La Serbia dopo Djindjic
A distanza di un mese dall’omicidio Djindjic sono ancora parecchie le questioni in sospeso. Quella che segue vuole essere una riflessione distanziata sugli accadimenti in corso in Serbia, che ha più l’intento di sollevare domande anziché facili risposte.
In queste settimane trascorse dopo l’omicidio del premier serbo Zoran Djindjic, ho avuto parecchi colloqui e discussioni con amici sia dei Balcani che italiani sulla situazione attuale della Serbia. Devo dire con tutta onestà, che ho vissuto con una certa apprensione l’intera vicenda e la vivo tutt’ora dal momento che la Serbia ancora non è uscita dalla profonda crisi del dopo attentato. La tensione di queste settimane è stata indirizzata soprattutto alla ricerca di chiavi di lettura dell’omicidio, ma anche alla ricerca di un quadro di insieme in grado di sopportare un’analisi della situazione. Quella che segue, benché frammentaria, vuole essere una riflessione distanziata sugli accadimenti in corso in Serbia, che ha più l’intento di sollevare domande anziché facili risposte.
La Serbia reagisce
La Serbia affronta l’attentato al premier di governo in modo rapido con l’introduzione dello stato di emergenza. Lo scopo iniziale dichiarato è di sgominare un’intera rete criminale, mafioso affaristica, che è ritenuta responsabile dell’omicidio del premier. Nell’arco di un paio di settimane le notizie corrono veloci, malgrado e grazie alla censura imposta sui media. Censura che parte dei media stessi ha deciso deliberatamente di accettare. Numerosissimi arresti, si parla di migliaia di persone incriminate (oltre 7.000!). Le carceri sono piene zeppe ed emerge il problema del soprannumero. Il governo serbo presenta la cosa come la più imponente azione di lotta alla criminalità organizzata di tutti i tempi. I giornali mostrano quotidianamente intere liste di arrestati, appartenenti a gruppi o clan differenti. Anche se la maggior parte degli arresti riguarda il clan di Zemun, sospettato di essere direttamente responsabile dell’omicidio, una piccola percentuale dei fermati appartiene anche al clan di Surcin, fino a qualche tempo fa decisamente più conosciuto. Sembrano fugate in questo modo le obiezioni dell’opposizione, rivolte a mostrare come la giustizia dello stato di emergenza colpisca in una sola direzione. Tuttavia se è vero ciò che scrive l’International Crisis Group nel suo ultimo rapporto (28 marzo p. 4), e cioè che il clan di Surcin strizzava l’occhio al defunto premier, mentre il clan di Zemun era appoggiato dall’ex presidente Kostunica, le lamentele dei parlamentari di opposizione riguardo agli arresti risultano più comprensibili. Indipendentemente da ciò, rimangono le riserve sul tipo di condotta adottata dagli organi di polizia in Serbia.
Lustracija
La lotta alla criminalità organizzata rimane comunque solo un aspetto dell’attuale situazione in atto nel paese. In Serbia oggi si sta assistendo ad una ‘lustracija’, ossia ciò che dovrebbe essere un’epurazione dei quadri legati al vecchio regime, inseriti nella politica, nell’amministrazione, nei tribunali e negli apparati di polizia e dell’esercito.
Subito dopo l’attentato molti commentatori locali facevano riferimento in continuazione al 6 ottobre. L’importanza di questa data consiste nella ordinaria successione al 5 ottobre, con riferimento all’anno 2000, giorno in cui cadde Slobodan Milosevic e si formò il governo dell’ampia coalizione DOS. La tesi di fondo sarebbe che la Serbia, a distanza di oltre due anni, stia cercando di riprendersi il 6 ottobre, ossia un sostanziale cambiamento e una resa dei conti col passato.
Questo spiega per alcuni versi il consenso di buona parte dei cittadini ad accettare lo stato d’emergenza. Da parte di molti vi è un diffuso senso di sicurezza, di difesa dei diritti dei cittadini, nonostante sia in vigore lo stato d’emergenza. Buona parte della gente in Serbia considera lo stato di emergenza una sorta di necessità, un male minore per sconfiggere il vero male che ha affossato il paese per oltre dieci anni. Lo stato di emergenza e le disposizioni legali in esso contenute sono in questo momento, per molta gente, il sinonimo di lustracija, epurazione, pulizia dalla pesante eredità nazionalistica e belligerante, la stessa che si è nascosta sino ad oggi nel patriottismo di facciata e nei suoi miti ed eroi. Questo sentimento diffuso spiega inoltre perché molti commentatori non abbiano avuto riserve sullo stato di emergenza. Esso infatti prende la forma di una necessaria regolazione di conti in sospeso all’interno della politica e delle istituzioni serbe.
