La torta dell’Unmik
A partire dal ’99 l’Unmik ha segnato profondamente l’economia del Kosovo, rappresentando non solo il primo datore di lavoro, ma anche una fonte alternativa di reddito attraverso le spese di vitto e alloggio dei propri dipendenti. Un bilancio, quando già si parla di fine della missione Onu
Ancora nessuna data certa è stata fissata per la definizione del futuro status del Kosovo. Ogni decisione, nel prossimo futuro, dovrebbe però quasi certamente segnare la partenza dell’Unmik, l’amministrazione civile che ha governato la regione dal 1999, anni in cui ha segnato lo sviluppo della società kosovara, in modo particolare nel campo economico.
Ma mentre l’Unmik continua a supportare il processo di definizione dello status, già vengono fatti calcoli su quello che è stato in questi anni l’impatto della presenza della missione Onu in Kosovo, così come degli effetti della progressiva riduzione del numero del personale utilizzato.
Dalla sua creazione, secondo un rapporto interno, l’Unmik ha speso in Kosovo circa tre miliardi di euro, in personale, beni e servizi. Anche se solo una piccola parte di questa somma è stata investita nell’economia kosovara, il denaro speso ha comunque giocato un ruolo nella creazione di posti di lavoro e di attività economiche. L’Unmik ha "iniettato" capitali nell’economia del Kosovo attraverso il pagamento di salari e di indennità al proprio personale internazionale e locale, con l’acquisto di beni e servizi sul posto e sul mercato internazionale e con lo sforzo di costruzione, da zero, sia delle istituzioni pubbliche che della professionalità in esse impiegate.
"Iniezioni" locali
Con l’inizio dei negoziati sullo status, due anni fa, il personale kosovaro dell’Unmik ha iniziato a riorientarsi sul mercato del lavoro, temendo un rapido ridimensionamento della missione internazionale. E’ molto difficile, però, trovare occasioni che possano garantire salari comparabili con quelli attualmente garantiti dall’Unmik. Per fare un esempio, un agente di sicurezza riceve circa 1000 euro, che rappresentano anche il salario medio del personale kosovaro impiegato nelle strutture dell’Unmik. In questi anni il picco delle assunzioni di personale locale si è avuto nel 2001, quando si arrivò a 5.200 dipendenti, prevalentemente impiegati nel settore amministrativo, nei servizi di traduzione e interpretariato e nella logistica.
Per i cittadini kosovari, a partire dal ’99, l’Unmik ha rappresentato il primo datore di lavoro, in un contesto in cui la disoccupazione, secondo i dati ufficiali, raggiunge ancora il 70%. In ogni modo, la possibile partenza dell’Unmik non dovrebbe piovere come una bomba ad orologeria nelle mani dei kosovari. I dipendenti locali dell’amministrazione Onu, infatti, rappresentano meno dell’1% del numero delle persone ufficialmente impiegate in Kosovo, una situazione totalmente diversa da altre missioni delle Nazioni Unite: ad esempio, a Timor Est, i dipendenti della locale missione Onu compongono ben il 30-40% di tutta la forza lavoro attiva.
I kosovari hanno poi potuto approfittare della possibilità di fornire beni e servizi all’Unmik. La "Uni Project" è un’azienda locale specializzata in pulizia e assistenza, attualmente sotto contratto proprio dall’amministrazione internazionale. Dopo aver accumulato esperienza proprio come dipendente dell’Unmik, il proprietario della "Uni Project", Besnik Vrella, ha deciso, nel 2001, di mettere in piedi una sua attività, ed oggi la sua azienda impiega circa 270 dipendenti. "Ho iniziato a lavorare per guadagnarmi il pane, senza sapere cosa mi aspettava", racconta Vrella ad Osservatorio. "Dopo aver imparato a gestire il lavoro, ho deciso di rischiare con una mia attività, e oggi la mia azienda offre direttamente servizi all’Unmik".
