La vittoria di Berisha e il nuovo corso albanese
Vincitori e vinti nelle recenti elezioni albanesi. Le conseguenze in campo internazionale, e per l’Italia, del ritorno di Berisha. Le elezioni sono trascorse senza incidenti, ma secondo l’intellettuale Lubonja l’Albania resta un Paese non democratico. In Parlamento la più bassa percentuale di donne d’Europa
Ormai a una settimana dal voto, i risultati finali delle elezioni in Albania restano ancora incerti. Sembra comunque estremamente verosimile che alla guida del prossimo esecutivo albanese sarà il partito democratico (PD) di Sali Berisha, presumibilmente con un governo di coalizione con il partito repubblicano e con alcuni partiti di sinistra, dal momento che i 55 voti vinti dal PD con il sistema maggioritario non bastano per governare.
Il partito democratico sembra così aver avuto la meglio presentandosi alle elezioni del 2005 con lo slogan "il tempo di cambiare" e promettendo di governare "con le mani pulite", proposte che sembrano aver fatto breccia nella coscienza politica dei cittadini albanesi.
Innovazione: ecco, infatti, la parola chiave che Berisha ha voluto utilizzare per presentare il proprio partito durante questa tornata elettorale. A contribuire alla creazione dell’immagine del partito "rinnovato", una serie di esperti e di consulenti venuti direttamente dagli Stati Uniti, e una campagna elettorale in grande stile: Tirana è stata tappezzata di gigantografie dei candidati politici, presenti ovunque, sui tetti dei palazzi, alle fermate degli autobus, alle entrate dei ristoranti e dei bar, in ogni angolo della città. La sera del venerdì precedente alle elezioni, due mega-concerti facenti capo a Nano e Berisha e a distanza di meno di due chilometri l’uno dall’altro al centro di Tirana hanno raccolto una folla da stadio. Anche nelle campagne, ai poster, si sono affiancate le innumerevoli scritte sui muri, con le sigle "vota PS" o "vota PD", ed ogni casa e ogni bar si sono schierati con questo o con quel candidato. Insomma, una campagna elettorale costosa e anche troppo sfarzosa, considerando lo scenario generale, ma che ha contribuito a rafforzare l’idea nella mente dei cittadini albanesi che l’e-day, il delicato giorno delle elezioni, fosse un banco di prova per tutti: per Nano, per Berisha e per l’Albania intera.
Voglia di cambiamento
Convinti dal nuovo programma di Berisha, o più semplicemente spinti dall’esasperazione della corruzione eletta a sistema del governo uscente, tra gli elettori albanesi la voglia di cambiamento sembra avere prevalso su quella di stabilità, garantita in qualche modo dal governo di Nano. Per questo le elezioni del 3 luglio sono state percepite dai cittadini albanesi come un momento decisivo nella storia del proprio paese, come lo dimostra lo stesso dato sull’affluenza alle urne, che senza dubbio ha oltrepassato le aspettative, superando la quota del 56% del 2001 e tendendo conto del fatto che molti albanesi (circa 700.000) si trovano attualmente in Grecia, Italia, Gran Bretagna e Stati Uniti come emigrati.
Ma da dove viene una tanto forte voglia di trasformazione in un paese che, secondo molti, sta già di per se’ cambiando a un ritmo tanto veloce?
In realtà la transizione albanese, per quanto veloce possa apparire, nasconde degli elementi di stasi e di paralisi che minano un reale e duraturo sviluppo. Una transizione di facciata, che coinvolge le case, le strade e i palazzi, ma non la cultura politica, ancora lontana dal poter essere definita democratica. In primis, proprio il governo di Nano è ormai considerato una delle cause principali dello stato di ipertrofia della politica e della stessa economia albanese, che resta sempre la più povera d’Europa. E i cittadini albanesi, stanchi di vedersi accollata questa etichetta, hanno intravisto nel cambiamento del colore del governo un potenziale strumento per uscire dalla lista nera dei paesi poveri e corrotti d’Europa. Una possibilità per un riscatto definitivo che la maggioranza della popolazione vuole realmente, ma che una minoranza al potere impedisce, procrastinando i tradizionali metodi dell’illegalità.
Il male minore
In questo contesto, non mancano le critiche da parte dell’opinione pubblica. Secondo Fatos Lubonja, uno degli intellettuali più in vista in Albania, i due grandi partiti in corsa alle elezioni hanno costruito la loro campagna più su una serie di accuse e contraccuse, che non su programmi di governo alternativi, rivolti a fasce diverse dell’elettorato. L’impressione che si è venuta a creare è che gli albanesi non hanno altra alternativa se non quella di un governo appartenente all’una o all’altra banda di criminali. Sempre secondo Lubonja, questa situazione non fa che riflettere un problema più grande, vale a dire la mancanza di uno stato di diritto. "Siamo in un sistema in cui regna l’impunità. In un paese normale, dove le istituzioni democratiche funzionano, accuse e commenti arroganti non verrebbero rilasciati tanto facilmente".
