La Serbia e Montenegro verso l’UE
La recente approvazione dello studio di fattibilità ha portato una ventata di ottimismo in Serbia e Montenegro. Benché ci sia motivo di festeggiare il successo, la strada per l’UE è ancora tutta in salita. Ne parliamo con Jovan Teokarevic
Jovan Teokarević è docente presso la Facoltà di Scienze politiche di Belgrado, direttore del Centro per l’integrazione europea di Belgrado (BeCEI) e direttore della rivista mensile Evropski Forum.
Il 25 aprile il Consiglio dei ministri dell’UE ha approvato lo studio di fattibilità per la Serbia e Montenegro. Che importanza ha avuto per il Paese? Ci sono motivi per festeggiare o è ancora troppo presto?
Benché lo studio sia solo il primo, e più che altro simbolico, passo verso l’integrazione nell’UE, comunque ci sono motivi per festeggiare. Il motivo principale è il contesto in cui ciò accade, ossia il fatto che, insieme con la Bosnia Erzegovina, la Serbia e Montenegro è in modo evidente ai margini delle integrazioni europee nella regione. Sicché ogni passo nella giusta direzione, e in particolare questo passo, che include il consenso sia della Commissione che del Consiglio dei ministri dell’UE sulla prospettiva europea della Serbia e Montenegro, significa molto. Niente riesce di più del successo e questa – sia in senso psicologico che politico – sarà una svolta importante per la Serbia e Montenegro. Rinforzerà e incoraggerà immediatamente tutte le forze filo europee e filo democratiche, almeno nella misura in cui riusciranno a marginalizzare quelle contrarie, come i socialisti e i radicali.
Dal momento che la collaborazione con il Tribunale dell’Aja era la condizione principale per l’approvazione dello studio di fattibilità, pensi che la strategia adottata da Kostunica con le consegne volontarie, alla fine sia risultata vincente, nonostante ci siano ancora dei latitanti, tra i quali Ratko Mladic?
La strategia di Kostunica è andata a buon fine – è riuscito a convincere la gente che con l’Aja bisogna collaborare – ma questo positivo cambio di politica doveva essere fatto molto, molto tempo prima.
Il premier della Serbia considera la positiva conclusione dello studio di fattibilità come il maggior successo del lavoro svolto nel corso dell’ultimo anno dal suo governo. Questo, ovviamente, è esatto, ma non si deve assolutamente perdere di vista che il successo è stato raggiunto solo dopo che questo governo ha modificato la propria politica originaria, cioè solo dopo che al posto della non collaborazione si è rivolto verso la collaborazione con il Tribunale dell’Aja. Il parere positivo da Bruxelles è stato possibile solo quando l’Aja da ultima preoccupazione del premier è diventata la prima. Quindi il governo va lodato perché finalmente si comporta in accordo con la legislazione locale, con gli obblighi internazionali e con i più alti interessi nazionali.
Il governo in carica, invece, in nessun modo può essere affrancato dalla responsabilità per il precedente anno, perduto in una politica contraria a quella che adotta adesso, perduto nelle numerose, e tutt’altro che evidenti, illusioni sulla possibilità di risolvere diversamente il problema dell’Aja, oppure pensando che semplicemente poteva dissolversi, come se non ci fosse mai stato. Sia all’opinione pubblica locale che all’Unione europea ora è chiaro che si poteva collaborare anche prima col Tribunale dell’Aja, e che semplicemente non si è voluto, molto probabilmente a causa delle tenaci convinzioni dei più forti partiti di governo, cosa che per una parte della nostra società è un motivo di ammirazione, mentre per l’altra parte, è un grande motivo di preoccupazione.
Dal punto di vista di Bruxelles ciò significa che i positivi cambiamenti di Belgrado sono stati lodati e simbolicamente appoggiati con la conferma della fattibilità di successivi negoziati, ma anche che non ci saranno ulteriori crediti da questo versante.
Quanto rischia la Serbia e Montenegro di finire come la Croazia, che in dirittura di arrivo all’UE si è trovata la strada bloccata a causa della mancata consegna di Ante Gotovina?
La dura posizione dell’UE nei confronti della Croazia si riferisce perlopiù proprio a questo. I negoziati con la Croazia per un suo ingresso nell’Unione non sono iniziati il 17 marzo, come era previsto, perché il generale Gotovina non è stato consegnato all’Aja. Ciò è accaduto nonostante l’evidente sostegno alla Croazia di alcuni membri dell’UE e di molti deputati del Parlamento europeo. L’Unione però ha adottato un principio unico, che vale tanto per la SM che per la BiH, ma anche per la Turchia, intese come lenti corridori nella gara europea. La consegna volontaria dell’ex premier kosovaro Haradinaj all’Aja ha dissipato ulteriormente le possibilità della Croazia, della Serbia e degli altri di questo gruppo, di pensare di poter far finta di niente.