"Iniezioni" internazionali
La maggior parte dei beni acquistati dall’Unmik sono prodotti finiti che vengono importati dal mercato internazionale. In questo caso è evidente il gap rispetto ai servizi ottenuti invece a livello locale, concentrati sopratutto nei campi delle pulizie, della manutenzione e della sicurezza. Ma ciò che più tocca l’economia e la vita dei cittadini kosovari sono le spese effettuate, in servizio e nella vita privata, dal personale internazionale in missione. Ogni anno l’Unmik spende tra i 150 e i 330 milioni di euro per il suo staff internazionale, che nel 2002 è arrivato a contare ben 6300 membri. Tutte queste persone spendono per il proprio alloggio, per il cibo e i servizi essenziali, oltre che nei bar e nei ristoranti gestiti da kosovari.
Con il forte calo del numero dei membri della missione Onu, oggi ridotti a 3700, principalmente personale di polizia, i proprietari di immobili, che in questi otto anni hanno potuto contare su alti affitti, iniziano a sentire il "vuoto" lasciato dagli internazionali nel proprio budget personale. Ad aumentare il profitto di chi ha beneficiato degli affitti del personale Onu, c’è poi da dire che questi, che arrivano in media a 1000 euro al mese, non vengono praticamente mai dichiarati al fisco. Anche bar e ristoranti hanno potuto approfittare della situazione. I proprietari di locali, soprattutto a Pristina (dove è impiegato circa il 60% del personale internazionale) si sono adattati ai livelli di spesa dei "forestieri", livelli del tutto sconosciuti in Kosovo prima della guerra.
Inaspettatamente, ma non per il personale Onu con esperienza già in altre missioni, anche le compagnie aeree hanno avuto per anni la propria "fetta" della "torta Unmik", visto che il personale della missione, così come il personale Nato, ha dovuto pagare speciali commissioni incluse nel prezzo del biglietto aereo. Ma questo non rende il Kosovo diverso dagli altri paesi in cui sono presenti missioni delle Nazioni Unite.
Creazione delle istituzioni
La missione dell’Onu in Kosovo ha avuto in questi anni anche il compito di creare, attraverso la propria supervisione, le istituzioni che hanno amministrato la regione. Una delle istituzioni finanziarie più importanti, il servizio doganale dell’Unmik, è divenuta attiva nel 2000, e nel 2003 è diventata largamente la prima fonte di entrate, raccogliendo circa il 70% dell’intero budget kosovaro, un dato che ha continuato a salire per arrivare al 75% nel 2007, anche in considerazione del fatto che l’economia del Kosovo resta legata soprattutto alle importazioni. Al tempo stesso la Tax Administration (l’Agenzia delle imposte), sta cercando di rafforzare il proprio ruolo nella fragile economia locale, tentando di raccogliere le imposte dai soggetti economici che sfuggono al suo controllo.
L’Unmik ha creato poi la Kosovo Trust Agency (KTA) che si occupa della privatizzazione delle compagnie pubbliche. La KTA, accusata dal governo di Belgrado di gestire arbitrariamente proprietà dello stato serbo, e dagli ex dipendenti delle aziende privatizzate di non essere riuscita a risarcirli della perdita del proprio posto di lavoro, ha portato a termine fin ad oggi circa cento processi di privatizzazione. Impianti industriali, depositi, terreni industriali ed agricoli sono stati venduti principalmente a businessmen albanesi-kosovari che vivono fuori dalla regione, portando nelle casse pubbliche circa 350 milioni di euro.
Alcune aziende pubbliche, come l’Aereoporto di Pristina, le Poste e Telecomunicazioni del Kosovo (PTK) e l’Azienda Elettrica (KEK) non sono state privatizzate, in quanto ritenute di vitale importanza per l’interesse pubblico. Queste aziende, supportate dall’Unmik e da uffici di consulenza dell’Ue, sono in genere in buona salute finanziaria, con l’eccezione della KEK, che rappresenta il peggiore esempio di gestione manageriale, e che nonostante i milioni spesi in investimenti tecnici non riesce ancora a fornire ai suoi utenti energia elettrica 24 ore su 24.
In questi anni molti kosovari hanno incolpato, per questo problema, così come per molti altri, il perdurare di incertezza sullo status finale del Kosovo. Visto che l’Unmik ha amministrato la regione dal ’99, ai loro occhi anche l’amministrazione internazionale ha molte responsabilità per le difficoltà che la regione deve affrontare a livello economico. Ma, nonostante le molte critiche, è probabile che saranno in molti a sentire la sua mancanza, nel momento in cui la missione dovesse definitivamente ammainare la sua bandiera.