La Turchia laica saluta Ecevit

Funerali di stato sabato ad Ankara per l’ex premier Bulent Ecevit. Cori laici per il leader più rappresentativo della sinistra turca, vicino ai lavoratori e a lungo lontano dall’Europa. Decise l’invasione di Cipro. La cronaca del nostro corrispondente

13/11/2006, Fabio Salomoni - Istanbul

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Ankara, i funerali di Ecevit

Più di 100.000 persone hanno partecipato ai funerali di Bulent Ecevit, ex segretario del Partito Repubblicano del Popolo (CHP) e fondatore del Partito Democratico di Sinistra (DSP), morto a 81 anni la scorsa settimana ad Ankara dopo una lunga agonia.

Nella lunghissima cerimonia di sabato, protrattasi per più di dieci ore, si sono ritrovati fianco a fianco la Turchia ufficiale, quella del presidente della Repubblica e del primo ministro Erdogan, alcuni dei protagonisti della storia politica repubblicana, come l’ex presidente Demirel o il generale golpista Kenan Evren e soprattutto migliaia di comuni cittadini. In un clima di grande commozione, in cui non sono mancate le ormai immancabili contestazioni al governo, la Turchia ha salutato la salma di Ecevit, "l’eroe di Cipro", "l’uomo del popolo" o, semplicemente, "un uomo sincero".

Che la scomparsa di un uomo politico, tra i principali protagonisti della vita repubblicana degli ultimi 50 anni, susciti unanime commozione in tutti i settori della società, compresi quelli a lui politicamente e culturalmente più lontani, costituisce indubbiamente una situazione insolita in una realtà dove le contrapposizioni politiche assumono spesso un carattere radicale.

Il fatto è che Ecevit, al di là delle sue posizioni politiche, ha saputo stagliarsi nell’universo politico turco con carisma e qualità personali come "un gigante in un mondo di pigmei", per usare una felice espressione del Financial Times.

Ankara, i funerali

La sua levatura morale lo ha tenuto sempre al riparo da qualsiasi scandalo o sospetto, in un un paese nel quale la classe politica si è più spesso messa in evidenza per episodi di corruzione o sopraffazione che per la sua dedizione alla causa. La modestia ha poi contrassegnato tutta la sua esistenza, egualmente divisa tra le sue passioni intellettuali, la critica letteraria e la poesia, e la sua passione politica. L’ex premier ha infine saputo dimostrare in molte occasioni difficili coraggio e coerenza, spesso pagandone un prezzo personale.

Sul piano più propriamente politico, Ecevit con la sua capacità di tenere insieme riferimenti tra loro inconciliabili, di suscitare grandi entusiasmi ed altrettanto cocenti delusioni, di muoversi tra le contraddizioni, ha ben rappresentato il concentrato della cultura politica di sinistra in questa parte del mondo.

Vicino alla classi popolari, in rotta con il tradizionale elitismo della cultura politica turca, Ecevit è stato sempre vicino ai problemi del mondo del lavoro, nelle fabbriche o nelle campagne. Nonostante le leggi in difesa dei lavoratori che ha promosso e che gli hanno fatto meritare il titolo di padre della socialdemocrazia turca, non è mai riuscito però a dare forma compiuta ad un modello di stato sociale.

Nonostante si sia spesso battuto in prima persona in difesa della democrazia e contro l’intervento dei militari in politica, è stato anche il fautore dell’invasione di Cipro ed ha spesso assunto posizioni conservatrici rispetto a questioni cruciali come quella curda.

La vedova, Rahsan Ecevit

Ha difeso spesso i valori del nazionalismo autarchico così diffusi nella cultura politica del paese e condiviso la tradizionale diffidenza nei confronti dell’Occidente e dell’Europa. Un atteggiamento che sta alla base della sua decisione di non presentare la candidatura turca alla Comunità Europea alla fine degli anni ’70. Allo stesso tempo però è stato il rappresentante turco al vertice europeo di Helsinki nel quale l’Unione Europea accettava la candidatura della Turchia.

All’indomani della sua scomparsa, è possibile vedere riflesse nelle vicende personali e politiche di Ecevit gran parte della recente storia della Turchia.

Dopo aver lavorato come giornalista in Inghilterra e Stati Uniti, Ecevit entra per la prima volta in Parlamento nel 1957 come deputato del CHP.

Dopo il colpo di stato del 1960, che dà vita ad una nuova costituzione dalla marcata impostazione progressista attenta ai diritti politici e sociali, Ecevit rientra in Parlamento come rappresentante della città di Zonguldalk, centro minerario sul Mar Nero e tradizionale roccaforte della sinistra. Come ministro del lavoro, tra il 1962 ed il 1965, è promotore di leggi fondamentali per il mondo del lavoro, che garantiscono il diritto di sciopero e la contrattazione collettiva, e si batte per una radicale riforma agraria. Passi rivoluzionari per la Turchia, che gli garantiscono l’eterna riconoscenza dei lavoratori. "Per noi, per i lavoratori, Ecevit è una grande persona", ricorda semplicemente Celebi, segretario del sindacato DISK (Confederazione dei Sindacati dei Lavoratori Rivoluzionari).

Nel 1966 comincia la sua ascesa al vertice del CHP. Il suo progetto di fare del partito "la sinistra del centro", con l’intenzione di vincere la concorrenza del filo-marxista Partito Turco dei Lavoratori (TIP), si scontra con l’opposizione del vecchio segretario Inonu. Grazie all’appoggio dei giovani del partito, Ecevit esce vincitore dallo scontro ed a soli 41 anni si ritrova segretario del più antico partito del paese. La sua esperienza al vertice del partito subisce presto una brusca interruzione. A seguito del colpo di stato del 1971, per protestare contro l’appoggio fornito da Inonu all’intervento dei militari, si dimette dalla carica di segretario. Una breve parentesi perchè nel 1972, sconfiggendo di nuovo Inonu, torna alla guida del partito con uno slogan che rimarrà celebre: "Questa situazione deve cambiare".