Per noi la conseguenza più importante di questa nuova situazione sarà che il debito con l’Aja dovrà essere pagato fino in fondo. Sono incoraggianti le recenti dichiarazioni del premier che confermano una prontezza per far sì che ciò accada, ma per il giudizio finale dei nostri cittadini e di Bruxelles, cioè per gli ulteriori passi verso l’integrazione europea, si dovrà aspettare ancora un po’, vale a dire vedere quali saranno le reali intenzioni politiche e di lungo termine di questo governo. Per dirlo in altre parole: si tratta di una strategia a lungo termine o di una tattica a breve termine?
Oltre agli ovvi aspetti psicologici, la positività data allo studio di fattibilità in concreto cosa porta alla Serbia e Montenegro? Penso agli aspetti economici e a quelli più prettamente politici…
I più spendibili saranno gli effetti indiretti. Sia la Serbia che il Montenegro, ossia i rispettivi governi, utilizzeranno questa occasione per rinforzare il consenso sociale (tra i cittadini) e quello politico (tra i partiti) sull’integrazione europea. Inoltre, si presterà molta più attenzione, rispetto a quanto fatto fino ad ora, alle organizzazioni amministrative per l’integrazione (che è forse l’aspetto più importante, ma che in questo momento manca di più). Gli uffici per l’adesione all’UE sia in Serbia che in Serbia e Montenegro, cioè compreso il ministero in Montenegro, sfrutteranno sicuramente questa occasione per ottenere una maggiore importanza e in qualche modo una loro priorità. Questo sarà possibile per la prima volta, perché adesso – in particolar modo in Serbia – gli stessi presidenti e vicepresidenti di governo spingeranno per l’integrazione, a differenza delle posizioni piuttosto disinteressate dimostrate fino ad ora. In un tale contesto l’enorme lavoro che attende la Serbia e Montenegro inizierà a svolgersi finalmente in modo più serio, e sarà possibile (cosa che spesso ripeto sulla mia rivista Evropski Forum) anche avanzare una concreta responsabilità del governo per gli affari europei. Anche se questo poteva essere fatto tempo fa: ad esempio, la Risoluzione sull’avvicinamento all’UE, che il Parlamento della Serbia ha adottato nell’ottobre dello scorso anno, prevede che il governo consegni 4 volte all’anno un rapporto su quanto è stato compiuto per l’integrazione e cosa dovrà essere fatto. Finalmente, oggi, si presenta l’occasione per far sì che i parlamenti, ed in particolare i comitati per l’integrazione europea, aderiscano in modo deciso all’intero processo, perché loro hanno un’enorme importanza: davanti a noi c’è l’armonizzazione della legislazione, a cui si dovrà lavorare in modo intensivo nei prossimi anni.
Quali sono i maggiori ostacoli della Serbia e Montenegro sulla strada verso l’UE?
I nostri maggiori ostacoli sono specifici, la mancanza degli standard in riferimento agli stati dell’Europa centrale e dei Balcani orientali e si riferiscono soprattutto agli statuti costituzionali non definiti, cioè alle questioni costituzionali. L’indeterminatezza riguardo le costituzioni del Montenegro e del Kosovo potrà danneggiare in molti modi il processo di integrazione europea. Solo degli stati interamente definiti, e ciò nel senso dato dal diciannovesimo secolo (con la classica piena sovranità sull’intero territorio) potranno negoziare con l’Unione europea, ossia attendersi una piena adesione. Non sono così sicuro che a breve avremo una situazione chiara (come pensano per esempio molti Albanesi e Montenegrini). Anche se nei prossimi mesi sarà adottata una qualche soluzione, la sua accettazione (almeno per quanto riguarda il Kosovo) sarà molto probabilmente rimandata fino all’accoglienza nell’UE. Così come noi dobbiamo imparare come diventare parte dell’UE, terminando la costruzione del nostro stato, anche l’UE sembra che debba imparare ad essere una "state and nation builder".
L’altro grande ostacolo è la stagnazione economica dell’intera regione, ed essa potrà essere diminuita – come molti suggeriscono – già dal prossimo bilancio dell’UE (2007-2013), con l’apertura di completi programmi di preaccesso per la SM, la BiH, la macedonia, l’Albania, nel modo in cui è ora previsto per la Turchia e la Croazia (e fino a quella data per la Bulgaria e la Romania).
Qual è secondo te la data più probabile per la fine del processo di integrazione della Serbia e Montenegro, sempre che passo dopo passo il Paese rispetti tutti gli obblighi previsti?
Tra gli ottimisti che fanno riferimento al 2010 e i pessimisti che non si attendono l’adesione all’UE prima del 2020, io sarei più realisticamente orientato per la metà di questo decennio. In questa variante, avremo a disposizione un intero decennio, all’incirca il tempo che hanno avuto gli altri stati che lo scorso anno sono entrati nell’Unione europea. La variante migliore sarebbe il 2014, anno in cui l’intero spazio dei Balcani occidentali potrebbe diventare parte dell’UE, e lo dico per due motivi. Dal punto di vista simbolico, si concluderebbe un secolo di guerre e conflitti, iniziato proprio nei Balcani con la Prima guerra mondiale. Dal punto di vista pratico, per quella data sarà presentato il nuovo bilancio dell’Unione europea e l’ideale sarebbe che tutti i Paesi balcanici sapessero in anticipo se sin dal primo giorno della loro adesione potranno far conto su una loro parte di bilancio.