La Serbia cinque anni dopo Djindjic
Il 12 marzo 2003 veniva ucciso davanti alla sede del governo serbo l’allora premier Zoran Djindjic. Il noto analista Vladmir Gligorov fa il punto sulla situazione del paese a cinque anni da quel drammatico e ancora poco chiaro episodio della storia serba
Di Vladimir Gligorov, Ekonomist, 10 marzo 2008 (titolo orig. «Političko ubistvo: cilj ili sredstvo»)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
A cinque anni dall’omicidio di Zoran Djindjic manca ancora la risposta ad una domanda semplice: "Perché è stato ucciso?"
Gli esecutori sono stati condannati, ma non è stata rivelata la motivazione dell’omicidio. Come se quell’omicidio fosse stato il fine e non il mezzo. Un giudizio di questo tipo sarebbe insoddisfacente anche nel caso in cui non si trattasse di un omicidio politico. È ancora meno comprensibile che non esista una maggior pressione dell’opinione pubblica per chiarire quale fosse l’obiettivo politico che con l’omicidio del premier si sarebbe dovuti raggiungere.
Questa impreparazione si sposa con il rapporto che si ha nei confronti dei crimini politici che si sono radicati nella società serba durante gli ultimi venti anni. Osservato in modo obiettivo, tutto ciò può condurre, detto in modo blando, a conseguenze morali e politiche molto gravi. Il quinto anniversario dell’omicidio Djindjic è una buona occasione per farlo notare.
Perché è stato ucciso Djindjic?
Dalle conseguenze che ha avuto l’omicidio si può concludere che non ci siano valide spiegazioni sui motivi dell’omicidio. Motivi nel compiere l’omicidio potrebbero averli infatti avuti coloro i quali ne hanno tratto vantaggio. Questo, è evidente, assomiglia ad una spiegazione che si basa sulla teoria della cospirazione. Certo, ma un omicidio politico è sempre anche il risultato di una cospirazione. Anche a causa del modo in cui si conduce, ma anche perché si tratta di un mezzo per raggiungere obiettivi politici. È così per tutti gli omicidi, solo che con gli omicidi politici il cerchio dei cospiratori è maggiore e di certo non riguarda mai solo gli esecutori dell’atto criminale.
Ovviamente, motivo di uccidere il premier potevano averlo anche quelli che non hanno avuto alcun vantaggio.
Le conseguenze politiche non si possono sempre controllare, pertanto coloro i quali hanno tratto vantaggio non devono per forza essere anche quelli che dal vantaggio atteso hanno tratto il motivo per ordinare ed eseguire l’omicidio. Le cospirazioni possono anche fallire, anche quando l’omicidio riesce, come nel caso di Djindjic.
Da ciò si evince che si può conoscere la motivazione, ma non si sa chi siano i diretti interessati. La gente conosce la motivazione, nonostante una sorta di ulteriore chiarimento sia giunto con la recente dichiarazione del giornalista russo, il quale in una trasmissione televisiva ha detto di aver capito l’omicidio Djindjic: era un traditore e gli è arrivata la pena che si è meritato.
Ad un primo sguardo, con questo si confonde ancora il fine con il mezzo. L’omicidio non è stato una sanzione, ma il mezzo per realizzare il fine politico. Se poniamo tutto questo in un contesto politico, la strumentalizzazione di questo omicidio diventa chiara. La politica di Djindjic ha guidato il paese verso una direzione che, secondo i cospiratori, non avrebbe dovuto prendere. L’impiego di parole come "tradimento" e "traditore" mostrano che quella politica avrebbe potuto avere successo. Se la politica di Djindjic non fosse stata fermata, si sarebbe potuti arrivare al punto in cui non sarebbe stato più possibile tornare alla vecchia politica o andare in un’altra direzione, di una politica alternativa. Questo, quindi, è il motivo per cui quella politica è stata bloccata.
Ciò però non significa ancora che fosse necessario arrivare all’omicidio. Esistono anche altri mezzi politici. Il giornalista russo suggerisce che ciò non sia poi così importante: la pallottola era meritata, e a che serve adesso cercare un altro mezzo politico più complicato? Tutto fa pensare, però, che i cospiratori abbiano ritenuto che gli altri mezzi non fossero a disposizione o che portassero con sé un alto rischio di fallimento. Le elezioni sono chiaramente un mezzo per cambiare la politica, ma era iniziato a sembrare che con le elezioni non si sarebbe arrivati ai risultati desiderati se esse non si fossero tenute in circostanze eccezionali e straordinarie.
Da tutto ciò segue un calcolo: o creiamo il fine prendendo il potere subito dopo l’omicidio o alle elezioni dove gli elettori voteranno per la stabilità. Questo, sembra, è il motivo e la ragione per l’omicidio di Zoran Djindjic. Su questa base gli organi giudiziari, i magistrati e il tribunale dovrebbero confermare chi ha preso parte a questa cospirazione politica e criminale. Ma a ciò non si è arrivati nemmeno a cinque anni di distanza dall’omicidio, e non c’è segno che si vada in questa direzione.
Cosa si è ottenuto con l’omicidio?
La Serbia sarà ancora sulla strada che ha lasciato nel 2003.
Gli anniversari sono un’occasione per speculare su cosa sarebbe successo se non fosse successo quello che è successo. Una risposta sensata a ciò non è possibile. Di contro, si può sensatamente parlare delle conseguenze di questo omicidio politico.