Nessuna riserva proviene inoltre dal settore non governativo. La maggior parte delle ONG ha caldamente accettato la proclamazione dello stato di emergenza, nella supposta convinzione che ciò possa portare a veri cambiamenti e ad un taglio netto con la politica dell’ultimo decennio. Solo alcune organizzazioni internazionali, tra cui Human Rights Watch e l’Associazione di giornalisti indipendenti SEEMO e IPI hanno posto l’accento da un lato sulle privazioni delle libertà fondamentali degli arrestati e dei cittadini in genere e dall’altro sulla limitazione della libertà di stampa (Vedi: Osservatorio sui Balcani 24 e 26 marzo).
L’annuncio recente della costituzione di una commissione di controllo dei media, su un arco di tempo che copre gli ultimi due anni, con la motivazione di individuare coloro che hanno creato una "atmosfera di linciaggio" nei confronti del premier e del governo e stabilirne gli eventuali collegamenti con la criminalità organizzata, proposta dal MUP (Ministero dell’Interno) e accolta e diretta dal Ministero dell’Informazione, ha dato vita a qualche disapprovazione, sia da parte di alcuni media (Ekonomist, 7 aprile), sia della NUNS (Associazione dei giornalisti indipendenti della Serbia). La commissione sembra essere stata cassata sul nascere, il Ministro dell’informazione ha spiegato che si è trattato di un disguido, ma che comunque il Ministero della Cultura "proseguirà le attività di indagine sul lavoro dei media in accordo con le sue competenze" (Beta 4 aprile).
Proteste di altro tipo sono giunte dal Fondo per il diritto umanitario di Natasa Kandic (‘Danas’, 3 aprile). Quest’ultima, in una lettera aperta indirizzata al presidente federale Svetozar Marovic, ha espresso il disappunto, ampiamente e minuziosamente motivato, per la scelta di Stojanovic a capo del KOS (Direzione dei servizi di sicurezza) al posto del recentemente destituito e arrestato Aco Tomic: il neonominato Stojanovic è accusato di avere preso direttamente parte a gravi crimini durante la guerra del Kosovo.
Voci critiche
A questo punto mi sia concesso dar voce ad uno degli intellettuali serbi più noti e brillanti, spesso in largo anticipo con le valutazioni sugli accadimenti del suo paese. Si tratta di Filip David, in una citazione tratta dal settimanale Blic News del 24 luglio 2002. Dice David, riferendosi al suo paese: "Temo le malversazioni. Da noi le leggi sono il problema minore, il problema vero è chi le emette. In situazioni politiche instabili e straordinarie, un partito o un politico autoritario possono utilizzarle per perseguire chi ha idee differenti. Noi abbiamo questo tipo di esperienza, siamo una società instabile. Chi è colui in grado di garantire che il meccanismo di controllo sia efficace?".
La frase non necessiterebbe di commento, tuttavia è stata scritta quasi un anno fa, quindi in modo evidente non si riferisce alla situazione attuale. Ciò nonostante è una frase che fa riflettere. Viene spontaneo chiedersi: chi sta guidando oggi la Serbia? Alcune ricerche hanno mostrato che gli uomini forti del governo serbo non possono vantare di essere immacolati. Dal traffico di armi della Jugoimport, azienda a cui vertici sedevano il neo premier e l’intramontabile ministro dell’interno, ai trascorsi con Milosevic del nuovo capo di stato maggiore. Ma se questo non bastasse, va ricordato che attualmente la Serbia non ha un Presidente della Repubblica, perché non ancora eletto, non dispone di una costituzione, essa stessa è in fase di realizzazione e secondo le promesse del governo verrà sottoposta al vaglio dei cittadini, non dispone ancora di una legge approvata sul servizio informativo pubblico e sulle competenze delle emittenti radio televisive. Non da ultimo c’è il grosso problema dei tribunali locali. Fino ad ora non sono riusciti a concludere molto, il caso più emblematico lo si trova nel rilascio del camionista (un criminale con tanto di dossier sul suo conto) che ha attentato alla vita del premier solo tre settimane prima dell’attentato che gli ha tolto la vita.
