La Serbia in crisi profonda

Le proteste in Serbia, benché di minore intensità, non si fermano. Il regime mette in atto una repressione ancora più dura, violando anche l’autonomia accademica. E come se nulla fosse pensa all’EXPO 2027 e all’immaginaria ripresa economica del paese

24/09/2025, Danijela Nenadić - Belgrado

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Belgrado, Serbia, Sul cartello dei manifestanti: "Polizia ovunque, giustizia da nessuna parte" © Mirko Kuzmanovic/Shutterstock

Siamo ormai giunti all’autunno, eppure la profonda crisi sociale e politica, che da mesi scuote la Serbia, non accenna a placarsi.

Le scorse settimane sono state segnate da proteste, arresti, pestaggi, utilizzo eccessivo della forza da parte della polizia, contro-proteste del principale partito di governo, presenza di picchiatori, incappucciati e violenti, e infine una parata militare per celebrare il “Giorno dell’unità, della libertà e della bandiera nazionale serba”.

Gli studenti e i cittadini in protesta non rinunciano alla richiesta di convocare elezioni parlamentari anticipate e, insieme ad altre forze sociali, continuano a organizzare manifestazioni.

Il presidente Vučić utilizza tutti i meccanismi, statali e parastatali, a sua disposizione per schivare la richiesta di elezioni anticipate. In uno dei suoi discorsi più recenti, ha annunciato di voler organizzare elezioni alla fine del 2026, forse anche riducendo il suo secondo (e ultimo) mandato presidenziale.

Sono chiare le ragioni per cui Vučić cerca in tutti i modi di rimandare il giorno del voto.

Primo, stando a tutti i sondaggi pubblicamente disponibili, ma anche secondo quelli citati regolarmente dal presidente, il movimento studentesco gode ancora di maggiore popolarità rispetto a Vučić e tutte le forze alleate al suo partito messe insieme.

Vučić vorrebbe soffocare le proteste e gridare vittoria, pur avendo già dichiarato innumerevoli volte di aver sconfitto i manifestanti.

È chiaro anche che il presidente vorrebbe evitare qualsiasi svolta capace di aprire la strada verso elezioni realmente democratiche. Le ultime consultazioni democratiche tenutesi in Serbia risalgono al 2012.

Recentemente, anche la Commissione europea, proverbialmente disinteressata alla Serbia, ha affermato che le elezioni nel paese saranno possibili solo se verrà garantita la libera espressione della volontà di tutti i cittadini. Anche gli ambasciatori dei paesi Quint [USA, Regno Unito, Francia, Germania e Italia] hanno espresso una posizione analoga.

La questione dell’EXPO 2027

Un ulteriore aspetto – per il presidente forse cruciale – riguarda il fatto che entro la fine del 2026 dovrebbero essere completati tutti i lavori (o almeno stipulati tutti i contratti) legati all’EXPO 2027.

“Qualunque cosa facciamo, abbiamo in mente il 2027”, ha dichiarato Vučić, annunciando una ripresa economica della Serbia come conseguenza dell’EXPO. Nel frattempo, l’opinione pubblica resta all’oscuro dell’entità delle risorse che la Serbia intende investire nell’organizzazione dell’evento.

Siniša Mali, ministro delle Finanze, e il presidente Vučić hanno menzionato cifre di 1,2 miliardi, 2,5 miliardi e persino 17 miliardi di euro. Dato che non si dispone di informazioni pubblicamente accessibili sulle attività e sui contratti relativi all’EXPO, non è possibile determinare il valore complessivo delle risorse spese finora, né tanto meno si riesce a fare una previsione realistica dei costi rimanenti.

Marko Milanović del Consiglio Fiscale spiega che i membri di questo organismo non hanno potuto prendere visione delle proiezioni ufficiali sulla redditività del progetto. Milanović afferma che “anche il governo forse non dispone di informazioni sui costi totali, dato che i lavori sono suddivisi in più fasi”.

Ai cittadini, come c’era da aspettarsi, non è mai stato fornito alcun chiarimento sui potenziali vantaggi dell’EXPO per la Serbia, trattandosi di un evento senza scopo di lucro.

Stando alle stime ottimistiche degli economisti, la Serbia potrebbe trarne beneficio tra trent’ anni. L’opinione pubblica resta divisa su questo tema, come su tutte le altre questioni. Gli oppositori denunciano che l’EXPO è un chiaro esempio di criminalità, corruzione e appalti pubblici non trasparenti.

A suscitare preoccupazione è anche il fatto che tutti gli edifici costruiti appositamente per l’EXPO potranno essere inaugurati senza disporre di alcun permesso, e questo grazie ad alcune modifiche legislative introdotte violando la Costituzione.

