La scuola Marubi

Insegnare a fare cinema ai giovani albanesi: è questo l’intento di Kujtim Çashku, regista e autore, tra gli altri, del film "Colonnello Bunker". Per farlo ha fondato la scuola cinematografica Marubi, di cui oggi è direttore, la cui sede si trova all’interno dell’ex Kinostudio di Tirana

06/11/2008, Artan Puto - Tirana

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Kujtim Çashku - foto di Andrea Pandini

Quando ha iniziato a lavorare nel mondo del cinema?

Una parte delle mie opere è stata prodotta durante il comunismo, ma la maggior parte del mio lavoro ha visto la luce nel periodo successivo. Altri registi hanno vissuto molto più di me quell’epoca, mentre a me sono toccati solo 12 anni. La mia generazione ha vissuto in due epoche e penso che questo sia una fortuna. O meglio, per un verso è stata una disgrazia, ma d’altro canto è anche una ricchezza, in quanto spesso le tragedie sociali sono materia di ispirazione per il cinema. Io non avrei potuto produrre il "Kolonel Bunker" se non avessi vissuto l’epoca della costruzione dei bunker in Albania durante il comunismo…

Qual era il modello proposto dal cinema albanese durante il comunismo?

Il modello era lo stesso che condizionava in generale tutta l’arte del realismo socialista, ovvero la creazione di eroi positivi. Questo era una sorta di cliché dei totalitarismi, l’eroe positivo veniva considerato come un esempio da trasmettere e veniva snaturato a un punto tale da perdere di veridicità.

C’erano influenze esterne che condizionavano il cinema albanese del periodo?

All’epoca il cinema albanese era influenzato da scuole diverse. Si tratta ovviamente delle scuole dell’est, quella russa, polacca, ceca, rumena, che portavano le loro esperienze in un terreno deserto quale era il nostro cinema…

C’è chi dice che vi sia stato un forte influsso del neorealismo italiano…

Non penso che ci sia stata una vera influenza del neorealismo italiano nel cinema albanese, se fosse accaduto sarebbe subito stato messo al bando. Il neorealismo rappresentava attraverso il cinema la vita reale, e addirittura coinvolgeva la gente comune nella realizzazione dei film, mentre da noi la realtà è stata "messa in scena" più che rispecchiata.

Come riuscivate a mantenere un equilibrio, dal punto di vista professionale, tra la passione nel fare film, la censura, la necessità di non oltrepassare il limite?

La censura e l’autocensura derivavano dalla macchina statale. Il potere della paura, esercitato dal partito, a volte rendeva più forte l’autocensura della censura. Era una macchina molto complessa, ma non vorrei parlare del passato. I tempi e le epoche si susseguono fondendosi, non possono essere distinti nettamente, vi sono dei meccanismi molto più lenti, politici o ideologici. Per un verso noi avevamo la censura politica e l’autocensura che da questa derivava, mentre oggi c’è la censura del denaro. Il quadro è molto complesso.

Cosa è avvenuto nel cinema albanese dopo il ’90?

Nel 1990 è stato istituito il Centro Nazionale di Cinematografia, sono state create case cinematografiche ed è stata introdotta la figura del produttore. Oggi, in uno scenario perfettamente occidentale, il 30% della produzione cinematografica viene finanziato dal Centro, il resto sono coproduzioni. Noi, come scuola Marubi, abbiamo 17 coproduzioni, partecipiamo a importanti festival del cinema internazionali, e abbiamo ottenuto dei riconoscimenti.

Com’è nata l’idea della scuola Marubi?

Ho voluto costruire una scuola di cinema proprio all’interno del Kinostudio, che era la sede della produzione cinematografica albanese durante il comunismo. Il Kino era ridotto in pessime condizioni, ma anche altri hanno iniziato a costruire qui. Ora nell’area dell’ex Kinostudio ci sono 7 reti televisive. Tutta l’attività della nostra scuola si basa su di una forte collaborazione con partner stranieri. Abbiamo formato una rete di cooperazione con paesi europei ma anche balcanici, collaboriamo con diverse accademie e abbiamo 27 professori stranieri che insegnano nella nostra scuola. Ci sono state varie coproduzioni degli studenti della scuola Marubi con studenti di Ludwigsburg o di Belgrado. La dinamica della scuola è molto interessante: gli studenti partecipano con i loro progetti ai concorsi internazionali, e produciamo 12 ore di film all’anno. Siamo parte di un gruppo di 30 accademie europee ed americane, ma ci mancano i rapporti con l’Italia: nonostante siamo così vicini ci sentiamo molto lontani. Spesso sono i docenti stranieri che vengono a parlarci del neorealismo, non gli italiani.

Quali sono gli sbocchi professionali per i vostri studenti?

La scuola offre 4 ambiti di specializzazione: regia, montaggio, sceneggiatura e camera. In futuro si potrebbe anche ampliare in altre direzioni, grazie alla collaborazione con le scuole con cui lavoriamo. Cerchiamo sempre di far svolgere i master nelle scuole occidentali. La scuola dura 3 anni. Ogni giovedì sera c’è una proiezione di film classici, a breve organizzeremo anche le serate di poesia e forse anche quelle di musica da camera. Quindi il raggio d’azione della scuola si sta allargando oltre il cinema e il multimediale, verso un concetto culturale più ampio.

Riuscite a proiettare i vostri film in Albania?

Abbiamo un’unica sala cinematografica, un solo teatro. Per ogni 60 mila abitanti ci dovrebbe essere una sala, ma Tirana ha raggiunto 800 mila abitanti e ne ha una sola. Siamo indietro decenni rispetto alla dinamica che dovrebbe avere questo paese. Le politiche culturali in Albania, purtroppo, non rispecchiano la necessità di emancipazione del paese…

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