La storia di Kenedy

Migliaia di rom della ex Jugoslavia, rifugiatisi nei Paesi occidentali durante le guerre, sono stati forzatamente rimpatriati dopo la fine degli anni ’90. Želimir Žilnik, carismatico cineasta serbo, ha raccontato la storia di uno di loro. Nostra intervista

20/01/2004, Nicola Falcinella -

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Želimir Žilnik

È uno dei padri nobili del cinema serbo, attivo fin dalla metà degli anni ’60, anche se Miroljub Vučković, nel libro "Želimir Žilnik – Above the Red Dust" (2003), lo definisce "enfant terrible del cinema jugoslavo". Cineasta carismatico, ha alle spalle una filmografia quasi sterminata tra lunghi, corti e documentari, ha lavorato con star del cinema del suo paese (Lazar Ristovski o Ljiljiana Blagojević) come con non professionisti. È il caso della sua ultima opera, "Kenedy Comes Back Home", che racconta di cittadini serbi che durante le guerre hanno cercato rifugio in occidente, soprattutto in Germania, e che ora vengono rimpatriati. Tornano dove non hanno più nulla, né casa, né lavoro, né terreni da coltivare. Sono per lo più rom.

Il mio film – racconta Žilnik – non vuole parlare di chi torna di propria volontà, bensì delle persone che sono rimandate indietro dalle autorità occidentali. C’è un processo di espulsione rapida che riguarda circa 100.000 persone ma non è presente nei media serbi, che non fanno un ritratto della situazione e dicono che questa gente vuole rientrare. Con questo film ho imparato che la polizia dei paesi occidentali, in Germania soprattutto, va di notte a raccogliere queste persone da espellere. Avvengono liti, discussioni, tragedie e separazioni di famiglie, alla fine vengono portati in aeroporto o per 3-4 giorni in prigioni temporanee finché li rimandano indietro.

Ho cominciato a sentire queste cose nel 2002 a Novi Sad, la mia città. Mi dicevano che queste famiglie non possono continuare una vita normale: gli adulti non trovano lavoro e i bambini parlano meglio la lingua del paese che li ospitava che la lingua madre. Sono famiglie rimaste in occidente 10 anni e più, molti bambini sono nati all’estero, molti frequentavano le scuole e non hanno più la possibilità di continuare. Ho deciso di documentare questo per sollecitare una discussione e stimolare una solidarietà nei loro confronti.

Emerge anche una critica ai governi…

Certo. È una critica ai governi serbi post-Milošević che non hanno dato aiuto a questa gente. E un’accusa ai governi occidentali, perché è assurdo aver dato una doppia identità a questi bambini, avergli dato un’educazione, e poi rimandarli indietro brutalmente. Sicuramente è controproducente per gli occidentali stessi che hanno creato nuove isole di povertà, frustrazione e odio. Questi giovani non possono pensare che siano stati i nazionalismi balcanici, prima di Milošević poi di Tudjiman, i colpevoli di aver distrutto le loro vite. Colpevoli per loro diventano Schröder, Berlusconi, Chirac e gli altri. Il risultato di questo dare e prendere lo vediamo ed è spesso negativo.

Gli espulsi sono rom…

Sì, durante le riprese mi sono accorto che il 95% degli espulsi sono rom. Sono minacciati in questo processo perché le amministrazioni pensano che non abbiano abbastanza conoscenze e forza per difendersi. Per questo vengono brutalmente violate molte leggi europee e in particolare le risoluzioni sui diritti dei bambini.

Come ha cercato i protagonisti del film?

Ero in contatto con alcune dozzine di famiglie rom a Novi Sad e ho cominciato a chiedere se qualcuno volesse collaborare. Poi siamo andati all’aeroporto di Belgrado in attesa di questi arrivi particolari. La polizia non ci ha dato il permesso per riprenderli, così abbiamo una troupe di tre persone fingendo che un nostro amico rom filmasse l’arrivo dei parenti.

