La sfida di Vučić: giù stipendi e pensioni
Il premier serbo Aleksandar Vučić e il suo SNS si sono trovati a dover varare impopolari riforme di contenimento della spesa pubblica. Giù pensioni e stipendi del pubblico impiego. I timori di Vučić e il comportamento dell’opposizione
Il premier Aleksandar Vučić non ha potuto contare su alcun fedele alleato che lo affiancasse nel sostenere la politica di contenimento della spesa pubblica, con la riduzione del 10 percento degli stipendi del pubblico impiego e delle pensioni. Questa decisione Vučić l’ha dovuta prendere da solo e da solo comunicarla all’opinione pubblica. Il premier e il suo Partito progressista serbo (SNS) si sono quindi assunti piena responsabilità delle conseguenze politiche e sociali che la riduzione di stipendi e pensioni inevitabilmente porteranno con sé.
Sono escluse dalla riduzione le pensioni e gli stipendi inferiori ai 25.000 dinari (poco più di 200 euro). Gli stipendi superiori a questo importo, a quanto pare, saranno tassati progressivamente, dal 10 al 16%. Le pensioni inferiori al tetto imposto dal governo sono percepite da oltre un milione di pensionati, mentre gli stipendi più bassi del tetto riguardano solo 112.000 dipendenti del pubblico impiego. Il governo ritiene che con questi tagli risparmierà 400 milioni di euro di bilancio, sui 700 che il prossimo anno la Serbia intende risparmiare.
La riduzione della spesa pubblica è la sfida più seria da affrontare da quando Vučić e il suo SNS due anni fa sono andati al governo. La questione è infatti politicamente molto più pericolosa del cambiamento di politica sul Kosovo, con l’avvio di colloqui diretti tra i governi di Pristina e Belgrado. L’inizio di quei colloqui non ha avuto conseguenze negative sul rating del partito. Al contrario, l’SNS in questo momento è all’apice della sua popolarità.
Tuttavia, per la maggior parte degli elettori, il Kosovo è una sorta di tema politico di carattere generale, mentre la riduzione degli stipendi e delle pensioni è qualcosa che tocca direttamente e concretamente la vita di milioni di persone. E questo preoccupa Vučić. Per modificare la politica sul Kosovo bastava una forte campagna mediatico-politica e una debole resistenza da parte dell’opposizione, ma la riduzione degli standard di vita e la crisi sociale sono questioni ben più complesse.
L’SNS in questo momento ha il sostegno del Partito socialista serbo (SPS), attuale partner di coalizione, ma non si può certo considerare un appoggio senza riserve. Infatti, se le misure che il governo ha in programma dovessero sollevare forti proteste sociali o una grave caduta di consenso per l’esecutivo, è molto probabile che Ivica Dačić, navigato leader dell’SPS, inizi a pensare a come mantenere la fiducia dei suoi simpatizzanti e a difendere così se stesso e il suo partito.
Senza consenso
Vučić e l’SNS, grazie alle mosse fatte sul Kosovo, si sono ben piazzati a Bruxelles e a Washington. Ma questo non comporta un maggiore aiuto economico nell’applicazione delle misure restrittive sulla spesa pubblica. Al contrario, la riduzione della spesa pubblica è una delle condizioni poste alla Serbia dal FMI. Dall’estero, quindi, possono arrivare solo applausi, mentre in casa le casse dello stato sono vuote.
L’opposizione cercherà di sfruttare il fatto che il governo deve adottare misure impopolari per uscire dalla posizione difensiva in cui si trova, sin da quando più di due anni fa il Partito democratico (DS) dell’ex presidente della Serbia Boris Tadić fu sconfitto alle elezioni.
Le inconciliabili posizioni tra il governo e l’opposizione non sono certo solo recenti, ma sono una caratteristica di lungo periodo sulla scena politica serba. Un vero consenso sociale sulle priorità nazionali non esiste, mentre spesso è decisivo sulle decisioni prese l’interesse specifico dei partiti politici e dei vari centri di potere. Per esempio, vale la pena ricordare che il governo guidato dal DS si era trovato continuamente sotto le forti pressioni dell’allora opposizione dell’SNS e degli altri partiti per far sì che non si cambiasse la politica sul Kosovo, pressioni che erano durate finché l’SNS non è giunto al potere.
L’attuale opposizione è consapevole che la riduzione degli stipendi e delle pensioni è ineludibile, ma così come l’SNS quando era all’opposizione ha insistito sul Kosovo come su una questione di vita o di morte della Serbia (finché non ha vinto le elezioni) ritenendo di riuscire in questo modo a raccogliere consenso popolare, il DS e gli altri partiti filoeuropei restano ora irriducibilmente critici nei confronti delle impopolari misure di contenimento della spesa pubblica.
Resistenze
Obiettivamente Vučić e l’SNS si sono isolati da soli. Dalla vittoria alle elezioni di oltre due anni fa, e in particolare dalla conquista della maggioranza assoluta in parlamento con le elezioni di sei mesi fa, questo partito si è concentrato sul totale controllo del potere, a tutti i livelli, dai comuni alla repubblica. Controllo che gli è riuscito e che di per sé non fa che aumentare il divario tra i progressisti e gli altri partiti politici.
Un tale atteggiamento è stato incoraggiato e generato dalla marcata sete di potere degli attivisti dell’SNS. Questi ora si aspettano di essere premiati per i rispettivi servigi politici e ritengono che sia del tutto fattibile, dal momento che il partito detiene la maggioranza assoluta al parlamento. Allo stesso tempo però le riforme sono tema per i vertici del partito e del governo, ma i funzionari medi e bassi è difficile che le vedano come una priorità.
Il premier si è così trovato da un lato con la necessità di fare passi decisivi per impedire il collasso del bilancio statale e la crisi fiscale, dall’altro con il disinteresse dei propri attivisti per i tagli in questione. I tentativi di risolvere il problema ingaggiando esperti danno solo risultati parziali, tenendo conto che gli esperti del precedente governo, in cui l’SNS manteneva pur sempre una posizione dominante, se ne sono andati lasciando il lavoro incompiuto.
Finora l’SNS ha risolto, riuscendoci, i problemi di cui sopra grazie ad una permanente e intensa campagna mediatica. Si annunciano di continuo nuovi progetti e miliardi (persino decine di miliardi) di nuovi investimenti, ora dagli Emirati Arabi Uniti, ora dalla Cina. Ma di risultati concreti nemmeno l’ombra. È chiaro però che questa modalità di tenere alta l’attenzione non può durare in eterno, in particolare se la crisi sociale continuerà ad acuirsi.