L’apparente lustracija in atto tuttavia sembra procedere a senso unico e rischiare di essere tutt’altro che un’epurazione. Il settimanale ‘Vreme’, dopo una lunga pausa all’ombra dello stato d’emergenza, finalmente pubblica il 27 marzo un paio di articoli critici sullo stato di emergenza e sui cambiamenti che lo accompagnano. In particolare viene focalizzata l’attenzione sull’epurazione nei tribunali. Su che base viene condotta la lustracija nei tribunali? La prima cosa da notare è che alcuni dei giudici dimissionari sono anche coloro che condividevano la lustracija nel settore della giustizia. Finalmente qualcun altro inizia ad avere dei dubbi su quanto sta accadendo in Serbia. Dopo quasi un mese dall’omicidio anche alcuni media internazionali sollevano qualche riserva sulla condotta dello stato di emergenza.
Alcune riserve
Le riserve che intendo sollevare non riguardano il punto di vista del singolo cittadino, che forse in questo momento inizia a fidarsi di più degli apparati del potere ed a sperare in un vero cambiamento, ma il modo in cui vengono condotti questi cambiamenti. Le domande che potrebbero essere poste sono all’incirca le seguenti: siamo sicuri che non ci sarà un’altra cerchia di intoccabili al potere in Serbia, anche questa volta col beneplacito della comunità internazionale? Siamo sicuri che la lustracija porterà ad una resa dei conti coi crimini di oltre un decennio? Saprà mai la Serbia chi sono i colpevoli dei camion frigoriferi colmi di cadaveri? Ci sarà mai un vero confronto col passato, quel confronto generale che tanto hanno desiderato le organizzazioni umanitarie non governative che in questo momento sembrano mute? Possiamo pensare che un’ampia fetta della società serba abbia accettato come una sorta di ipoteca questa promessa dell’attuale governo, ossia voltare pagina e diventare finalmente un paese democratico? Questo è certo ciò che desiderano gli amici d’oltre mare e che da tempo avevano smesso di sperare. Ma chiediamoci ancora, si diventa un paese democratico nell’arco di un mese al comando dello stato d’emergenza? Conosceremo mai le mire politiche che si celano dietro l’omicidio Djindjic? Anche se un certo Zvezdan Jovanovic ha confessato di essere stato l’esecutore materiale dell’assassinio del premier, cosa c’era sotto? Tutti sappiamo chi fu accusato per l’omicidio Kennedy, ma sappiamo chi lo uccise veramente?
Alcuni fatti
Ciò che possiamo, invece, vedere e dire con una discreta certezza è quanto segue: dopo l’omicidio di Djindjic la Serbia ha subito una forte spinta in avanti. Il Consiglio d’Europa ha accettato il paese come membro ufficiale insieme con il Montenegro, da più parti arrivano aiuti economici, la borsa di Belgrado, anche immediatamente dopo l’omicidio, regge, le privatizzazioni subiscono un’accelerazione con la pubblicazione dei tender per le aziende del tabacco di Nis e Vranje e l’imminente privatizzazione della Beopetrol, imprese americane comprano le aziende serbe in liquidazione (la US Steel ha acquistato l’acciaieria Sartid in barba alle proteste dei banchieri tedeschi che vi avevano investito parecchio denaro), la Jugoimport commercia ancora in armi (la stampa serba prima dell’attentato la dava come rappresentate alla fiera internazionale di armi di Abu Dabi) e la Zastava si prepara a fabbricare armi per il mercato americano e per i paesi della NATO (la fabbrica di Kragujevac sta mettendo a punto un fucile calibro 5.65 in dotazioni ai soldati NATO) con il probabile aiuto di alcune aziende internazionali del settore.
Ciò che un po’ a tutti interessa è cercare di sbloccare la situazione economica della Serbia, cosa che potrebbe agevolare di parecchio lo sviluppo dell’intera regione balcanica. Tutta la grande partita della costruzione e ricostruzione delle strade (parte sul corridoio 10) si sta materializzando in questo momento. Campo aperto lo si può trovare inoltre nei settori edili, assicurativi, bancari, alimentari, ecc. Insomma l’impressione è la seguente: un premier è morto, la gente lo ha fatto santo e i politici martire, la comunità internazionale è solidale col nuovo potere, che dire d’altro? il paese va a gonfie vele, sì ma verso cosa?
Più che curioso rimane poi questo fatto: dalle fila del partito del ministro della giustizia Vladan Batic (DHSS) viene invocato la riammissione della pena di morte, a qualche giorno dall’accettazione della membership nel Consiglio d’Europa! La dichiarazione, criticata da pochi, tra cui ancora il Fondo per il diritto umanitario, viene di seguito rimangiata dallo stesso ministro Batic.