Nel film andate anche in Kosovo, a Mitrovica, dove c’è un grande campo nomadi…

Nel frattempo mi dissero che c’erano rom rimpatriati che avevano avuto problemi a rientrare nelle città e nei villaggi in Kosovo. Sono rimasto sorpreso perché credevo che laggiù tutto fosse sotto il controllo della Kfor, dei soldati internazionali. I rom mi dissero che gli albanesi sono contro di loro perché li accusano di essere stati con i serbi al tempo della guerra e prima. Dissi: non è possibile, questa è gente che ha vissuto all’estero negli ultimi dieci anni, non può essere coinvolta nelle tensioni tra serbi e albanesi degli anni ’90. Per questo ho deciso di accompagnare questo giovane, Kenedy, che aveva vissuto 16 anni tra Italia e Germania e che aveva con sè documenti, a testimoniare che i suoi genitori, nonni e bisnonni risiedevano a Mitrovica e avevano una casa.

Siamo andati a chiedere all’amministrazione internazionale di lasciarci tornare in questi luoghi perché Kenedy non aveva un posto dove andare e dormiva in auto a Novi Sad. Abbiamo visto una delle più grandi assurdità della politica europea di oggi. La Kfor controlla tutto il Kosovo, Kenedy ha 28 anni e negli ultimi 16 è stato fuori, non può essere coinvolto in nulla di quanto è successo. Ogni volta mostrava i documenti di possesso di 3 case e gli internazionali ci dicevano di non poter far nulla perché c’è intolleranza da parte albanese: "Non possiamo garantire né la sua vita né i suoi averi, dicevano".

Per me è la tragica prova che i proclami di liberazione e di un nuovo ordine non funzionano, non corrispondono alla realtà. Al contrario le divisioni e le tensioni create dal regime di Milošević sono ora conservati dall’amministrazione e dai soldati europei. È cambiata solo la parte protetta – in precedenza i serbi, ora gli albanesi – ma è rimasto il razzismo. Con Kenedy siamo andati a incontrare dei suoi parenti scacciati dalle loro case che vivono in povere baracche nel campo di Cesmaluk lungo la ferrovia a Mitrovica. Sono baracche dove d’inverno i bambini muoiono di freddo.

Come ha prodotto il film? Avete avuto fondi statali?

Ho una piccola casa di produzione, la Terra Film. Ho fatto tutto con un budget ridottissimo, che per voi sarebbe un non budget, senza aiuti statali. È stato girato in video, poi un’associazione di rom ne chiese 400 copie per una conferenza sui rom a Budapest e ci ha dato dei soldi per trasferirlo in 35 millimetri. Il trasferimento in pellicola l’ha fatto un tecnico in casa sua perché i soldi a disposizione erano pochissimi.

Il film ha avuto abbastanza successo in Serbia ed è stato pure premiato al festival nazionale, anche perché la nostra produzione è limitata. A dicembre 2003 è stato proiettato in Germania e ha provocato polemiche politiche. Ho incontrato il segretario di Stato per i diritti umani, Claudia Roth, e ho fatto un tour di incontri in varie città. Il partito dei Verdi ha concluso che espellere persone scolarizzate è controproducente. Il processo di espulsione è stato temporaneamente sospeso in alcuni Land, Berlino e North Rhein Westfalia. Ma i Verdi sono un partito piccolo e non sono sicuro che ce la farà.

Anche il Consiglio d’Europa si è interessato alla questione. È venuta una delegazione, li ho condotti dove vivono questi rom e hanno parlato direttamente con le persone espulse che non sanno dove andare. Hanno fatto un’analisi precisa e dettagliata in 60 pagine, rivolgendosi ai Paesi membri affinché riconsiderino il processo di espulsione. Ma dubito che qualcosa di sostanziale possa essere fatto.

Come valuta l’attuale situazione politica della Serbia?

Politicamente è tornata a regnare la confusione. Speravo che questa condizione fosse scomparsa. Il gruppo di governo intorno a Djindjić, che fu tragicamente assassinato, ha fatto molti sbagli in termini di privatizzazioni selvagge. Molte persone ricche e criminali vicini a Milošević hanno mantenuto o accresciuto il loro potere senza essere disturbate. I costi del cambiamento sono caduti sulla gente ordinaria che si è impoverita.

La maggior parte di chi nel 2000 votò contro Milošević è ora arrabbiata e delusa e ha votato anche per protestare contro gli yuppies, i nuovi ricchi. La gente è delusa anche degli aiuti della comunità internazionale… Il clima politico è ora di forti divisioni. Populisti e parolai sono tornati a contare e invece di recuperare una buona situazione abbiamo ancora davanti qualche anno di labirinti e di confusione.

Potrà cambiare la situazione?

Non nella mia vita.

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