La transizione secondo Vladimir Gligorov

Un’intervista a tutto campo con l’economista Vladimir Gligorov. Il percorso europeo dei Balcani occidentali e la transizione economica della regione. Il caso della Macedonia. Nostra traduzione da Transitions Online

20/03/2006, Redazione -

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Giardini in Tunisia (Paul Klee)

Di Biljana Stavrova*, Transitions Online, 2 marzo 2006 (titolo originale: "A decisive year for integration")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall’Asta

Skopje, Macedonia – Vladimir Gligorov è titolare di una cattedra di Economia presso l’Istituto per gli studi economici internazionali di Vienna ed è uno dei massimi esperti sulla situazione economica e politica dei Balcani. Ha scritto numerosi studi su questioni economiche dell’Europa sudorientale; è autore di una dozzina di libri di economia e scrive regolarmente per le riviste della regione. Attualmente è anche consulente del presidente macedone Branko Crvenkovski.

TOL: Professor Gligorov, mentre stavamo preparando questa intervista una nuova iniziativa della Commissione europea sul Sud-est Europa ha sconvolto molti politici locali. L’idea di formare un’area regionale di libero scambio è stata respinta dalla Croazia ed è vista con sospetto dalla Macedonia. Qual è la sua opinione?

Vladimir Gligorov: Questa non è un’iniziativa nuova. Si tratta del processo di costruire un trattato di libero commercio multilaterale, cioè regionale, a partire dagli accordi di libero commercio bilaterali già esistenti. Avrebbe avuto un impatto molto maggiore se fosse stato messo in atto quattro o cinque anni fa, ma ciò non fu possibile a causa degli stessi sospetti che stanno emergendo adesso. C’è il timore che questo sia un sostituto per l’integrazione nell’Unione Europea (UE) o che rallenti il processo di annessione all’UE per i Paesi più avanzati come la Croazia. Come conseguenza, l’area di libero scambio si applicherà ora solo ai Balcani occidentali, nonostante in origine l’intenzione fosse quella di coprire tutto il Sud-est Europa. Nel frattempo la Slovenia e l’Ungheria si sono unite all’UE e Bulgaria e Romania si uniranno con ogni probabilità all’inizio dell’anno prossimo, così rimangono solo i Balcani occidentali, più forse la Moldavia.

Ci sono molti problemi rispetto a questa iniziativa, anche se molto probabilmente un accordo verrà raggiunto e la regione di libero scambio sarà creata entro la fine di quest’anno. Il problema principale è che le tariffe verso l’UE e verso il resto del mondo saranno differenti da Paese a Paese. Ciò porterà all’introduzione di varie barriere non tariffarie e non commerciali allo scambio intra-regionale, per compensare le altre distorsioni. Questo potrebbe essere mitigato da un maggiore coordinamento delle politiche, che però potrebbe sfociare in problemi politici. Al di là di questo, il commercio intra-regionale è relativamente limitato e consiste per lo più in esportazioni verso la Bosnia ed Erzegovina e il Kosovo, fatta eccezione per gli scambi tra Serbia e Macedonia. Questi ultimi sono già regolati dal trattato bilaterale di libero scambio.

Questa iniziativa non vuole essere un sostituto all’integrazione nella UE. Proprio all’opposto, essa è mirata a proporre la regione agli investitori europei e al pubblico europeo, che non è per niente consapevole del fatto che l’allargamento dell’UE ai Balcani è ormai in vista. Infine, questa iniziativa è intesa anche a dare l’opportunità ai capofila della regione nell’integrazione nella UE – Croazia e Macedonia – di migliorare la propria posizione all’interno dell’UE supportando l’integrazione regionale e aiutando in tal modo l’UE nel suo sforzo di stabilizzazione e trasformazione dei Balcani.

Funzionerà il mercato comune dell’energia che sta emergendo nella regione? Chi ne trarrà beneficio?

Dovrebbe funzionare. Si suppone che il beneficiario sia il consumatore. Perché sia davvero così sono necessarie significative riforme nei mercati energetici locali. In linea di principio, un mercato regionale dovrebbe incrementare la competizione e consentire una allocazione efficiente dell’energia in tutta la regione. Ciò dovrebbe portare a un calo dei prezzi e ad eliminare le deficienze nella fornitura. Niente di tutto ciò può avvenire senza la ristrutturazione dei settori energetici nei singoli Paesi.

Kosovo e Serbia

Come vede la situazione in Kosovo dopo la morte del presidente Ibrahim Rugova? Si è creato spazio per una maggiore instabilità che potrebbe colpire il Kosovo e i Paesi vicini?

