La Turchia di Antiochia
All’indomani dell’apertura ufficiale dei negoziati di adesione, un reportage da Antiochia dove nei giorni scorsi si è tenuto il primo "Convegno delle civiltà". Dove la religione non è motivo di divisione ma ci parla della Turchia e dell’Europa possibili
Di Thomas Bendinelli, per Bresciaoggi, 3 ottobre 2005
Il premier turco Tayyip Erdogan sale sul palco, dietro c’è l’immancabile statua del padre della patria Kemal Ataturk. Militari e poliziotti sono ben visibili e circondano l’anfiteatro, un gruppo di persone inneggia al premier come fosse un condottiero, la scena è un po’ da regime. Un paio di studenti invece urlano «La Turchia non è in vendita» e vengono immediatamente portati via mentre Erdogan afferma con forza che il t[]ismo non può essere ascritto ad alcuna religione e che bisogna dialogare e muoversi insieme per governare la globalizzazione.
E’ l’inizio del primo Convegno delle Civiltà che si è tenuto la scorsa settimana ad Antiochia, poche decine di chilometri dal confine con la Siria, e che in pochi istanti ha riassunto le contraddizioni e le tensioni della Turchia di oggi: i segnali di cambiamento e di volontà di entrare in Europa da un lato e le ombre del regime e dei poteri oscuri dall’altro.
Sono le contraddizioni che lo scrittore turco Orhan Pamuk cerca di raccontare in Neve, il suo romanzo più noto, ambientato in una piccola città del Nord-est del paese che per tre giorni si trasforma nel terreno di confronto di tutte le anime della società turca, un piede in Europa e l’altro nell’Islam, a metà strada tra laicismo e religione, tradizione e modernità, con forti disparità economiche e culturali, e in mezzo le tante etnie che compongono il mosaico: curdi, armeni, georgiani e ovviamente turchi.
In Turchia, proprio per avere le credenziali per entrare in Europa, negli ultimi anni è stata abolita la pena di morte, varata la riforma della magistratura, riformato il codice civile e penale, ridimensionato in parte il peso dei militari. Ma è sempre qui che il secondo potere formato da funzionari, giudici e militari continua a pesare e dove un tribunale 10 giorni fa ha cercato di impedire lo svolgimento di un convegno all’università di Istanbul sul genocidio armeno del 1915 e degli anni successivi (decisione rispetto alla quale il premier Erdogan ha preso le distanze). Ed è sempre in Turchia che Orhan Pamuk il 16 dicembre dovrà presentarsi davanti a un tribunale con l’accusa di aver insultato i turchi per aver detto in un’intervista a una rivista svizzera che «i turchi hanno ucciso 1 milione di armeni e 30.000 curdi».
La Turchia di oggi racconta ancora di una difficoltà a poter manifestare liberamente il proprio pensiero o il proprio culto come ha ricordato al convegno delle civiltà il patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I affermando che il suo patriarcato «incontra difficoltà nelle sue attività e nel vedere riconosciuto il carattere sacro per gli ortodossi delle chiese trasformate in moschee».
Eppure la storia della città di Antiochia, e non a caso il convegno si è tenuto proprio qui, città nella quale per la prima volta «i discepoli furono chiamati cristiani» e dalla quale partirono i primi tre viaggi apostolici di Paolo, parla anche di dialogo e di incontro.
Antiochia è una città nella quale le tre religioni monoteiste convivono da secoli, dove in sinagoga si legge la torah in greco, nella chiesa dei greci si prega in arabo, in quella cattolica si usa il turco e dove il muezzin invita alla preghiera in arabo, lingua che da questi parti solo in pochi conoscono. Tutto nell’arco di poche centinaia di metri quadrati.
Ad Antiochia, quando è morto il Papa, musulmani ebrei e cristiani si sono trovati insieme a pregare ed abitualmente capita che un ortodosso prenda la comunione nella chiesa dei cattolici e che la pasqua sia stata unificata. Perché, come afferma padre Domenico Bertogli, in mezzo ai verdissimi aranci della corte interna della chiesa, l’ecumenismo è fare il primo passo senza aspettare che lo faccia l’altro.
Ad Antiochia la religione non è causa di divisione e anzi ci parla della Turchia possibile e di Europa. Proprio oggi, se verranno superate le ultime ritrosie da parte dell’Austria, prenderanno il via formalmente i negoziati di adesione della Turchia all’Unione europea. E’ quasi un secolo che questo Paese guarda ad occidente ed è dal 1963 che chiede di partecipare al club europeo. Il percorso di adesione, che non durerà meno di 10-15 anni, potrebbe diventare un’occasione straordinaria per procedere con la democratizzazione del Paese. Per l’Europa potrebbe rappresentare un laboratorio di dialogo reale con l’Islam e una riscoperta della sua anima mediterranea come è stato rilevato dal vescovo apostolico dell’Anatolia padre Luigi Padovese sottolineando che «il dialogo è l’unico speranza per non cedere alla spirale della violenza e che, come diceva Agostino, "si tratta di uccidere la guerra con le parole anziché gli uomini con la spada e procurare la pace con la pace"».
Ma l’avvio del negoziato con la Turchia potrebbe anche offrire lo spunto all’Unione europea per riavviare un dialogo con i propri cittadini e fare quindi in modo che l’Europa sia anche atto costitutivo dal basso e non solo processo di allargamento deciso a Bruxelles, una necessità dimostrata anche dai recenti risultati dei referendum (e al di là delle differenti letture che se ne possono dare) sulla Costituzione in Francia e Olanda.