Si ripete quindi il copione visto a Novi Sad, dove il crollo della tettoia della stazione ferroviaria ha causato la morte di sedici persone.

Tra gli altri esempi paradigmatici spicca quello della costruzione di uno stadio di calcio nazionale in un paese, come la Serbia, che sta sprofondando sempre più nella povertà.

Considerando che una “superpotenza calcistica” come la Serbia è stata recentemente sconfitta dagli inglesi per 0 a 5 nel pieno centro di Belgrado – dove peraltro ci sono già due grandi stadi di calcio che, nella migliore delle ipotesi, sono sempre mezzi vuoti perché la qualità del calcio professionale in Serbia equivale a quella del calcio giovanile nel resto d’Europa – è difficile comprendere come la costruzione di un nuovo stadio possa contribuire alla ripresa economica della Serbia.

Vučić e la sua cerchia sperano quindi di controllare tutti gli affari legati all’EXPO, silenziare gli studenti e i cittadini in protesta, tranquillizzare l’Europa e, tra un anno, forse un anno e mezzo, convocare elezioni, ma solo alle proprie condizioni.

Gli studenti però continuano ad opporsi e a fare pressione. Hanno già preparato una propria lista di candidati per le elezioni, e stanno completando anche un programma politico, che però non sarà reso pubblico fino a quando non verranno convocate elezioni. In collaborazione con le assemblee cittadine e altri alleati, organizzano corsi di formazione e preparano osservatori per monitorare i seggi elettorali.

Ogni giorno si svolgono manifestazioni in tutta la Serbia, forse meno intense e partecipate di prima, ma sufficienti per tenere accesa la fiamma della protesta.

Repressione poliziesca

Dopo mesi di blocco, gli studenti sono tornati in aula, passando ad una nuova fase di lotta e auto-organizzazione. Il regime intanto continua a violare l’autonomia dell’università.

A Novi Sad, su invito del preside, la gendarmeria ha fatto irruzione nella Facoltà di Filosofia, bloccandola per giorni. Lo stesso scenario si è ripetuto nella Facoltà di Scienze Motorie e nel Rettorato dell’Università di Novi Sad. Tali violazioni dell’autonomia universitaria non si erano mai verificate nemmeno ai tempi di Milošević.

Tutto porta a pensare che Vučić sia consapevole che la resistenza è più forte a Novi Sad ed è lì che la vuole soffocare, prendendo di mira la città, già ferita, con le unità di polizia più aggressive e uomini pronti a obbedire ciecamente agli ordini.

Gli studenti sostengono che durante una recente protesta di fronte alla Facoltà di Filosofia, la polizia ha sparato gas lacrimogeni illegali contro i manifestanti, corroborando tale affermazione con montagne di bossoli raccolti. Il fatto che il laboratorio indipendente – che ha eseguito le analisi richieste dagli studenti – abbia chiesto l’anonimato la dice lunga sul clima di paura che regna in Serbia.

Con l’avvicinarsi dell’anniversario della tragedia di Novi Sad, che ricorre il prossimo primo novembre, si specula con sempre maggiore intensità sui possibili scenari per quella giornata.

Evidentemente ignorando il fatto che tutte le proteste finora organizzate da studenti e cittadini sono state pacifiche, Vučić annuncia caos e scontri, suggerendo persino l’ipotesi di un colpo di stato. Questa narrazione è stata ripresa dal Servizio di intelligence estero della Federazione Russa, che ha informato i colleghi serbi che il prossimo primo novembre alcuni centri di potere esterni al paese potrebbero tentare di instaurare un governo fantoccio in Serbia.

I soldi per l’EXPO di certo non mancano, meno certo è invece il pagamento di stipendi e pensioni. Le casse dello stato, come si vocifera, sono piuttosto vuote. Molti soldi vengono spesi per pagare le diarie ai poliziotti che garantiscono “la sicurezza” delle manifestazioni di protesta. Lo stesso presidente si è lamentato di questo, come anche del fatto che l’instabilità politica causata dalle proteste dissuade i turisti dal recarsi in Serbia e gli imprenditori dall’investire nel paese (come se solitamente facessero a gara nel farlo).

Non è facile rievocare qui tutte le tattiche bizzarre a cui ricorre il regime di Vučić. Ne citiamo solo alcune, tanto per illustrare il grado di repressione e i tentativi di controllare l’intera società.