I negoziati in corso sul futuro status del Kosovo e sulla sua organizzazione interna dovrebbero avere un’influenza stabilizzatrice. Alla fine, l’acquisizione da parte del Kosovo di elementi di sovranità verso l’esterno andranno di pari passo con le richieste di una maggiore responsabilità, cosicché anche questo dovrebbe avere un effetto stabilizzatore. Nondimeno, un rischio sulla sicurezza esiste e non sempre è chiaro se il governo del Kosovo sia in grado di controllarlo in maniera soddisfacente. Ma questo è un processo che richiederà un certo tempo. Anche la regione dovrà dimostrare perseveranza nel rapportarsi in modo democratico e costruttivo col processo di formazione di uno Stato e di una nazione in Kosovo.

Come giudica l’attuale scandalo Mobtel in Serbia le autorità serbe hanno temporaneamente posto l’operatore di telefonia mobile sotto amministrazione controllata, mentre la compagnia è indagata per avere – secondo le accuse – messo in pericolo la sicurezza nazionale: potrebbe danneggiare il clima economico e politico del Paese?

Questa è una soluzione a breve termine che potrebbe aprire un problema a lungo termine. Il fatto che lo scandalo sia saltato fuori ora e sia stato trattato politicamente invece che attraverso la legge indica che l’intenzione è dare stabilità al governo, e forse rafforzarne la posizione presso l’opinione pubblica. Per il momento questo sembra funzionare. Una volta che l’intera questione arriverà in tribunale, se mai questo dovesse accadere, le cose potrebbero cambiare. In ogni caso il potere discrezionale del governo si è accresciuto significativamente e se i tribunali non vi pongono dei limiti ciò potrebbe costituire la base per uno sviluppo in senso autoritario.

L’integrazione nell’UE

Si aspetta dei progressi nella politica dell’UE verso i Balcani occidentali durante la presidenza austriaca, nei primi sei mesi di quest’anno?

Sì, io mi aspetto che per la fine della presidenza austriaca diverrà chiaro che l’UE si è definitivamente impegnata ad allargarsi ai Balcani. Dovrebbe diventare chiaro che la Bulgaria e la Romania stanno per aderire all’UE in gennaio 2007 e che i Balcani occidentali saranno i prossimi. Anche la creazione dell’area regionale di libero scambio per quella data dovrebbe essere a buon punto. Infine, in quel momento, i termini della soluzione della questione del Kosovo dovrebbero essere già stati stabiliti. Soprattutto io vedo la presidenza austriaca come una fase preparatoria per l’inizio dell’allargamento ai Balcani che dovrebbe aver luogo, se non ci saranno seri ostacoli, il 1 gennaio 2007.

Lei ha stimato che la Macedonia potrebbe diventare membro dell’UE nel 2013. Ci può spiegare la sua valutazione?

Vladimir Gligorov

Se i negoziati partono nel 2007, ci vogliono circa quattro anni per chiudere tutti i capitoli e un altro anno o due per ratificare il trattato d’accesso, il che vuol dire il 2012 o il 2013. Inoltre prima di quel periodo l’UE avrà rivisto le sue prospettive finanziarie e ciò darà all’UE l’opportunità di includere la Macedonia nel suo bilancio all’incirca proprio in quel periodo.

Quali sono le possibilità per gli altri Paesi?

La Croazia potrebbe diventare Stato membro nel 2010, dato che sta già negoziando. Tutti gli altri non possono sperare di aderire prima del 2015. D’altro canto io mi aspetto che tutti i Balcani saranno nell’UE all’incirca per il 2015. Il Kosovo potrebbe arrivare più tardi, e l’entrata della Turchia dipenderà dagli sviluppi interni dell’UE.

In futuro i Paesi verranno valutati individualmente oppure quelli più progrediti dovranno attendere gli altri?

Saranno giudicati sulla base dei meriti individuali. Potrebbe accadere, all’atto pratico, che Serbia e Montenegro, Bosnia ed Erzegovina e Albania entrino nello stesso momento. Ma a nessuno sarà chiesto di aspettare gli altri, a meno che non stia rallentando già di suo.

Macedonia: redistribuzione anziché crescita

Perché la regione, Macedonia, Kosovo, e Bosnia in particolare, sembra incapace di attrarre più di tanto gli investimenti provenienti dall’estero?

La ragione fondamentale è l’incertezza sulle prospettive di integrazione nell’UE dei Balcani occidentali. Una volta che questo aspetto sarà chiarito, le aspettative degli investitori si stabilizzeranno. Ci sono altre ragioni per cui gli investimenti sono cresciuti solo recentemente, ma questa è la principale.

Dove vede le principali limitazioni delle economie della regione?

