La Serbia e il Nobel
Il 10 dicembre scorso alla cerimonia di assegnazione del Premio Nobel per la pace al dissidente cinese Liu Xiaobo, la Serbia non avrebbe voluto esserci. Questa era l’intenzione del ministro serbo Vuk Jeremić. Poi però, sotto il peso del biasimo generale, Belgrado ha fatto marcia indietro
All’inizio le autorità di Belgrado avevano annunciato che la Serbia non avrebbe inviato un suo rappresentante alla cerimonia del premio Nobel assegnata al dissidente cinese Liu Xiaobo, che sta scontando una pena a 11 anni nella prigione di Jinzhou, per “istigazione alla sovversione” e per aver promosso il manifesto ‘Carta’08, il documento favorevole alla democrazia firmato da 2000 cinesi. E che la decisione era stata presa da Vuk Jeremić, il ministro degli Esteri, senza alcuna consultazione con il presidente Boris Tadić che a sua volta dichiarava di non voler rilasciare nessun commento ufficiale visto che la sua opinione personale non coincide con la decisione di Jeremić.
Successivamente era anche stato sottolineato che i diritti umani sono una priorità della Serbia che spera di far parte dell’Unione europea, ma che la tutela dei rapporti con la Cina fosse ancora più importante.
Alla fine, dopo le dure critiche dell’Unione europea e la “incomprensione” di un gesto simile da parte di un paese che è candidato ad entrare nell’Ue, la Serbia ha fatto marcia indietro e ha inviato alla cerimonia l’ombudsman Saša Janković. Così, ancora una volta, si è venuta a creare una situazione in cui la Serbia si è presentata come un paese indeciso e diviso, fortemente influenzato dagli interessi economici e dagli alleati storici da una parte, ma anche dalla Unione europea dall’altra. Un paese che fa un passo avanti e due indietro. E che non sa da che parte stare.
Diritti umani sì, ma la Cina è più importante
Sin dallo scorso 8 ottobre il governo di Pechino, dopo aver definito la scelta operata dal Comitato per il Nobel un’“oscenità” nonché un’interferenza negli affari giuridici cinesi, aveva messo in atto pressioni politiche e ricatti economici a livello mondiale per far sì che in tanti disertassero la cerimonia.
Inizialmente i paesi che non avrebbero dovuto partecipare alla consegna erano 19, tutti “amici” della Cina e legati ad essa da interessi economici, tra i quali anche la Serbia. Il ministro degli Affari esteri serbi, Vuk Jeremić, aveva dichiarato che non ci sarebbe stato nessuno alla cerimonia perché anche se la Serbia presta un’attenzione particolare alla difesa dei diritti umani, i suoi rapporti con la Cina rappresentano uno dei primi interessi nazionali della politica estera di Belgrado.
“La Serbia presta grande attenzione al rispetto e alla difesa dei diritti umani che sono uno dei requisiti per l’integrazione del paese nell’Unione Europea, tuttavia i rapporti con la Cina sono troppo importanti e tutte le decisioni prese dalle autorità statali sono legate agli interessi nazionali del paese. La Cina è anche uno dei quattro pilastri della nostra politica estera, insieme a Russia, Usa e Unione europea”, aveva dichiarato il ministro serbo.
Questa sua decisione aveva diviso sia l’opinione pubblica sia i partiti politici in Serbia. Jelko Kacin, rapporteur del Parlamento europeo per la Serbia ha dichiarato che il paese si dimostra ancora una volta troppo “servile” verso la Cina e che un candidato per l’Unione europea non si può permettere un comportamento simile, manifestando a tal punto il proprio servilismo.
Critiche al comportamento della Serbia
Čedomir Jovanović, leader del partito serbo LDP, aveva interpretato la decisione di Jeremić come una vergogna per il paese.“Russia e Cina sono due potenze che il mondo accetta così come sono, ma non accetteranno mai una piccola Serbia grazie a questo comportamento ed anche la Cina non ci apprezzerà di più per questo gesto”, sottolineava Jovanović. Critiche alla decisione di Belgrado di disertare la cerimonia sono venute anche dal Comitato dei giuristi per i diritti umani (Yucom), secondo il quale la Serbia, intendendo di boicottare la cerimonia, mostra di essere ancora lontana da una posizione di autentico rispetto dei diritti umani e dei valori caratteristici delle società europee moderne e democratiche.
