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La strana morte di Manvel Saribekyan
Cresce la tensione tra Armenia e Azerbaijan per il caso di Manvel Saribekyan, giovane armeno morto nelle carceri azere. Secondo Baku l’uomo era una spia, e si sarebbe suicidato. Secondo Yerevan si trattava di un pastore entrato inavvertitamente nel territorio controllato dall’Azerbaijan, e poi ucciso deliberatamente dalle autorità di quel paese. La posizione dei gruppi per i diritti umani
Questo articolo è stato originariamente pubblicato il 26 ottobre 2010 dall’Institute for War and Peace Reporting con il titolo Tensions Rise After Armenian Dies in Azeri Custody
La controversa morte di un prigioniero armeno in Azerbaijan ha portato ad un nuovo conflitto verbale fra i due paesi. La disputa riguarda un giovane armeno di nome Manvel Saribekyan, che un mese fa ha varcato il confine azero, è stato arrestato ed è poi morto.
I frequenti scontri sulla “linea di controllo” fra le posizioni difensive azera e armena sono legati allo status irrisolto del Nagorno Karabakh, de facto sotto controllo armeno ma non riconosciuto dalla comunità internazionale dal 1994, quando il conflitto terminò con una tregua. In questo caso, al centro della contesa sono le circostanze dell’arresto e della morte di Saribekyan. Secondo le autorità armene, si trattava di un pastore proveniente dal villaggio di Ttujur (situato nella regione armena di Gegharkunik, confinante con l’Azerbaijan), che sarebbe stato arrestato l’11 settembre scorso dopo aver oltrepassato il confine alla ricerca di bestiame disperso. Dall’altra parte, gli ufficiali azeri insistono che Saribekyan fosse parte di un’unità militare in incognito, mandata ad attaccare obiettivi nel loro paese. “Una volta fallita l’operazione, i sabotatori hanno deciso di fuggire. Ma uno di loro, Manvel Saribekyan, è stato trattenuto insieme a dell’equipaggiamento spionistico”, dichiara il ministero della Difesa di Baku. “Saribekyan aveva ammesso di essere entrato nel territorio controllato dall’Azerbaijan, agli ordini dei servizi di sicurezza armeni, a scopo di sabotaggio”.
Il 17 settembre, il canale azero ANS ha mostrato un video in cui Saribekyan ammette di essere stato addestrato per compiere azioni di sabotaggio, dichiarando che il suo responsabile, chiamato “Samvel”, gli aveva chiesto se fosse in grado di “uccidere turchi”, ovvero azeri. Poi sarebbe stato portato in una foresta, insieme ad altri “sette od otto ragazzi”, per un addestramento di due mesi all’uso di armi da fuoco, granate ed esplosivi. Nel video, descrive come poi sarebbe stato loro ordinato di “oltrepassare il confine, arrivare al villaggio di Zamanly dove vivono i turchi, far esplodere la scuola e tornare indietro”.
Il 5 ottobre, il ministero della Difesa azero ha annunciato che Saribekyan si era suicidato nella sua cella ed era stato trovato morto dalle guardie. Secondo il ministro, la Procura militare e gli specialisti forensi hanno concluso che aveva usato la sua camicia e le lenzuola per impiccarsi, e che il corpo portava segni caratteristici dell’impiccagione. I funzionari armeni hanno respinto questa versione dei fatti, sostenendo che Saribekyan aveva terminato il servizio militare cinque mesi prima dell’arresto e non aveva legami con le forze armate dell’Armenia o del Nagorno Karabakh. “Catturare un giovane pastore e costringerlo a dichiarare assurdità in televisione, per poi ucciderlo: si tratta di un atto terribile, così com’è terribile il cinismo con cui la vicenda è stata presentata all’opinione pubblica”, ha dichiarato il ministro degli Esteri armeno, Eduard Nalbandyan, in un discorso al parlamento il 6 ottobre. “Si tratta di un comportamento tipicamente t[]ista”.
Uzeyir Jafarov, colonnello in pensione ed esperto di difesa in Azerbaijan, a capo del gruppo “Military Journalists”, osserva che uccidere un uomo accusato di spionaggio non avrebbe senso per le autorità. “Generalmente le spie non vengono uccise, ma utilizzate come fonti”. Gruppi armeni per i diritti umani sostengono che, anche ammettendo che Saribekyan si sia suicidato, non avrebbe mai dovuto essere esibito in televisione. Accusano quindi l’Azerbaijan di aver violato l’obbligo internazionale di trattare i prigionieri con rispetto.
“Siamo sconvolti dalla morte di Manvel Saribekyan e condanniamo fermamente le autorità azere per questa tragedia. Le loro azioni rappresentano una sfacciata violazione del diritto umanitario internazionale”, si legge in una dichiarazione della delegazione armena all’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. La delegazione ha specificamente accusato l’Azerbaijan di aver violato gli articoli 2 e 3 della Convenzione europea sui diritti umani, che proibiscono rispettivamente l’assassinio e la tortura, nonché la Convenzione di Ginevra e altre leggi internazionali. “La versione ufficiale azera sul suicidio di Manvel Saribekyan rappresenta un cinico tentativo di sottrarsi alla responsabilità per la sua morte, responsabilità che ricade invece direttamente sull’Azerbaijan e i suoi ufficiali, che avevano il dovere di garantire la vita e la sicurezza del prigioniero”, si legge nella dichiarazione.
Gli ufficiali armeni sostengono che ai rappresentanti della Commissione internazionale della Croce Rossa (ICRC) sia stato impedito di vedere Saribekyan mentre era in carcere. L’episodio è stato confermato da Ilaha Huseynova, rappresentante ICRC, che ha dichiarato: “I rappresentanti ICRC non possono incontrare prigionieri od ostaggi senza l’autorizzazione delle istituzioni statali”. Armen Harutyunyan, ombudsman armeno per i diritti umani, ha definito il divieto di accedere [al detenuto] per 25 giorni seguito da un presunto suicidio come “decisamente sospetto”.
L’ICRC sta negoziando con le autorità azere la restituzione del corpo di Saribekyan alla famiglia per la sepoltura. Gli ufficiali azeri hanno proposto uno scambio con le salme di Mubariz Ibrahimov e Farid Ahmadov, due soldati azeri uccisi sulla “linea di controllo”, rispettivamente in giugno e agosto.
*Jasur Sumerinli è direttore dell’agenzia di notizie militari MilAz e corrispondente per la difesa dei giornali azeri Ayna e Zerkalo. Sara Khojoyan è direttore responsabile di IWPR per l’Armenia