L’errore di fondo è nella strategia di transizione. L’intento principale è la redistribuzione delle risorse esistenti e le politiche economiche sono state adeguate a questa strategia. Ciò spiega l’affidarsi ai tassi di cambio fissi, la privatizzazione verso elementi interni e l’insensibilità verso l’alta disoccupazione. In un certo numero di questi Paesi c’è anche un certo aggravio del debito. Questi problemi possono avere conseguenze a lungo termine e i Paesi dei Balcani potrebbero trovarsi a fronteggiare problemi sociali per una generazione o più.

Le strade di Macedonia hanno visto recentemente susseguirsi blocchi da parte di vari attori sociali: coltivatori di tabacco, viticoltori, gruppi svantaggiati che protestano contro la vendita della compagnia energetica, lavoratori portatori di handicap, minatori, operai delle ferrovie… Questo è l’inizio di una rivolta che potrebbe portare il Paese nel caos e nel disordine sociale? Come può il governo far fronte a tutte le domande che provengono da questi gruppi?

Io non credo che quello dei disordini sociali sia un rischio serio in Macedonia. Ma il governo deve essere più aperto al dialogo e alle concessioni. Ciò significa che deve cercare modi per favorire una più rapida crescita economica e la creazione di posti di lavoro. Come pure deve dare una forma istituzionale al dialogo sociale e rafforzare le istituzioni civili e sociali di modo che le proteste abbiano una concreta influenza sulle politiche che vengono adottate e seguite.

La Macedonia ha ottenuto lo status di candidato all’UE in dicembre 2005. Quali saranno gli effetti economici di ciò? Lo status basta da solo a cambiare il clima economico?

Certamente è un ottimo punto di partenza. È necessario assicurarsi che i negoziati incomincino il prima possibile. La chiave è mantenere la spinta delle buone notizie che vengono dalla Macedonia e la più importante è che si fanno costantemente progressi nel processo dell’integrazione nell’UE.

La strategia della transizione e delle riforme

Dopo averle assicurato lo status di candidato, l’UE ha consegnato alla Macedonia una lunga lista di raccomandazioni per riforme in vari settori. Come valuta la capacità del governo macedone di garantire queste riforme? Lei condivide l’ottimismo delle autorità?

Parlando della creazione di istituzioni nel contesto dell’armonizzazione con l’UE, io credo che sia realistico attendersi che il governo macedone si mostrerà capace di adottare la legislazione necessaria e di implementarla. Riguardo alle riforme strutturali che dovrebbero trasformare i vari mercati e settori ed anche modernizzare la politica economica del Paese, ciò richiederà del tempo e non ci si può aspettare troppo nel breve periodo.

Quali sono le misure più urgenti che il governo dovrebbe prendere per migliorare l’economia?

Penso siano tre: un’ulteriore modernizzazione della politica monetaria, cambiamenti della politica fiscale atti a supportare la crescita e lo sviluppo, e politiche attive sul mercato del lavoro per accrescere la formazione e aumentare le opportunità di impiego.

Per più di 10 anni l’approccio della Macedonia è stato basato sulla stabilità macroeconomica con un tasso di cambio fisso e bassa inflazione ma alti tassi d’interesse. Nei suoi recenti studi lei ha scritto che questo andava bene per la stabilità ma non per la crescita. La sua strategia basata su una maggiore spesa pubblica in infrastrutture, tassi di cambio flessibili e liberalizzazione dell’economia non è stata bene accolta dal ministro delle Finanze macedone e dal governatore della Banca centrale, che ha detto che la stabilità non ha prezzo. Essi hanno chiesto misure alternative per velocizzare la crescita. Lei prevede che queste misure saranno prese dal governo?

Io vedo un’intenzione di introdurre riforme strutturali. Queste hanno bisogno di tempo per essere concepite e implementate. Io penso che siano importanti. Ma i cambiamenti nelle politiche economiche e le riforme strutturali non sono gli uni alternativi alle altre, bensì complementari. C’è bisogno di riformare il mercato del lavoro, il mercato dei prodotti e quello finanziario, e alcune di queste riforme sono in ogni caso richieste dall’integrazione nella UE. Ma una crescita sostenuta è l’ambiente migliore per le riforme e se la crescita è incerta la stabilità può essere difficile da mantenere.

L’FMI e la Banca mondiale

Come vede il ruolo del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale nella transizione in Macedonia, come pure nella regione? Sembra che l’unica transizione coronata da successo sia stata quella slovena. Eppure, diversamente dai restanti Paesi del Sud-est europeo, la Slovenia non ha seguito le indicazioni dell’FMI…

L’FMI è sempre meno importante nei Balcani. La Slovenia è riuscita a sostenere presso l’FMI la tesi che essa non proveniva dallo stesso sistema degli altri Paesi ex socialisti. L’FMI e la Banca mondiale non avevano afferrato questo concetto nel caso della Slovenia e di altri Paesi dell’ex Jugoslavia, e alcune delle loro raccomandazioni erano semplicemente basate su informazioni errate. Comunque, altri Paesi dell’ex Jugoslavia hanno creato una gran confusione nel loro processo di state-building e nella transizione, e così sono diventati i tipici candidati per l’assistenza dell’FMI e della Banca mondiale. Il rapporto in tutti i casi non è stato molto felice. La maggior parte dei programmi non sono stati portati a termine in modo soddisfacente per entrambe le parti, e quelli che si sono conclusi con successo, come il più recente programma in Serbia e Montenegro, lasciano più l’impressione di un matrimonio finito con un divorzio che con un lieto finale. Ma in definitiva le responsabilità rimangono principalmente dei governi della regione, non delle istituzioni finanziarie internazionali.

