La Serbia e il nucleare
Il nucleare e l’Europa, un rapporto travagliato che conosce improvvise ondate d’amore e lunghe pause di sospetto e riflessione. Un’analisi del dibattito in corso in Serbia tra favorevoli e contrari all’energia nucleare.
Se in Italia le recenti dichiarazioni di Berlusconi hanno riaperto un dibattito che sembrava congelato dai tempi di Černobyl e del referendum che mise fine alla "via italiana" al nucleare, in questi anni nei Balcani il tema del nucleare è spesso al centro dell’attenzione. Slovenia e Croazia, ad esempio, si sono trascinate in lunghe polemiche prima di raggiungere un accordo sulla centrale di Krško, mentre uno dei nodi ancora irrisolti nelle trattative tra Bulgaria e Unione Europea riguarda la richiesta avanzata da quest’ultima di chiudere la centrale di Kozloduj, considerata antiquata e pericolosa.
Ora il nucleare torna di attualità anche in Serbia, come testimonia un lungo dossier apparso nelle scorse settimane sul quotidiano belgradese "Politika".
Una centrale a Požarevac?
C’è un futuro nucleare per la Serbia? A prima vista sembra una domanda del tutto accademica, visto che nel "Piano strategico per lo sviluppo energetico fino al 2015", approvato all’inizio di dicembre dal governo di Belgrado ed attualmente sottoposto all’approvazione del parlamento, sul nucleare non si trova una sola parola.
Eppure da alcuni mesi a questa parte in Serbia continuano a girare voci sulla decisione, che sarebbe stata presa in gran segreto dal governo, di costruire una centrale nucleare, arrivando a speculare addirittura sulla sua dislocazione. Secondo alcuni, infatti, sarebbe già stato deciso che la nuova centrale sorgerà sul corso del Danubio, vicino alla città di Požarevac.
Sebbene queste voci non abbiano trovato alcuna conferma, il nucleare sembra essere entrato prepotentemente nel dibattito sul futuro energetico del paese.
Maja Perović e Stanko Stojiljković, hanno dato vita ad una lunga ed approfondita inchiesta su questo tema, apparsa lo scorso dicembre in quattro puntate sulle pagine di "Politika".
Nucleare sì, nucleare no
Sulla questione del nucleare, scrive il quotidiano di Belgrado, in Serbia si sono formati da tempo due partiti contrapposti. Da una parte gli scienziati dell’Istituto di Scienze Nucleari "Vinča", fautori della costruzione della prima centrale atomica, dall’altra gli esperti dell’EPS "Elektro Privreda Srbija", la società elettrica nazionale, che sostengono invece la costruzione di nuove centrali idroelettriche e termiche.
"Se il nostro tasso di sviluppo ci consentirà di raggiungere nei prossimi anni i livelli di Grecia, Slovenia e Ungheria, avremo bisogno di dieci volte più energia di oggi", ha dichiarato a "Politika" il professor Krunoslav Subotić, dell’istituto "Vinča". "Saranno necessari due kilowatt pro capite", ha aggiunto Subotić, " per un aumento totale di circa 10.000 megawatt. Come assicurare questa fornitura?". L’energia nucleare è economica, sostengono gli scienziati del "Vinča", è una fonte più pulita di quella fornita dai combustibili fossili ed è relativamente sicura.
"Nel raggio di cento chilometri dalla termocentrale "Nikola Tesla" di Obrenovac, (la più grande del paese) cadono ogni anno 326 chili di anidride solforica per chilometro quadrato", ha detto preoccupato ai giornalisti il professor Ilija Plećaš, dello stesso istituto. "Degli scienziati canadesi hanno stabilito che 30 chili l’anno per chilometro quadrato sono sufficienti a parlare di catastrofe ecologica, questo significa che intorno alla centrale di Obrenovac si può parlare di ben undici catastrofi l’anno!".
Le termocentrali attualmente in funzione in Serbia sono vecchie, con un’età media di oltre 20 anni, e la Banca Europea per la Ricostruzione ha previsto una spesa di 30 milioni di euro nei prossimi tre anni per limitare l’impatto dei vecchi impianti a carbone sulla salute dei cittadini, universalmente considerato pesante.