E per concludere occorre dire che ormai sembra profilarsi di giorno in giorno un regolamento dei conti sia con i partiti di opposizione, alcuni dei quali vengono minacciati di interdizione, sia con alcuni media, diversi multati, alcuni proibiti e altri chiusi dopo l’arresto della direzione (un’ultima notizia riguarda l’arresto di due giornalisti del quotidiano montenegrino ‘Dan’, vicino alle posizioni del SNP di Bulatovic e vicino alle posizioni conservatrici e nazionaliste serbe, già vietato in Serbia per aver criticato lo stato d’emergenza). E’ vero, la maggior parte dei media interdetti ha assunto posizioni nazionalistiche e i partiti presi di mira non hanno mai eccelso in democrazia, ma che dire invece dello scontro tra il premier Zivkovic e il governatore della Banca Centrale Mladjan Dinkic (in parte eredità del defunto Djindjic)? Il premier serbo ha dichiarato durante un’intervista a B92 (7 aprile) che la Banca Centrale della Serbia (NBS) non esiste, che chiunque si presenti a nome di tale istituto sta mentendo, che il denaro stampato come NBS è falso. Immediate le reazioni di Dinkic e Labus. Da notare è che questi ultimi fanno parte entrambi del G17 plus, gruppo di economisti ora formazione partitica. Il premier Zivkovic ha avuto modo di prenderne in maniera brusca le distanze anche durante l’intervista rilasciata a B92. Si sta profilando uno scontro anche tra i DS e il G17 plus?
Dove va la Serbia?
La lustracija di cui dicevamo prima sembra, ed è sempre sembrata a chi scrive, una forza che cerca di levarsi di torno una opposizione politica conservatrice (spesso estremista e nazionalista), limitare la critica dei media nei confronti del governo, colpendo in questo modo soprattutto i media di opposizione. Anche in questo caso bisogna far notare che spesso questi media hanno assunto toni nazionalistici e belligeranti, ma ci chiediamo se li si può eliminare d’un colpo in base allo stato di emergenza? Esiste la possibilità che il Partito Democratico (DS) possa usurpare le funzioni di comando ed annullare i propri avversari politici?
Occorre ricordare che la classe politica che si sta rafforzando si muove in buona parte sulle basi legislative del regime di Milosevic, le stesse basi che hanno creato la possibilità al defunto Djindjic di avere così tanto potere politico nelle proprie mani. Ora non passa giorno che un rappresentante del governo non faccia cenno all’imminente introduzione di una nuova legge, del cambio della costituzione, della riforma del settore dell’informazione e del servizio pubblico. Cambiamenti necessari del quadro giuridico e istituzionale senza i quali non si può parlare di democrazia, ma al massimo per dirla con Matvejevic di mera ‘democratura’.
Finché questi cambiamenti non saranno attuati, non sarà facile digerire uno stato di emergenza che, se pur con rapidità e colpi di scena, lascia sempre spazio alla domanda sul suo cattivo uso. Cosa uscirà da questa trasformazione dello stato in Serbia resta da vedere, così come restano da vedere, allo scadere dello stato di emergenza, le reazioni e il comportamento tanto della stampa che dei politici, e non da ultimo dei semplici cittadini, dei lavoratori cui è stato negato il diritto di sciopero per oltre un mese, sempre che lo stato di emergenza termini prima della Pasqua ortodossa, come ha suggerito lo stesso premier Zivkovic.
Vedi anche:
Sulla stampa e l’informazione
– Alcuni aggiornamenti sul fronte dell’informazione in Serbia
– Stato d’emergenza in Serbia: cosa dicono i giornalisti indipendenti
– Human Rights Watch scrive al premier serbo Zivkovic
– Belgrade Press Consent to Censorship – IWPR
– IPI e SEEMO contro la pressione sui media durante lo stato di emergenza in Serbia
– Omicidio Djindjic: le reazioni della stampa serba
Traffici d’armi
– Zivkovic, la Jugoimport e i traffici d’armi con l’Iraq – Notize Est
– Dimissioni di Sarovic: sessione straordinaria della Assemblea della RS
– Bosnia: dimissioni di Mirko Sarovic
– Ultime novità sul caso ‘Orao’
Altri articoli correlati
– Risolto il mistero della scomparsa di Ivan Stambolic