Lei concorda che la principale priorità dell’FMI e della Banca mondiale è quella di mantenere ogni Paese nella condizione di poter pagare i propri debiti? Anche nel caso della possibile vendita della compagnia energetica macedone queste istituzioni raccomandano che i proventi della vendita siano usati per pagare i debiti del Paese anziché per investimenti

Sono due cose diverse. L’FMI ha il mandato di sorvegliare l’affidabilità esterna di un Paese. La Banca mondiale è un’altra cosa, e dovrebbe sostenere le riforme strutturali e gli investimenti per lo sviluppo. Comunque, la Banca mondiale considera la stabilità macroeconomica come una precondizione per lo sviluppo e ha una definizione di "stabilità" piuttosto rigida, ed è in questo senso che le due istituzioni si ritrovano unite. Un tema completamente differente è cosa fare col denaro guadagnato attraverso le privatizzazioni. Potrebbe essere una buona idea pagare i debiti, nella prospettiva di riuscire ad ottenere dei nuovi prestiti sulla base di condizioni migliori, perché meno debiti preesistenti si traducono in un minore rischio sui nuovi debiti. In aggiunta, la maggioranza dei nuovi debiti sarebbero privati anziché pubblici, il che sarebbe un miglioramento nella struttura del debito. Infine, un minore debito pubblico dovrebbe comportare una inferiore spesa pubblica, perché si ridurrebbe il costo degli interessi dovuti sul debito pubblico, e ciò dovrebbe permettere al governo di investire in infrastrutture o in capitale umano o in qualsiasi obiettivo di sviluppo che esso scelga. Siamo quindi nel terreno della pratica. Potrebbe avere un senso pagare i debiti ed accrescere la solidità finanziaria del Paese, sia che l’FMI lo raccomandi sia che non lo faccia. Un’altra ragione per farlo, ironicamente, è quella di stabilizzare la posizione esterna del Paese, per non avere più bisogno del supporto dell’FMI.

Un nuovo contratto sociale per la Macedonia?

La Macedonia ha iniziato la sua riforma pensionistica in un momento in cui la maggior parte del bilancio dello Stato va ai trasferimenti sociali. Come si può riformare la sicurezza sociale e il sistema delle pensioni nella regione col minimo sacrificio e il massimo beneficio?

L’equità intergenerazionale è un tema molto difficile nella transizione. La riforma del sistema pensionistico dovrebbe basarsi sulla comprensione da parte degli anziani che una certa redistribuzione a favore dei giovani è necessaria. Questo è il contratto sociale chiave che dev’essere accettato. Per semplificare, il Paese ha bisogno di spendere di più nell’istruzione che nelle pensioni. Oltre a ciò, un sistema pensionistico non può essere sostituito con un altro dall’oggi al domani, anche se l’introduzione di nuovi criteri potrebbe avere un utile ruolo da giocare.

Il sistema bancario macedone affronta permanentemente l’instabilità, con ogni tanto qualche piccola banca che collassa. Allo stesso tempo non c’è penetrazione da parte di grandi e credibili banche straniere. I tassi d’interesse in Macedonia sono molto superiori alla media regionale. Siamo di fronte ad un monopolio supportato politicamente, a favore degli operatori locali?

Un incremento della competizione è certamente desiderabile. Non c’è dubbio che l’intento dovrebbe essere quello di supportare più bassi tassi di interesse, e questo richiede appropriate correzioni nella politica monetaria e anche una maggiore competizione.

Cosa ne pensa della privatizzazione della compagnia energetica macedone? Lei condivide il timore che possa diventare un altro monopolio, come è accaduto con le telecom nella regione, portando ad un massiccio rialzo del prezzo dell’elettricità?

Questo è un pericolo. Una pressione pubblica in senso contrario potrebbe essere utile. In generale, io penso che la politica antimonopolistica potrebbe essere utilizzata molto di più in Macedonia. O forse è meglio dire che "dovrebbe" essere utilizzata, dato che finora non lo è stata quasi per nulla.

*Biljana Stavrova è corrispondente di TOL da Skopje

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