Laszlo Varga, Presidente della Commissione per l’integrazione europea dell’Assemblea nazionale serba, aveva definito la decisione della Serbia come catastrofica, aggiungendo che se la Serbia mira a far parte della comunità europea non dovrebbe mettersi al fianco dei paesi che in nessun modo rispondono ai criteri di paesi democratici. “E’ un messaggio estremamente negativo” aveva sottolineato Varga, ribadendo che “in Serbia non è ancora maturata l’idea che l’Ue non è solo un’unione economica ma soprattutto un’unione di valori”.
Štefan Füle, Commissario europeo per l’allargamento e la politica europea di vicinato, si era dimostrato preoccupato e deluso per la decisione della Serbia perché tutti i paesi dell’Unione europea avrebbero partecipato alla cerimonia. Invece il capo della delegazione per i Balcani del Parlamento europeo, Eduard Kukan riteneva che il boicottaggio del premio Nobel, come anche l’ultimo rapporto sulla “non collaborazione” della Serbia con il tribunale dell’Aja, sono solo delle informazioni negative che arrivano a Bruxelles. Con una nota Bruxelles, infatti, aveva ricordato a Belgrado che democrazia e diritti umani sono valori fondanti del Vecchio continente, da tutelare ovunque nel mondo.
“In Europa ci sono dei valori. Chi non li rispetta, non può farne parte”, forse è proprio questa dura posizione di Bruxelles nei confronti dei paesi che avrebbero boicottato la cerimonia, che alla fine ha spinto Serbia a mandare il suo rappresentante. Il primo ministro Mirko Cvetković aveva deciso l’invio dell’ombudsman dopo essere stato a Bruxelles per incontrare alti esponenti dell’Ue. “Spero che la Cina capirà che sono stato alla cerimonia non per portare un messaggio politico ma perché i diritti umani e la democrazia sono importanti per la Serbia”, ha dichiarato Saša Janković.
Addio Jeremić?
Il settimanale “Vreme” scrive che Belgrado ancora una volta si è dimostrata poco seria e soggetta alle pressioni di tutti: da una parte Bruxelles per quanto riguarda la risoluzione sul Kosovo davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e dall’altra la Cina, quando c’è qualcosa che non piace a Pechino. E poi, aggiunge il settimanale belgradese, “E’ poco serio che la Serbia prima non voglia partecipare alla cerimonia ma alla fine accetti, con l’ombudsman Saša Janković che era lì come emissario personale del premier Mirko Cvetković e non in qualità di rappresentante ufficiale dello Stato. Così si crea l’immagine di un paese che ancora una volta non sa cosa vuole.”
Il 18 dicembre in Serbia ci saranno le elezioni nel Partito democratico (Ds). Il leader democratico e presidente, Boris Tadić, ha ripetuto tante volte di non essere soddisfatto del lavoro di alcuni ministeri e che è urgente ridimensionare il governo. Le ultime notizie che arrivano da Belgrado confermano l’intenzione di Boris Tadić di sostituire Jeremić per “aver preso decisioni importanti per il paese senza prima consultarlo”.
“Si parla di una mia sostituzione da quando sono diventato ministro. Io sto solo facendo il mio lavoro e penso siano dannose queste speculazioni perché inviamo un segnale negativo al mondo e il messaggio è ancora una volta quello della mancanza d’unità sugli obiettivi e le priorità della politica estera della Serbia”, ha dichiarato Jeremić.
Si riscaldano così i vecchi stereotipi sulla Serbia come un paese che non ha abbastanza coscienza quando si tratta di diritti umani. E che vorrebbe far parte dell’Europa ma non è ancora pronta fino in fondo ad accettare i valori della comunità europea.