Il fine principale è stato raggiunto: è stata mantenuta la continuità con la politica che si fa dalla metà degli anni ottanta del secolo scorso. La minaccia principale del governo Djindjic era, come abbiamo detto, che si arrivasse al tradimento. Col passare del tempo, si è fatto più evidente che si sarebbero abbandonate una per una tutte le caratteristiche della politica in cui è stato investito così tanto, non solo da un punto di vista politico ma anche finanziario. Ad un certo punto si sarebbe passata la linea rossa e tutte le élite politiche, intellettuali e finanziarie avrebbero dovuto fare i conti con la sconfitta definitiva e con grandi perdite. Ma il tempo è fluito molto velocemente.
Con l’omicidio si è bloccato quello sviluppo. In questo senso, è stato un successo. Il governo mutilato è riuscito a scoprire e ad arrestare gli esecutori materiali, o almeno alcuni di loro, ma non è riuscito a mantenersi al potere. La nuova costellazione politica, in varie combinazioni e coalizioni, ha abbandonato la politica del tradimento ed è tornata alla politica del patriottismo.
Quanto in tutto ciò siano stati importanti gli interessi personali e di partito, e quanto sia stato dovuto alla paura e all’opportunismo, resta da indagare. Le scienze sociali in Serbia non si occupano ancora di queste questioni, probabilmente anche perché il potere è riuscito molto bene ad imporre altre questioni come più scottanti, metaforicamente ma anche letteralmente.
Indubbiamente il prodotto più importante di questa politica è la Costituzione della fine 2006, con la quale è stata formalmente chiusa la via della politica di discontinuità. Tutti, individui e partiti che sono avanzati politicamente dopo il 2003, hanno preso parte alla sua stesura e alla sua adozione. Con questa costituzione è stata raggiunta la discontinuità con la politica incarnata da Djindjic ed è stata introdotta la continuità con la politica di Slobodan Milosevic.
Cosa non è stato raggiunto con l’omicidio?
Ciò che si sa dalla storia degli omicidi politici è che con essi non si ottiene la stabilità. Il cambiamento al potere è realizzabile, il cambiamento politico pure, ma, come vediamo in Serbia, la stabilità politica non c’è. Questo è un criterio più importante di quelli patriottici, quali sono il mantenimento dell’unità statale, la difesa del Kosovo e la dignità nazionale. È vero che l’unità statale è fallita, è vero che il Kosovo è diventato indipendente ed è anche vero che un paese che non è in grado di comportarsi in modo responsabile nei confronti dei crimini che sono stati compiuti in suo nome, compreso il non risolto omicidio del presidente del consiglio, non può aspettarsi di riottenere la propria dignità.
Ma questi non sono i motivi cruciali delle persone che sono al potere. Il fine più importante è l’ottenimento e il mantenimento del potere, ma per ciò è necessaria la stabilità. La stabilizzazione politica, però, in Serbia non c’è. Il primo governo dopo le elezioni del 2003 era un governo di minoranza ed è durato tre anni solo perché una instabilità maggiore minacciava il paese se il governo fosse caduto. Il governo che si è formato dopo le elezioni del 2007, praticamente non ha avuto un solo giorno di stabilità. Ed esso si mantiene continuamente producendo la minaccia di una stabilità ancora maggiore, e adesso ciò presuppone anche la possibilità di gravi conflitti sociali.
Questo dovrebbe essere chiaro a coloro i quali offrono appoggio ideologico a questo regime restauratore. Gli intellettuali che ci sono tra di loro conoscono bene gli esempi storici, tanto della storia internazionale che di quella serba, la quale ci insegna che con l’omicidio di un leader si danneggia solo la legittimità, ma non si ottiene né la stabilità né l’efficacia del potere. Qui non ci aiuta affatto il continuo persuadere che tutti loro sono patrioti e che si sentono sempre più gli attacchi contro i traditori. Ad un certo punto si capirà che tutta questa propaganda sul tradimento è una sorta di confessione sui nostri difetti.
Aspettando il decennale
Cinque anni dopo l’omicidio è chiaro che tutta quella élite politica che su di esso è cresciuta si è trovata in un vicolo cieco. Tenendo presente che tutto ciò è partito in modo innaturale e che al potere si sono mantenuti con l’astuzia e non con il sostegno e con le azioni, non è strano che si cerchi di mantenere il potere in modo innaturale. Il partito che ha avuto più vantaggio dall’omicidio Djindjic molto probabilmente non avrà alcun ruolo politico, appena si terranno le elezioni parlamentari.
Il partito che avrebbe potuto vincere, Partito radicale serbo, governerebbe a malapena, perché si confronterebbe con le gravi conseguenze economiche, e non si vede dove potrebbe trovare alleati, tanto ad est quanto ad ovest. Il Partito democratico non riesce a formulare un programma con cui potrebbe cercare il sostegno per la discontinuità rispetto alla politica che si è fatta dopo l’omicidio di Djindjic, perché si è impiegato attivamente alla sua creazione e al suo rafforzamento. Come può invitare allo stralcio degli obiettivi iscritti nella nuova costituzione e nelle numerose risoluzioni, quando esso stesso è uno degli autori della Costituzione?
Fa lo stesso, comunque si dimenino le persone e i partiti politici, nei prossimi cinque anni, quando sarà celebrato il decennale dell’omicidio, la discontinuità sarà introdotta e la Serbia si troverà sulla strada che ha abbandonato nel 2003. Solo che si saranno persi dieci anni.