Prendere in considerazione l’energia nucleare, concludono allora gli scienziati del "Vinča", rimane la soluzione più sensata sul lungo periodo.
Colpo di scena
Se la comunità scientifica serba sembra pronta ad aprire una discussione sull’energia nucleare, la legislazione del Paese riserva però ai profani una sorpresa: in Serbia la costruzione di una centrale atomica è contro la legge!
Era il 1989 quando la morente Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia sottoscriveva insieme a pochissimi altri paesi il memorandum sul nucleare, vietando sul proprio territorio la costruzione di centrali atomiche e di strutture per la produzione e l’arricchimento del combustibile nucleare.
La legge è passata poi alla "piccola Jugoslavia", per arrivare infine all’Unione di Serbia e Montenegro, mantenendo intatta sia la validità che le pene previste per i trasgressori: da sei mesi a cinque anni di reclusione.
Gli scienziati dell’Istituto di Scienze Nucleari "Vinča" sostengono che questa legge abbia arrecato molti danni alla Serbia, impedendo una discussione approfondita sull’argomento e destinando ad una lenta agonia interi settori tecnici e scientifici. Proprio ultimamente però il ministero dell’energia ha confermato che la legge non può essere elusa, visto che è inserita nella stessa carta costituzionale dell’Unione di Serbia e Montenegro.
Nucleare quanto ci costi?
Un ulteriore ostacolo alla costruzione di una centrale nucleare, sottolineata anche nel "Piano strategico per lo sviluppo energetico" è la mancanza di fondi sufficienti a coprire il grande investimento iniziale che tali strutture comportano.
Per fare un esempio, è proprio degli ultimi giorni la notizia, apparsa sul "Dnevnik" di Sofia, che la centrale nucleare di Belene, attualmente in costruzione nella vicina Bulgaria per rimpiazzare il vecchio impianto di Kozloduj, costerà molto di più dei 2 miliardi di leva (un miliardo di euro) inizialmente previsti, e che prima del 2011, anno della prevista entrata in funzione, "inghiottirà" più del doppio dal budget statale.
Interpellato dai giornalisti di "Politika" il direttore dell’ "Elektro Privreda Srbija", Ljubo Maćić sostiene che, visti i costi, per colmare il fabbisogno mancante la strada giusta sia quella di costruire una nuova termocentrale a carbone dalla potenza di 800 megawatt.
Questa scelta sembra dettata anche dalla natura delle riserve energetiche serbe. Infatti queste sono costituite per appena l’1% da combustibili "nobili", come gas e nafta, mentre il restante 99% è costituito da diverse qualità di carbone, prima fra tutte quella meno pregiata, la lignite ( 92% delle riserve complessive) che dovrebbe garantire il futuro della nuova centrale per i prossimi cinquant’anni almeno, anche senza contare i giacimenti del Kosovo.
Ristrutturazione globale
Che la centrale di Požarevac diventi o meno una realtà, il sistema energetico serbo sarà presto investito da una ristrutturazione profonda, che è già iniziata. Per la metà del 2005 è infatti prevista la firma di un trattato internazionale che dovrebbe segnare l’applicazione del Memorandum di Atene, sottoscritto dai paesi della regione nel novembre 2002 e rinnovato l’anno successivo, che prevede la creazione di un Mercato Regionale dell’elettricità nei Balcani con l’introduzione degli standard dell’Ue e la creazione di agenzie indipendenti che controllino il settore.
A sostegno di questo progetto la Banca Mondiale ha approvato il 27 gennaio scorso un prestito di un miliardo di dollari. Nel frattempo alcuni miglioramenti in Serbia sono già visibili: i black-out che fino a qualche anno fa erano la norma sono diminuiti, è stato introdotto un nuovo sistema tariffario e anche l’importazione di energia è calata significativamente, e a novembre e dicembre 2004, i due mesi più freddi dell’anno, si è fermata a 70 milioni di kilowatt/ora.
Vedi anche: Belene: da lager a centrale nucleare