La mancanza di democrazia, all’interno del Partito Socialista e del Partito Democratico, di fatto ha messo fuori gioco la possibilità di rotazione di Nano e Berisha dalla posizione di leader dei rispettivi partiti. Sulla scia dell’indole patriarcale che contagia i politici albanesi, il peso politico di uomini come Nano e Berisha è inversamente proporzionale al grado di democrazia del paese. Nonostante ciò, per molti dopo 8 anni passati all’opposizione, il ritorno di Berisha, cui viene generalmente riconosciuta la qualità dell’incorruttibilità, rappresenta il male minore per il paese. La stessa Doris Pack, eurodeputata tedesca e capo della delegazione degli osservatori del Parlamento europeo, ha notato come un personaggio come Berisha possa avere un’influenza positiva in un Paese in cui tutti si possono "comprare".
Vincitori e vinti
A Tirana il partito democratico prolunga i festeggiamenti, mentre Nano si prende una piccola vacanza in Turchia in attesa dei risultati definitivi. Un vecchietto che vende sigarette in Piazza Skanderbej, nel cuore di Tirana, ringrazia vivacemente l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), come se fosse stata l’OSCE a far vincere Berisha. Un’analogia che la dice lunga sul fatto che se il partito democratico ha vinto, allora non ci sono stati brogli elettorali.
In generale, ci si compiace del buon lavoro svolto dalla Commissione centrale elettorale (Kqz) e del fatto che per la prima volta il passaggio di potere da un partito all’altro sia avvenuto in modo pacifico. Questo rappresenta un innegabile passo avanti per la vita politica albanese, ma allo stesso tempo non deve far dimenticare che le pecche nel sistema restano, sono molte, e non derivano da un eccesso di zelo degli osservatori internazionali. Il sistema elettorale è ancora aperto a vari tipi di abusi, le liste degli elettori sono state intenzionalmente poco accurate, mentre le intimidazioni e la compravendita dei voti rimangono i principali strumenti di campagna elettorale, specialmente nelle aree rurali del paese. Tutto ciò impedisce di definire il processo elettorale albanese come veramente degno di uno stato di diritto, di uno stato democratico.
D’altra parte, se a vincere è stato Sali Berisha, gli sconfitti sono molteplici.
A perdere è stato innanzitutto Fatos Nano. A perdere è stato anche Ilir Meta, il cui tentativo di creare una forte entità politica socialista in grado di contrastare la leadership assoluta di Nano e fungere da ago della bilancia nel nuovo governo, può considerarsi fallita.
A perdere sono state le donne, 95 su un totale di 1235 candidati, che con una percentuale del 7,7% rappresentano ancora la quota più bassa in Parlamento in Europa.
A perdere sono stati infine molti piccoli partiti, che denunciano il fatto che i loro voti, al momento dello spoglio delle schede, sono stati risucchiati dal vortice congiunto monopolizzante di Nano e di Berisha. A tal proposito, il presidente del Partito Socialdemocratico Skender Gjinushi ha risposto alle accuse avanzate dagli altri partiti minori della coalizione di sinistra, circa la ripartizione dei voti nel proporzionale. Secondo Gjinushi, il PS dispone "di così tanti voti da ripartire che non necessita di rubare i voti di Meta, Ceka o di Milo", mentre ha sottolineato che il suo partito ha meritato i voti ottenuti dall’elettorato. "Loro sono un branco di perversi politici che si sono sempre occupati di queste cose, e mai delle cose essenziali", ha detto Gjinushi dei suoi alleati Ceka e Milo. "La loro dichiarazione dimostra che sono in crisi, mentre il Movimento Socialista per l’Integrazione è ancora pieno di rancore, sebbene abbia raggiunto quello che voleva: fare di Berisha il Primo Ministro del Paese". Accusa che Meta ha a sua volta respinto.
E la polemica è appena iniziata. Alla Commissione centrale elettorale spetterà di valutare i ricorsi che i partiti continueranno a presentare nei prossimi giorni.
Il nuovo corso di Berisha
Berisha giura di essere cambiato. Le spinte autoritarie non lo riguardano più: ammette l’errore di essere stato eccessivamente tollerante verso le piramidi finanziarie nel 1997, promette di ripulire i ministeri dagli elementi corrotti, di attrarre gli investimenti stranieri, di ridurre le tasse e di fare dell’Albania un luogo migliore, eliminando la criminalità organizzata, con la priorità dell’integrazione nella UE e nella Nato prima del 2014. Obiettivi ambiziosi, ma anche secondo l’eurodeputata Doris Pack, a Berisha le energie non mancano: "Ho fiducia in Sali Berisha, – afferma la Pack – è un gran lavoratore, che unisce l’azione ai discorsi. Per contro, Fatos Nano non ama altrettanto il lavoro, e finora non ha agito come doveva".
Forte dell’appoggio dell’Unione europea, il nuovo governo dei democratici sicuramente porterà dei cambiamenti anche nelle relazioni bilaterali italo-albanesi. Proprio la fiducia e la completa ammirazione che Berisha nutre nei confronti degli Stati Uniti, rischiano di far passare in secondo piano il partenariato con l’Italia, che si vedrà costretta ad aumentare il proprio impegno, specie in campo economico, se intende rimanere il principale partner occidentale del Paese delle Aquile.
E mentre Berisha afferma che stavolta il suo obiettivo non sarà quello di mettere in prigione Fatos Nano, il leader socialista avrà tutto il tempo per rinnovare il proprio partito, depurarlo dagli elementi ormai obsoleti, e rinnovare la sfida con l’eterno nemico alla prossima occasione.