’ambiente marino sia un sistema integrato e come l’impatto dell’uomo rischi di danneggiarlo nel suo complesso.

I paesi che si affacciano sull’Adriatico collaborano da tempo, a livello scientifico, stabilendo partenariati e hanno creato, nel 2006, l’Euroregione adriatica. E’ pero solo nel 2012 che vengono stabilite le premesse per una politica comune in questo mare quasi chiuso. La Strategia marina della Commissione per il Mar Adriatico e il Mar Ionio – sulla base delle strategie sviluppate nell’ultimo decennio per il Mar Mediterraneo, l’Atlantico o l’Artico – ha come scopo “facilitare lo sfruttamento del potenziale di crescita economica e stabilire un equilibrio tra la dimensione economica, quella sociale e ambientale di uno sviluppo sostenibile, in modo conforme alla Strategia di Lisbona”.

Con l’entrata della Croazia nell’Ue, il primo luglio 2013, l’Adriatico diverrà un mare quasi esclusivamente “europeo”. Le attività, gli scambi e il trasporto marittimo andranno ad intensificarsi, rendendo un controllo congiunto e una collaborazione efficace quanto mai necessari.

Con i suoi 6000 chilometri di costa e il suo migliaio di isole, in Croazia vi è il 75% della costa Adriatica (l’Italia ne conta il 15%, la Slovenia non ha che 47 km di costa mentre la Bosnia 23. Nel campo della attività marittime l’Italia ha sviluppato un’industria potente (estrazione di sabbia, piattaforme offshore di gas) e una pesca dalle caratteristiche intensive (reti a strascico). La Croazia invece presenta il vantaggio commerciale di avere dei porti profondi che possono accogliere grandi petroliere, ma la sua pesca rimane in gran parte artigianale. Il paese ha inoltre sviluppato alcuni centri di allevamento in mare.

I quattro pilastri della strategia per il Mar Adriatico

La Strategia per il mar Adriatico si basa su quattro pilastri: il rafforzamento di “un’economia blu”; un ambiente marino più sano; uno spazio marittimo più sicuro e della attività di pesca responsabili. L’obiettivo è di stimolare i paesi coinvolti, a livello locale, regionale e nazionale a proporre, nel corso del 2013, azioni concrete e le istituzioni si stanno già mobilitando per rispondere ai bandi.

Questi sviluppi europei di una politica marittima comune potrebbero beneficiare all’Adriatico più di quanto avvenuto con le politiche precedenti, rimaste sino ad ora largamente settoriali.

Con l’allargamento dello spazio Schengen il traffico marittimo andrà ad estendersi, nuove rotte verranno stabilite e alcuni porti di transito, come ad esempio Ploče, guadagneranno importanza. I rischi di incidenti (collisioni, naufragi, incagli) aumenteranno. L’Italia, la Slovenia e la Croazia collaborano già ad una sorveglianza costante del nord Adriatico attraverso il sistema VTMIS (Vessel Traffic Monitoring and Information System).

Per garantire un ambiente marino più sano molto resta da fare. Non possono essere ignorate le grandi fonti d’inquinamento del mar Adriatico: lo sversamento in mare di acque di zavorra contenenti specie invasive; l’enorme quantità di acque di scarico non trattate derivanti dal turismo, marittimo e costiero e infine l’inquinamento legato all’agricoltura intensiva lungo i fiumi italiani.

Inoltre, per ristabilire le risorse ittiche, gli studiosi sono unanimi: è essenziale delimitare alcune zone di mare per proteggerle (MPA –Maritime Protected Area), ma questo sarà largamente insufficiente se non si sviluppa il concetto di no take zone.

Pesca: no alla “no take zone”

Sino ad ora in Croazia non è ancora stata stabilita alcuna no take zone. Alcuni parchi naturali (Telašćica, Lastovo) o parchi nazionali (Kornati, Mljet, Brijuni) ospitano aree dove la pesca è vietata ma sono rare e molto limitate; e se non si tratta dell’arcipelago di Brioni, dove l’atmosfera militare sembra riuscire ad esercitare ancora qualche effetto, il divieto non è rispettato. A Lastovo gli studiosi hanno verificato che il sistema di rotazione delle zone vietate alla pesca non genera che benefici molto limitati.

Le no take zones sono zone definite tali dal governo, lungo la costa o in mare aperto, dove è vietata ogni attività di estrazione o prelevamento, sul lungo periodo o per sempre.

Permetterebbero i rinnovo di specie oggi in difficoltà a causa di una pesca troppo intensa, proteggendone la riproduzione e la crescita. Un ritorno alla diversità ittica sarebbe vantaggioso per il turismo e le attività di immersione, permettendo l’osservazione di esemplari adulti, e anche un vantaggio per i pescatori della zona, in grado, attorno alla riserva, di pescare più pesci, più grossi e su una superficie di mare meno ampia di prima.

Secondo Robert Callum, iniziatore di queste no take zones in Nuova Zelanda, in un anno i risultati sono già evidenti. In cinque anni la pesca nelle zone circostanti le no take zones sono aumentate dal 50 al 90%. Secondo gli studiosi, affinché il mare possa ristabilirsi e le sue risorse possano essere sfruttate in modo equilibrato, un 20% della superficie marina dovrebbe esser gestita a no take zone. Oggi non rappresentano che l’1%.

In questo mondo senza frontiere come riuscirà la Croazia a mantenere le sue caratteristiche e gestire il suo patrimonio rispettando le regole di Bruxelles?

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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