Di fronte al diffondersi del grido “pompiamo” (ormai diventato simbolo della mobilitazione in corso) – che continua a riecheggiare non solo in Serbia, ma in tutte le parti del mondo dove vive la diaspora serba – il regime ha deciso di mandare un gruppo di tifosi, selezionati tra gli studenti che “vogliono imparare”, al campionato europeo di basket a Riga.

Visto che la nazionale serba non ha vinto alcuna medaglia, ci possiamo vantare di un folto pubblico di sostenitori composto da uomini vestiti di nero e incappucciati, il cui compito principale era dare la caccia in sala a Riga a chiunque osasse gridare “pompiamo” o qualcosa di peggio, riferendosi al presidente.

Questi tifosi sono tornati in patria con un volo charter di una compagnia aerea nazionale, mentre i giocatori di basket sono stati costretti a rientrare con un volo di una compagnia straniera. Qualcuno ha evidentemente pensato che non meritassero di meglio, essendo stati eliminati agli ottavi di finale (un fiasco per la Serbia).

I tifosi patrioti sono rientrati di corsa nel paese per un altro importante compito. Durante la partita di calcio tra Serbia e Inghilterra a cui abbiamo accennato prima, la stragrande maggioranza del pubblico ha gridato “pompiamo”, accompagnando lo slogan con raffiche di insulti rivolti al presidente. I tifosi di regime avevano il compito di fermare il pubblico ribelle, così ad un certo punto, a comando, si sono precipitati nella tribuna ovest dello stadio, riservata perlopiù a genitori con i figli, iniziando a picchiare i presenti.

Il risultato: il pubblico ha lasciato lo stadio, molti cittadini sono determinati a non venire più a vedere la nazionale, mentre i delinquenti controllano le tribune e la polizia sta a guardare. Un’altra conseguenza è che la prossima partita della nazionale si giocherà a Leskovac, una cittadina della Serbia meridionale, dove, secondo le previsioni del regime, non ci saranno tanti blokaderi.

A mandare su tutte le furie il regime è anche il fatto che, durante un recente derby con la Crvena Zvezda, i tifosi del Partizan hanno sostenuto gli studenti, intonando cori contro Vučić.

Un altro episodio paradigmatico è quello di una conferenza stampa convocata da Vučić a mezzanotte, dopo l’ennesimo intervento della polizia a Novi Sad. Pur essendo ormai consuetudine che il presidente si rivolga alla nazione quando vuole, parlando per diverse ore, ponendo domande e rispondendosi da solo, questa conferenza è stata insolita.

Forse perché le sue giornate sono lunghe e impegnative, forse perché ha molti problemi, ma quella notte il presidente ha fatto fatica a formulare frasi, tranne quando si è rivolto più volte agli eurodeputati del Partito Verde presenti alla protesta di Novi Sad definendoli “feccia umana”.

Il giorno successivo, Vučić si è scusato per aver usato quel termine, precisando di avere un’opinione ancora peggiore degli eurodeputati in questione. È così che si scusa il nostro presidente.
Panorama mediatico

Anche il panorama dei media in Serbia assomiglia al teatro dell’assurdo. La leadership al potere sembra decisa a chiudere i pochi media indipendenti rimasti.

Recentemente è trapelata la registrazione di una conversazione tra Stan Miller, direttore di United Group (che possiede le emittenti televisive indipendenti N1 e Nova) e Vladimir Lučić, direttore di Telekom Srbija. Durante la conversazione, Miller dice a Lučić di essere disposto a dargli una mano per chiudere suddetti media, specificando però di avere bisogno di un po’ più di tempo per farlo.

Intanto, alcune emittenti di regime, come Pink e Hepi – le tradizionali roccaforti mediatiche del partito di governo – sembrano sfuggire al controllo.

Predrag Ranković Peconi, controverso imprenditore e proprietario di TV Hepi, ha consentito la messa in onda di un notiziario in cui il presentatore ha commentato una foto di una protesta studentesca affermando che erano presenti molte persone.

Quindi, il proprietario di un media allineato ha osato infilare una notizia oggettiva – cosa che ha infastidito il regime – così esprimendo però la sua rabbia perché improvvisamente, dopo decenni di evasione, gli hanno chiesto di pagare le tasse.

Anche Željko Mitrović, proprietario di TV Pink, un’altra emittente a copertura nazionale, che non paga le tasse da anni, peraltro stretto collaboratore di Vučić, è stato recentemente criticato per non essersi impegnato a sufficienza nella difesa della figura e delle azioni del presidente.

Nel XXI secolo, in Serbia, nel cuore dell’Europa, ci sono molti prigionieri politici da tempo ormai rinchiusi in carcere illegalmente.

Questa è l’immagine della Serbia di oggi.