Ankara, i funerali

Gli anni settanta sono un periodo di grande turbolenza per la vita politica e sociale del paese. Sul piano politico, nonostante il CHP si affermi più volte come primo partito, si susseguono governi di coalizione di breve durata, nei quali spesso accanto al CHP si ritrovano partiti islamici o di estrema destra. Nelle strade dilaga intanto la violenza e alla fine del decennio si conteranno più di 7.000 vittime. Ecevit stesso scamperà più volte ad attacchi a colpi di arma da fuoco. Nel 1977, per la prima volta denuncia il ruolo degli apparati dello stato nell’alimentare il clima di violenza. Racconterà di aver scoperto del tutto casualmente, mentre era primo ministro, dell’esistenza di fondi neri, di provenienza statunitense, destinati a finanziare l’Ufficio per le Operazioni Speciali, una sorta di antesignano della Gladio turca. Denuncia che rimarrà a lungo inascoltata.

La popolarità di Ecevit in quegli anni salirà alle stelle grazie agli sviluppi della questione cipriota. Forse a caccia di consensi in un paese profondamente lacerato, sarà Ecevit a decidere l’invasione dell’isola per proteggere la minoranza turca dalle violenze della comunità greca. Il ritratto di Ecevit, "conquistatore di Cipro", affiancato dalla bandiera turca e dalla cartina di Cipro, campeggerà a lungo sulle pareti dei caffè del paese. E su Cipro Ecevit non riconoscerà mai nessun errore, convinto che l’intervento militare abbia accelerato la caduta del regime dei colonnelli in Grecia e sempre pronto ad attribuire ai greco-ciprioti ogni responsabilità per l’impasse dei decenni successivi.

Le sue tentazioni nazional-scioviniste porteranno Ecevit ad accodarsi anche al coro di coloro che diffidano dell’Europa e che si oppongono a che la Turchia presenti la domanda di adesione alla Comunità Europea, come invece fanno alla fine degli anni ’70 Spagna e Grecia. Un’occasione mancata spesso rimproveratagli negli anni seguenti da coloro che confrontavano le sorprendenti trasformazioni politiche e sociali di questi due paesi con le difficoltà in cui si dibatteva la Turchia.

Il colpo di stato del 1980, arrivato per mettere fine ad un decennio di violenze e instabilità, non risparmierà nemmeno Ecevit, costretto al carcere insieme a tutti i leader politici dell’epoca. Nel 1982 decide di abbandonare il suo partito e la politica per "poter parlare liberamente", ritorna all’attività di giornalista per dare battaglia sui temi della democrazia e della libertà di espressione. Fonda una rivista che esce con un suo articolo dal titolo eloquente "Tortura". La rivista viene chiusa ed Ecevit ritorna in carcere.

Se Ecevit giornalista ed intellettuale fornisce un contributo importante nel faticoso processo di democratizzazione seguito al colpo di stato, anche criticando apertamente le forze armate ("Sono le elites e gli intellettuali a voler l’intervento dei militari, la gente ha sempre subito i militari"), non si può dire che sia stato altrettanto efficace sul piano della politica, alla quale finisce inevitabilmente per tornare. Lo fa fondando con l’inseparabile moglie Rahsan il Partito Democratico di Sinistra (DSP). Una sorta di partito-famiglia gestito dalla coppia con metodi poco trasparenti, marcato da un forte nazionalismo che assume posizioni oltranziste nei confronti di questioni spinose come quella cipriota o quella curda.

L’entusiasmo popolare seguito alla cattura del leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) Abdullah Ocalan porta però Ecevit di nuovo alla guida di una curiosa coalizione con i nazionalisti dell’MHP (Movimento di Azione Nazionale) e con il Partito della Madrepatria (ANAP). Le sorprese però non sono ancora finite perchè, nonostante queste premesse, Ecevit sarà nel 1999 al vertice europeo di Helsinki nel quale l’UE accetta la candidatura turca: "La Turchia è l’esempio che smentirà tutti coloro che sono d’accordo con Kipling quando dice che Oriente ed Occidente non si incontreranno mai", è il commento di un Ecevit che si riscopre europeista.

In questo periodo non viene meno nemmeno il suo antico interesse per i lavoratori ed il premier si spenderà molto per far approvare la legge sulla sicurezza sul lavoro.

Poi ci sono la sua malattia, l’accanimento dei mass media, la crisi con il presidente della Repubblica che nel 2001 porterà ad una gravissima crisi economica e alla caduta del suo governo di coalizione. Con Ecevit malato ed impossibilitato a fare campagna elettorale, il partito da lui creato si presenta alle elezioni del 2002 come una vittima sacrificale di fronte alla rabbia popolare. Il risultato, anche se atteso, è scioccante nelle proporzioni: con solo l’1,5% dei voti il partito è praticamente cancellato dalla scena politica ed Ecevit si ritira dalla vita politica attiva.

Con le sue non poche contraddizioni Ecevit è stato il leader politico di sinistra più rappresentativo e carismatico della storia repubblicana, "l’uomo che ha lasciato una traccia profonda nella vita politica del paese". Di fronte alle incertezze del presente, con lo spettro delle elezioni politiche dell’anno prossimo, l’interrogativo insistente che circolava tra coloro che sabato partecipavano al funerale dell’anziano leader era se mai ci sarà qualcuno in grado di prenderne il posto.

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